Quest'anno al monumento "New Born", eretto in centro a Pristina proprio in occasione della dichiarazione di indipendenza, sono state invertite le lettere e cambiati i colori, dedicandolo all'Ucraina - © Fisnik Ismaili

Quest'anno al monumento "New Born", eretto in centro a Pristina proprio in occasione della dichiarazione di indipendenza, sono state invertite le lettere e cambiati i colori, dedicandolo all'Ucraina - © Fisnik Ismaili

Sono trascorsi quindici anni dal 17 febbraio 2008, giorno in cui Pristina dichiarò ufficialmente l'indipendenza dalla Serbia. Da allora il Kosovo è cresciuto e si è sviluppato, ma le relazioni con la Serbia hanno faticato a stabilizzarsi. Ora l'UE sembra forzare i due governi ad una soluzione condivisa

17/02/2023 -  Paolo Bergamaschi

È festa grande oggi per le strade di Pristina. Si celebra il quindicesimo anniversario dell'indipendenza del Kosovo. Avrei dovuto esserci anch'io il 17 febbraio del 2008 ad assistere alla seduta solenne del parlamento kosovaro che dichiarava il distacco definitivo dalla Serbia. Biglietto aereo e zainetto erano pronti. Poi, all'ultimo minuto, un ordine di servizio* mi obbligò a cambiare i piani.

Chi pensava, allora, ad un ingresso spedito del Kosovo nella comunità internazionale, però, è rimasto deluso. Sono stati molti i paesi che hanno riconosciuto la nuova repubblica ma non in numero tale da garantire l'appoggio necessario per la piena inclusione dello stato neonato negli organismi internazionali.

La Serbia continua a ritenere il Kosovo una propria provincia in base alla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ha posto termine all'ultima guerra balcanica nel 1999. Quella stessa risoluzione, tuttavia, non definiva lo status del Kosovo lasciandolo in sospeso.

L'inviato speciale dell'Onu, l'ex presidente finlandese Martti Ahtisaari, formulò nel 2007 un piano che prevedeva per l'ex provincia serba un percorso di indipendenza sotto la supervisione internazionale.

Dal 2003 l'Unione europea ha promesso l'adesione ai paesi dei Balcani. Solo 22 dei suoi stati membri, però, riconoscono il Kosovo. Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna, per prevenire possibili rivendicazioni secessioniste interne, non hanno relazioni ufficiali con il governo di Pristina. Le divisioni europee hanno rafforzato in questi anni le pretese di Belgrado che nella costituzione ha dichiarato il Kosovo parte integrale del territorio serbo.

Ad ingarbugliare ulteriormente i nodi della politica internazionale ci ha pensato la Russia che ha stretto con la Serbia un patto di ferro rilanciando i tradizionali legami culturali e religiosi.

Il Kosovo, di fatto, è uno stato indipendente anche se la sua indipendenza è sospesa in un limbo diplomatico. La guerra in Ucraina ha riportato alla ribalta per Bruxelles l'urgenza di spegnere i focolai di instabilità alle porte di casa prima che scoppi un altro incendio e la questione del Kosovo è al primo punto della lista.

Kosovo e Serbia sono entrambi paesi che aspirano all'adesione. L'Ue non smette di ripetere, ciononostante, che senza la normalizzazione delle relazioni bilaterali le porte per Belgrado e Pristina rimangono chiuse.

Dopo dieci anni di inefficace mediazione negli ultimi mesi la diplomazia congiunta euro-americana ha deciso di spingere sull'acceleratore mettendo spalle al muro i governi dei due paesi. Lo ha fatto presentando a fine gennaio un piano che porta informalmente la firma di Francia e Germania. Kosovo e Serbia devono stabilire relazioni di buon vicinato rispettando reciprocamente la sovranità territoriale.

Per quanto riguarda la Serbia, in particolare, Belgrado dovrebbe impegnarsi a non ostacolare l'inclusione del Kosovo negli organismi internazionali mentre le autorità di Pristina dovrebbero concedere subito l'autonomia ai comuni a maggioranza serba. In cambio, per entrambi verrebbe velocizzato il processo di adesione e incrementato il pacchetto di finanziamenti.

Lo scorso 2 febbraio il presidente serbo Aleksandar Vučić e il primo ministro kosovaro Albin Kurti hanno riferito ai rispettivi parlamenti dei colloqui in corso. Da Pristina è già arrivato il via libera di massima al piano proposto; non così, o, almeno, non ancora da Belgrado.

Dopo decenni di propaganda nazionalista che predica la sacralità del Kosovo come culla della cultura serba la leadership di Belgrado si trova in grossa difficoltà a fare digerire alla propria opinione pubblica la rinuncia ad ogni rivendicazione sull'ex provincia.

In caso di rifiuto, però, si prospetta un futuro a tinte fosche per la Serbia visto che l'economia del paese è integrata in quella europea con un flusso costante di investimenti. L'istituzione in Kosovo della associazione delle municipalità a maggioranza serba acquista, così, un ruolo centrale per addolcire la pillola amara da somministrare a Belgrado.

A questo punto l'Italia potrebbe dare il suo contributo offrendo come modello lo statuto di autonomia del Trentino Alto Adige/Südtirol con un programma, ad esempio, di gemellaggio fra Bolzano e Mitrovica Nord, la città più importante dei serbi del Kosovo, che coinvolga tutti i livelli. La via della pace fra Belgrado e Pristina passa anche da Roma.

 

* Paolo Bergamaschi è un ex funzionario del Parlamento europeo