UCK

Nessuna sorpresa dopo la presentazione del rapporto della Special Investigative Task Force di EULEX sui crimini commessi dall' UÇK kosovaro. Alcuni leader saranno accusati di crimini contro l'umanità, ma almeno per ora insufficienti le prove per un atto d'accusa formale sul traffico d'organi

29/07/2014 -  Francesco Martino

Leader di spicco dell'Esercito di Liberazione del Kosovo (UÇK) verranno accusati di crimini contro l'umanità commessi dopo la fine delle operazioni militari in Kosovo nel giugno 1999.

Tra le imputazioni previste omicidio, rapimento, detenzione illegale in campi organizzati sia in Kosovo che in Albania, abusi sessuali, distruzione di edifici religiosi, commessi nei confronti della popolazione serba e rom, ma anche nei confronti degli oppositori politici albanese-kosovari. Sul presunto traffico di organi, nonostante “i forti elementi che indicano che questa pratica è effettivamente avvenuta, benché su scala limitata”, le prove raccolte fino ad oggi non sono sufficienti a presentare atti d'accusa formali.

È questa la sintesi del rapporto presentato oggi a Bruxelles dallo statunitense Clint Williamson, capo procuratore della Special Investigative Task Force (SITF), voluta dall'Unione europea nel settembre 2011 per indagare sulle accuse di crimini di guerra contenute nel rapporto presentato nel gennaio dello stesso anno dallo svizzero Dick Marty, rapporteur per il Consiglio d'Europa.

I risultati, che arrivano dopo due anni e mezzo di indagini, segnate da centinaia di testimoni interrogati e migliaia di pagine di documenti visionate confermano quindi in gran parte le voci circolate nelle ultime settimane sui media.

Accuse individuali a leader di spicco dell'UÇK

Singoli leader “al livello più alto” dell'UÇK saranno quindi portati davanti alla corte speciale che l'UE vuole costituire entro l'inizio del 2015. Una corte che sarà soggetta alla legislazione del Kosovo, ma che avrà sede con tutta probabilità nei Paesi Bassi.

Leader responsabili “di una campagna di persecuzione diretta contro serbi, rom e altre minoranza del Kosovo, ma anche contro albanesi tacciati di collaborazionismo, o semplicemente perché oppositori politici”, ha dichiarato Williamson. Che poi ha aggiunto: “Crediamo ci siano le prove che queste azioni non sono state intraprese in modo arbitrario da individui separati, ma che fossero condotte in modo organizzato ed approvate da alcuni dei leader dell'UÇK”.

Sul presunto omicidio di prigionieri, volto all'estrazione e al commercio di organi, Williamson da una parte ha confermato il fatto che la Task Force ha trovato “forti indicazioni che tali crimini siano avvenuti”, specificando però che, almeno per il momento, le prove raccolte non sono al momento sufficienti a presentare un atto d'accusa formale in questo senso.

Le indagini continuano (in attesa di una corte)

Il procuratore capo ha tenuto a specificare che si tratta di un numero limitato di casi (“meno di dieci” ha dichiarato Williamson), non escludendo però, che, col proseguire delle indagini, si possa arrivare ad una concretizzazione delle accuse.

I risultati finali delle indagini, infatti, sono tutt'altro che finali. La Task Force, come sottolineato da Williamson, si trova di fronte ad una situazione del tutto inedita nella giurisprudenza internazionale.

I procuratori della SITF hanno raccolto prove, ma non esiste ancora una corte a cui presentare gli atti d'accusa. La creazione del tribunale, tra l'altro, è posta di fronte ad un percorso tutt'altro che chiaro. Perché venga formato, è infatti necessaria l'approvazione del parlamento kosovaro, visto che l'organo – seppur con sede all'estero – dovrà funzionare all'interno della cornice legale del Kosovo.

Al momento, però, le istituzioni di Pristina sono in un vicolo cieco. Dopo le elezioni anticipate dell'8 giugno, il parlamento è bloccato dalla lotta tra il Partito democratico del Kosovo (PDK) del premier uscente Hashim Thaçi e l'opposizione, che si disputano il diritto a creare un nuovo esecutivo. Dopo la decisione della Corte Costituzionale di sospendere temporaneamente Isa Mustafa, leader della Lega democratica del Kosovo (LDK) neo-eletto presidente del parlamento, l'Assemblea nazionale di Pristina rimarrà inattiva fino ad una decisione finale, attesa per il 18 settembre.

Secondo, Williamson, nel migliore dei casi la nuova corte sarà formata a inizio 2015, anche se molti elementi fanno pensare che i tempi saranno più lunghi. Fino ad allora, il lavoro di indagine prosegue, anche se lo stesso Williamson ha annunciato che lascerà il proprio incarico il 23 agosto.

“Non vogliamo riscrivere la storia”

Visto che il processo investigativo resta aperto, Williamson non ha quindi fatto alcun riferimento agli individui che verranno sottoposti a processo. Il procuratore ha parlato di “elementi ai massimi livelli dell'UÇK”, sottolineando poi che le prove raccolte sono “in larga parte coerenti con i risultati dell'indagine condotta da Dick Marty”.

Resta quindi aperto l'interrogativo sulla possibile implicazione di Hashim Thaçi, Ramush Haradinaj e altri ex-guerriglieri, che oggi siedono sulle poltrone che più contano della politica kosovara.

“La nostra indagine non rappresenta un attacco diretto contro la lotta dell'UÇK, né ha come obiettivo quello di riscrivere la storia”, ha dichiarato Williamson, ricordando di aver lavorato in Kosovo subito dopo la guerra, e di aver contribuito a raccogliere le prove per portare Slobodan Milošević di fronte alla giustizia. “Quanto successo dopo la fine del conflitto armato, però, non ha nulla a che vedere con la lotta per la libertà, ma un attacco brutale contro una parte della popolazione [del Kosovo]”.

Williamson ha ricordato che mentre il Tribunale Internazionale per l'ex Jugoslavia (ICTY) aveva mandato a perseguire i crimini commessi durante lo scontro armato (quindi, in Kosovo, fino al giugno 1999), in quel caso la maggior parte degli accusati erano serbi, la nuova corte si occupa di quelli commessi successivamente a questa data. “In questo periodo i principali responsabili [di crimini] sono individui che hanno agito nelle fila dellUÇK”, ha dichiarato il procuratore. Non c'è quindi la volontà di indagare in modo esclusivo i combattenti albanesi, ma “di sottoporli allo stesso processo di giustizia internazionale già attivato per i responsabili serbi”.

Resta alto il rischio intimidazioni

Nel percorso di ricerca della verità, secondo Williamson, il principale ostacolo restano i forti e pervasivi tentativi di intimidire e costringere al silenzio i testimoni. “Ci sono stati tentativi di interferire attivamente coi testimoni durante le indagini, e questi tentativi sono ancora in corso”. “Chi esercita o minaccia violenza nei confronti dei testimoni, o quei politici e quei media che li aggrediscono per la loro decisione coraggiosa di parlare non difendono il Kosovo”, ha concluso Williamson. “Sono coloro che del Kosovo stanno tradendo il futuro”.