In Kosovo l'ICO se ne va, ma molti altri restano. Un'analisi delle maggiori questioni diplomatiche sul tappeto, con un'attenzione particolare al diritto internazionale e al precedente bosniaco
Si è conclusa il 10 di settembre la fase di indipendenza controllata del Kosovo. L’evento è stato suggellato da una serie di cambiamenti alla Costituzione, che hanno via via rimosso la presenza internazionale dai processi decisionali in Kosovo, e dall’annunciata chiusura dell’Ufficio Internazionale Civile (ICO), al cui capo c’era il Rappresentante Civile Internazionale (ICR) che era il funzionario preposto alla supervisione dell’indipendenza controllata.
Una sessione speciale del Parlamento kosovaro e la visita di una serie di dignitari internazionali che si sono congratulati con le autorità locali hanno suggellato il superamento dell’”esame di maturità” per l’autoproclamatasi Repubblica del Kosovo. Ma cosa cambierà d’ora in poi a maturità superata? A dir il vero, sarà tutto da vedere e le diplomazie internazionali sembrano aver intrapreso dei cammini paralleli e divergenti.
Chi ha approvato Ahtissari?
Infatti, l’indipendenza controllata del Kosovo è prevista dal piano Ahtissari, che come si sa, non è mai stato accettato universalmente, né è stato appoggiato dall’ONU, proprio per mancanza di consenso. Il piano Ahtissari è stato però sostenuto dall’International Steering Group, il gruppo composto da 22 paesi della Unione Europea, più Stati Uniti e Turchia. Questi per primi hanno riconosciuto l’autoproclamata indipendenza del Kosovo e ne hanno favorito il cammino successivo, sia finanziariamente che politicamente.
I paesi del ISG sono stati quelli che hano nominato il Rappresentante Civile Internazionale (ICR). La struttura sembra un “copy&paste” del modello usato in Bosnia, dove però il Peace Implementation Council si compone di 55 paesi ed è molto più rappresentativo dato che Russia, Giappone, l'Organizzazione della Conferenza Islamica vi sono membri di pieno diritto. Insomma la rappresentatività dell’International Steering Group è sostanzialmente limitata ai paesi occidentali. Nemmeno l’Unione europea è al completo: cinque paesi membri della Ue - Spagna, Cipro, Slovacchia, Romania e Grecia - non hanno riconosciuto il Kosovo e sono quindi fuori dal ISG.
In tanti restano
Cosa cambierà ora? A parte la chiusura dell’ufficio dell'ICO e le modifiche costituzionali, di fatto cambierà poco altro. La presenza internazionale in Kosovo rimarrà e, ironia della sorte, la base legale per tale presenza è proprio la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la 1244, quella che, a suo tempo, aveva creato l’amministrazione internazionale dell'UNMIK. Ciò vale appunto per la missione di pace della NATO, la KFOR, che addirittura espanderà i propri effettivi con 700 truppe aggiuntive, per la missione dell’OSCE e anche per EULEX, la missione dell’Unione Europea che opera nel settore della giustizia, della polizia e del controllo delle frontiere.
EULEX continuerà ad operare e continuerà a mantenere i suoi poteri esecutivi, cioé giudici EULEX che decidono casi nelle corti del Kosovo, almeno per altri due anni. E UNMIK? Anche UNMIK, la missione dell’ONU che fino al 2008 amministrava de jure e de facto il territorio è ancora presente, anche se con una struttura limitata, e dopo che le sue compentenze le sono state letteralmente sottratte dalle istituzioni della neonata Repubblica del Kosovo.
Insomma, per l’ONU, almeno dal punto di vista legale, poco è cambiato rispetto al periodo precedente all’indipendenza del Kosovo. Le decisioni dell’International Steering Group non hanno rilevanza per quanto riguarda l'ammissione alle Nazioni Unite, né per quanto riguarda l’ammissione ad altre organizzazioni internazionali.
Faccia a faccia all'ONU
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU inoltre continua ad esaminare ogni tre mesi i rapporti che vengono inviati da UNMIK. L’ultima sessione dell’ONU è avvenuta il 21 agosto scorso, praticamente pochi giorni prima della fine dell’indipendenza controllata. La sessione ha avuto un alto profilo dato che sia il primo ministro serbo Ivica Dačić che quello kosovaro Hashim Thaçi vi hanno partecipato e hanno presentato le loro posizioni, che sono chiaramente antitetiche.
