Anche in Kosovo, come in molti paesi europei, sono state adottate misure per la de-radicalizzazione, in particolare, ma non esclusivamente, rivolte a chi è rientrato da fronti di guerra. Quali sono? E soprattutto, sono utili?
Contro-terrorismo, de-radicalizzazione e contrasto all’estremismo violento sono diventati centrali nelle agende per la sicurezza di attori internazionali quali l’Unione europea, le Nazioni unite, Osce1. All’interno di molti paesi europei, misure di prevenzione contro l’estremismo violento sono state sviluppate nei quartieri, nelle comunità, nelle scuole e negli ospedali. Queste hanno incluso la partecipazione di attori tradizionalmente non-securitari quali insegnanti, operatori sociali, autorità religiose, personale sanitario e le famiglie2. In diversi paesi europei, le misure di de-radicalizzazione, contro-terrorismo e contrasto all’estremismo violento hanno sollevato dubbi e critiche riguardo alla loro efficienza e ai loro effetti sociali più ampi sui diritti fondamentali, la discriminazione religiosa e la coesione sociale. In particolare, diversi studiosi hanno enfatizzato il rischio di stigmatizzazione delle comunità musulmane3.
La partecipazione di combattenti islamici originari della Bosnia Erzegovina e del Kosovo nel conflitto siriano ha riportato la questione dello jihadismo e dei pericoli legati alla radicalizzazione e l’estremismo violento al centro delle agende di attori locali e donatori internazionali nei Balcani Occidentali. Molti dei concetti, misure e strategie inizialmente sviluppate all’interno dell’UE sono stati esportati, recepiti e implementati nei paesi balcanici. A partire dal 2014, in seguito all’arresto di 130 cittadini kosovari con l’accusa di terrorismo, le autorità kosovare hanno intensificato la lotta contro il terrorismo e la radicalizzazione. Nel 2015 è stato adottato il piano strategico Kosovo’s Strategy on Prevention of Violent Extremism and Radicalization Leading to Terrorism 2015-2020, basandosi prevalentemente sulle strategie europee.4 Mentre inizialmente la lotta contro il terrorismo era incentrata attorno a misure repressive e criminalizzazione dei soggetti radicalizzati, successivamente, in linea con un cambiamento di atteggiamento a livello globale, tale lotta si è spostata verso un approccio di prevenzione e reintegrazione sociale dei ritornati dalla guerra siriana.
I numeri
Circa 400 cittadini kosovari hanno viaggiato in Siria e Iraq nel periodo 2012-2017: di questi un terzo ha perso la vita nelle zone di conflitto e un terzo è tornato in Kosovo5. Alcuni cittadini kosovari sono stati arrestati in Germania e Kosovo nel 2018 con il sospetto che stessero preparando degli attacchi terroristici nel loro paese e in altri paesi europei. Nonostante non si sia registrato in Kosovo un singolo atto terroristico, il pericolo dell’estremismo violento e della radicalizzazione sta attirando crescenti attenzioni e fondi da parte di attori internazionali del paese balcanico. I dati sulla radicalizzazione e l’estremismo violento in Kosovo sono vaghi e spesso basati su un sensazionalismo mediatico sia locale che internazionale.
Interviste condotte in Kosovo nel settembre del 2018 riguardo la natura e la portata del pericolo estremista mostrano opinioni contrastanti con i numeri che fluttuano da un paio di centinaia di radicalizzati in prigione a quasi 20.000 radicalizzati identificati da fonti non verificate dei servizi di intelligence kosovara6. Una confusione ancora più significativa regna tra i vari portatori di interesse in merito al significato dei concetti usati: in particolare i termini estremismo violento e radicalizzazione nel caso kosovaro sono spesso equiparati all’Islam e all’ideologia islamista. Ciò contrasta con valutazioni del rischio condotti dalla Kosovar Center for Security Studies, che mostrano come il 40% della violenza avviene su basi etniche o politiche mentre solo il 25% è motivato da una matrice religiosa. Ciononostante, è la violenza politica associata all’estremismo religioso che attrae la maggiore attenzione mediatica e i più consistenti finanziamenti per la sua prevenzione. Anche se non esiste un profilo unico dei combattenti kosovari, molti di quelli che hanno viaggiato in Siria e Iraq appartongono alla fascia d’età tra i 20 e i 30 anni. Inoltre, il Kosovo ha un numero significativo di giovani maschi in condizioni socio-economiche di povertà e marginalità: il 43% della popolazione è sotto i 25 anni, mentre la disoccupazione giovanile è attorno al 57.7%.
Perché avviene la radicalizzazione? Il dibattito
Tra i vari fattori a spiegazione del fenomeno di radicalizzazione dei combattenti kosovari due sono quelli che spiccano nel dibattito pubblico: da una parte, la presenza di fondazioni straniere religiose che appartengono a diverse congregazioni islamiche e dall’altra le condizioni socio-economiche in cui versa il paese. Il ruolo svolto da fondazioni straniere finanziate dai paesi del Golfo o dalla Turchia è stato identificato da vari analisti come rilevante nel promuovere traiettorie di radicalizzazione e reclutamento di giovani kosovari attraverso una complessa e informale rete di mediatori privati, imam estremisti e donazioni7. Anche se promuovono agende e forme diverse di Islam, queste fondazioni hanno contribuito ad inserire nel contesto kosovaro una forma dell’Islam di matrice wahabita in contrasto con la forma localmente radicata in Kosovo e nei Balcani di tradizione Hanafi. Studi recenti condotti dal British Council hanno però mostrato come vi sia una scarsa evidenza che queste fondazioni abbiano direttamente reclutato giovani in gruppi di estremismo violento. Il reclutamento sembra essere stato veicolato tramite contatti personali fisici o virtuali diretti.
Le condizioni socio-economiche del paese e la combinazione tra alti livelli di povertà, disoccupazione giovanile e basi livelli di istruzione sono stati identificati come il secondo fattore più importante di radicalizzazione in Kosovo. Recenti studi hanno però sottolineato come l’istruzione non sia un fattore chiave esplicativo quanto la disoccupazione combinata all’immobilità sociale. Lo stesso rapporto del British Council identifica come spinta significativa della radicalizzazione un ‘vuoto d’identità, espressa in termini di distacco dal tessuto sociale”8. In altre parole, appartenere a un gruppo che abbraccia idee di estremismo violento diventa più importante della dottrina religiosa di per sé.
Settori e attori sociali quali l’istruzione e i giovani sono diventati centrali nei modelli sia esplicativi sia di contrasto dell’estremismo violento in Kosovo. In quest’ottica, tali settori sono visti sia come potenziale causa che soluzione al pericolo estremista. Mentre non ci sono dubbi sul fatto che la radicalizzazione in Kosovo sia un fenomeno giovanile, un fattore esplicativo ignorato è l’inattività diffusa e l’assenza di prospettive di quei giovani kosovari che hanno studiato e che non sono considerati economicamente poveri. In quest’ottica, ciò che è in gioco è una dinamica di frustrazione delle aspettative, e una promessa di ordine e significato in un contesto che è carente di entrambi. In altre parole, secondo la prospettiva analitica di Oliver Roy, ciò che si nota nel caso kosovaro non è un meccanismo di radicalizzazione basato su una matrice settaria e identitaria islamica, bensì una forma di radicalizzazione di altre questioni e rimostranze, un’identità radicalizzata tra percezioni di marginalizzazione e nichilismo.
Tra gli attori che identificano la radicalizzazione come un fenomeno sostenuto da un’ideologia religiosa, l’istruzione è identificata come uno spazio dove il fenomeno possa essere capito, prevenuto e contrastato. Una comprensione dell’indottrinamento estremista come sostenuto da un’informazione e consapevolezza inadeguata riguardo all’ideologia stessa e alle sue conseguenze ha reso l’istruzione un settore chiave nelle risposte e interventi di contro-radicalizzazione. Più del 40% delle attività previste dalla strategia governativa spettano per esempio al ministero dell’Istruzione. In pratica, ciò è stato tradotto in una molteplicità di interventi di fomrazione indirizzati dal livello delle scuole primarie a quello universitario, e implementati da un numero crescente di attori governativi e non-governativi e spesso carenti di coordinamento da parte del ministero dell’Istruzione.
Reintegrazione
Le misure sia locali che internazionali contro l’estremismo violento e la radicalizzazione in Kosovo si sono inizialmente focalizzate sui fattori trainanti dell’estremismo. Successivamente il focus si è spostato sulle comunità a rischio quali i giovani, le donne e le famiglie dei combattenti. Più recentemente, l’attenzione si è concentrata sulla reintegrazione dei combattenti ritornati e delle loro famiglie, così come sulla radicalizzazione nelle prigioni. La reintegrazione sociale dei combattenti ritornati è diventata un obiettivo centrale nella lotta contro l’estremismo in Kosovo ed è stata impostata sul modello tedesco e quello danese. Altri progetti si sono focalizzati sugli Imam che insegnano in prigione, dando centralità alla diffusione di narrazioni contro la radicalizzazione. Inoltre, i vari donatori internazionali hanno finanziato la creazione di meccanismi di segnalazione basati sui modelli statunitensi e danesi, in quali sono stati implementati congiuntamente dalle autorità municipali, gli imam e i funzionari di polizia.