La nota positiva è che le due parti hanno comunque annunciato il loro interesse a proseguire il dialogo tra Pristina e Belgrado. Ma la parte più interessante è lo stesso discorso del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, che mette in guardia la comunità internazionale dal rischio di diventare troppo accomodante e che occorre un rinnovato ed attivo impegno politico. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite fa appello ai membri del Consiglio di Sicurezza affinché utilizzino la loro influenza per far sì che le parti continuino il dialogo.
Situazione critica
Il rapporto del Segretario Generale sulla situazione in Kosovo è parecchio critico: il numero di ritornati serbi è in calo costante, gli atti di violenza contro la popolazione non-albanese sono all’ordine del giorno e la polizia del Kosovo non può o non vuole investigare tali violenze, in più la polizia è stata oggetto di critiche per gli incidenti avvenuti il 28 giugno scorso a Gazimestan e in generale per la scarsa efficienza nel rispondere agli attacchi contro le comunità di ritornati in Kosovo.
Le Nazioni Unite esprimono così preoccupazione per la mancanza di consenso internazionale sulla situazione in Kosovo, che crea notevoli difficoltà sul terreno. Insomma una situazione tutt’altro che rosea - seppur in un forbito linguaggio diplomatico - il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha messo il dito nella piaga dei problemi che ancora affliggono il Kosovo: pochi i ritorni data la mancanza di sicurezza per i non albanesi (a inizio luglio sono stati uccisi una coppia di ritornati serbi, gli ultimi di una lunga serie), la mancanza di efficacia o interesse della polizia nell’investigare e reprimere le violenze contro le minoranze e chiaramente, la perdurante situazione nel Nord del Kosovo dove le autorità di Pristina non esercitano di fatto alcun controllo.
Onu unica garanzia?
Mentre la missione ONU in Kosovo è ora significativamente ridotta, e simbolicamente confinata alla periferia di Pristina, rimane il fatto che le Nazioni Unite, nonostante tutti i difetti che si possano attribuire loro, sono l’organizzazione che di fatto fornisce la legittimità internazionale. In questo senso, sono significativi gli sforzi della diplomazia kosovara che disperatamente cercano di raccogliere più riconoscimenti internazionali possibili, per poter essere ammessi alle Nazioni Unite. Ma anche qui il progresso è limitato: i paesi che hanno riconosciuto il Kosovo sono 89 secondo l’ambasciata USA, 92 secondo le autorità kosovare…
In queste ultime settimane i media kosovari avevano riportato come successi della propria diplomazia i riconoscimenti che il Kosovo aveva ottenuto da parte di Mali e Nigeria, solo per poi ritrattare imbarazzati in seguito alle smentite ufficiali che sono venute dalle cancellerie di questi paesi. Ma soprattutto, appare insormontabile per il Kosovo l’avversione di Russia e Cina, membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, che non appaiono per nulla disposti a permettere l’ingresso del Kosovo nelle Nazioni Unite.
L’importanza data alla sessione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il contenuto del rapporto di Ban Ki Moon e la prossimità della fine dell’indipendenza controllata del Kosovo, non sono una coincidenza. Il messaggio che se ne evince è che l’ONU e i paesi che non hanno riconosciuto il Kosovo esprimono perplessità e critiche sulla situazione. Il quadro che ne emerge ha tinte molto più fosche di quanto presentato dall'ICO e dal gruppo di 24 paesi che hanno fatto parte dell’International Supervisory Group e che hanno celebrato con successo la conclusione di un processo i cui esiti apparivano scontati fin dall’inizio. "Schizofrenica" è forse la parola che potrebbe definire meglio la situazione…
Pochi giorni fa, in un caffè si commentava con un collega l’annunciata fine dell’indipendenza controllata del Kosovo. Con una vena d’ironia quest'ultimo mi ha detto: "Mi ricorda Bush, nel 2003, sulla portaerei in Iraq e lo striscione alle spalle Mission accomplished”. Come allora, il timore è che la fine dell’indipendenza controllata sia soltanto l’inizio dei problemi.