La lotta contro l’estremismo violento in Kosovo solleva molte domande sul fenomeno stesso e sulle conseguenze di come è stato contrastato, domande che possono essere applicate anche a simili contesti balcanici quali l’Albania o la Bosnia. Mentre l’ammontare complessivo di fondi che è previsto in crescita suggerisce che vi sia un pericolo di radicalizzazione sempre presente, i dati su tale pericolo e il fenomeno stesso sono contraddittori e spesso solo sostenuti da un sensazionalismo mediatico. Inoltre, non c’è consenso riguardo a cosa estremismo violento e radicalizzazione significhino nel contesto kosovaro. Spesso le definizioni usate riproducono la stessa vaghezza problematica che si trova nei discorsi di politiche internazionali sullo stesso tema. L’equivalenza dell’estremismo violento con l’estremismo islamico religioso nel paese rischia di stigmatizzare la comunità musulmana che rappresenta anche la maggioranza della popolazione. Modelli esplicativi correnti enfatizzano il ruolo giocato da fondazioni straniere e allo stesso tempo trascurano altri fattori sottostanti il legame tra giovani e radicalizzazioni in Kosovo quali la questione dell’anomia, l’inattività e un’assenza di opportunità lavorative per la generazione nata dopo la guerra.
Il coinvolgimento di leader religiosi, famiglie, insegnanti, nelle politiche contro la radicalizzazione e l’estremismo violento può danneggiare l’inclusione, la fiducia e la coesione sociale in un paese fragile quale il Kosovo. Un’analisi critica delle politiche messe in campo mostra un inquadramento del ruolo dei giovani, dell’istruzione e di altri attori locali secondo una logica securitaria. In quest’ottica, i giovani rischiano di essere identificati tra due visioni opposte: da un lato, come oggetti di radicalizzazione e quindi potenzialmente pericolosi per la sicurezza del paese; dall’altro, come strumenti di prevenzione dell’estremismo e della radicalizzazione. Ciò ha portato a uno spostamento semantico secondo il quale i giovani non sono più visti come soggetti radicali ma come soggetti potenzialmente radicalizzati. Il rischio che tale spostamento comporta è che la loro immanente potenzialità a fungere come attori di cambiamento sociale, emancipazione e critica è ristretta significativamente. Allo stesso modo vi è il timore che la strumentalizzazione dell’istruzione nel servire scopi di contro-radicalizzazione possa minare la fiducia nel settore stesso e generare risentimento ed esclusione, e quindi generare più radicalizzazione. Inoltre, tale strumentalizzazione rischia di restringere la funzione dell’istruzione come un’istituzione fondamentale per la messa in discussione dei valori prestabiliti e delle autorità, così come il suo potere di sfidare e superare lo status quo.
Note:
1. Kundnani A., Hayes B. 2018. The Globalisation of Countering Violent Extremism Policies, (Amsterdam: Transnational Institute).
2. Ragazzi, F. 2017. Students as Suspect. The challenges of counter-radicalisation policies in education in the Council of Europe member states. Interim report. Council of Europe. Strasbourg
3. Bigo, D., Bonelli, L., Guittet, E.P. and Ragazzi, and Ragazzi, F. 2014. “Preventing and Countering Youth Radicalisation in the EU,” PE 509.977
Council of Europe. 2014. Revised EU Strategy for Combating Radicalisation and Recruitment to Terrorism, 9956/14 (http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-9956-2014-INIT/en/pdf, last access 15 December 2018).
4. Intervista dell'autrice con un giornalista investigativo, Pristina, 24 settembre 2018.
5. Kursani, S. 2018. Kosovo Report. Western Balkans Extremism Research Forum, April 2018, funded by the British Council.
6. Author's interview with a local scholar, Prishtina, 25 September 2018; Author's interview with a local o cial working with an international organization active in CVE, 26 September 2018.
7. Kursani, S. 2018. Kosovo Report. Western Balkans Extremism Research Forum, April 2018, funded by the British Council
8. Kursani op cit.
* Questo studio è stato finanziato dalla Kosovo Foundation for Open Society come parte del progetto “Building knowledge about Kosovo (2.0), i cui risultati verranno pubblicati a breve.