A seguito delle proteste dell’opposizione che ha bloccato i lavori del parlamento la Corte costituzionale kosovara ha sospeso l’attuazione dell’accordo con la Serbia. Un’analisi di quanto sta accadendo in Kosovo
In seguito alle violente proteste dell’opposizione nazionalista, la Corte costituzionale del Kosovo ha deciso di sospendere l'attuazione dell’accordo con la Serbia. La Corte ha dato ragione alla presidente del Kosovo, che chiedeva la sospensione temporanea dei "principi che governano la creazione dell’associazione/comunità delle municipalità a maggioranza serba del Kosovo". La presidente del Kosovo, Atifete Jahjaga, ha posto il seguente quesito alla Corte:
“I Principi di Associazione che creano e disciplinano il funzionamento dell’associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo sono compatibili con lo spirito della Costituzione del Kosovo (Art 3.1 multi-etnicità), capitolo II (diritti e libertà) e capitolo III (diritti delle comunità e dei loro membri) della Costituzione del Kosovo?”
L’accordo su questi principi era stato firmato a Bruxelles fra i rappresentanti del governo serbo e kosovaro, nel quadro del dialogo per la normalizzazione delle relazioni fra i due paesi. I principi sull’associazione/comunità delle municipalità serbo-kosovare sono stati firmati nell'agosto 2015, e fanno seguito al primo accordo fra Belgrado e Pristina, negoziato nel 2013. L’accordo sui principi si è prestato a letture contrastanti. Per il governo kosovaro, l’associazione avrà solamente i poteri di una ONG e nessun potere esecutivo. Per i serbi, la comunità sarà dotata di ampi poteri, e sarà costruita sul modello dell’Alto Adige.
La sospensione dell’accordo
La presidente del Kosovo ha argomentato che una sospensione dell’attuazione dell’accordo con la Serbia sia nell’interesse pubblico. Questo in considerazione del clima di ostruzionismo parlamentare che si è venuto a creare nelle ultime settimane, con il lancio di lacrimogeni in parlamento, a seguito del disaccordo sull'accordo.
Accogliendo il ricorso della presidente, la Corte ha invitato governo, membri del parlamento ed ombudsman ad inoltrare le loro osservazioni alla Corte. La Corte costituzionale ha sospeso l'attuazione dell’accordo con Belgrado fino al 12 gennaio 2016, ricordando comunque come questa decisione non avrà alcun impatto sul verdetto della Corte su ammissibilità e merito del ricorso nel giudizio principale.
Con questa sentenza, la Corte si è posta al centro del dibattito sulla costituzionalità dell’accordo con la Serbia. Lo Corte ha sospeso l’accordo, in primo luogo per calmare la situazione e permettere il ritorno al dialogo fra maggioranza e opposizione in Kosovo. Il governo di coalizione dispone di una maggioranza schiacciante in aula. Vista l’impossibilità di contrastare la maggioranza con il dibattito democratico, l’opposizione nazionalista ha messo in scena delle violenti proteste, incluso l’uso di lacrimogeni e spray al peperoncino in aula. L’accordo con la Serbia prevedeva un verdetto della Corte, ma soltanto alla fine del processo (punto 2 degli accordi di Bruxelles). È interessante notare come la Corte ha inteso spostare il luogo del dibattito su questioni di altissima rilevanza pubblica, quali gli accordi con la Serbia, dal parlamento ad una corte di diritto. Già in passato la Corte si era già posta al centro della vita politica nazionale con l’impeachment di due presidenti.
Le reazioni
L’opposizione nazionalista ha affermato che la sospensione dell’accordo con la Serbia non fermerà le proteste. La sospensione dell’accordo viene vista come una vittoria per i partiti di opposizione. L’opposizione rinfaccia alla Corte di non essere imparziale, perché influenzata dal governo. L’opposizione ha fatto intendere che terminerà le sue azioni di disturbo e protesta soltanto con il ritiro dell’accordo con la Serbia.
In Serbia, l’intervento della Corte viene visto come un ulteriore tentativo kosovaro di sabotare l’accordo con Belgrado. Alcuni media serbi hanno parlato della decisione come una vendetta per il mancato accoglimento della domanda del Kosovo di aderire all’UNESCO. Per altri politici serbi, l’establishment politico di Pristina spera che la Corte costituzionale annulli le parti più controverse dell’accordo. Questo favorirebbe la posizione negoziale di Pristina con il governo serbo e l’Unione Europea. In Serbia, la decisione della Corte kosovara viene vista come un verdetto politico, con il fine di sabotare l’accordo con Belgrado.
Un analista politico di Pristina, Fatmir Šeholi, ritiene che la Corte deciderà a breve sull’ammissibilità del ricorso promosso dalla presidente, forse già settimana prossima. Secondo Šeholi, la data del 12 gennaio, fissata dalla Corte come scadenza, è da intendersi per le discussioni sulla creazione dello statuto sulle municipalità a maggioranza serba, e non meramente sui principi che ne governeranno la costituzione. Šeholi crede che la decisione della Corte sarà favorevole al governo del Kosovo. Di simile opinione è l'analista Bodo Weber, secondo il quale l’elite kosovara eserciterà pressioni sulla Corte costituzionale affinché approvi la costituzione dell’associazione/comunità delle municipalità a maggioranza serba. In questo caso, la decisione della Corte renderebbe l’accordo con Belgrado più facile, perché darebbe legittimità costituzionale alla creazione di un’associazione/comunità di municipalità serbe in Kosovo. In ogni caso, la Corte Costituzionale dovrà valutare della costituzionalità dello statuto delle municipalità a maggioranza serba, una volta che questo sarà approvato.
Per Andrea Lorenzo Capussela la Corte costituzionale è sotto l’influenza dell’elite politico-economico-criminale del Kosovo. Dal punto di vista strategico, la Corte rappresenta un vincolo esterno che l’elite kosovara userà per le sue finalità politiche. In funzione delle sue alleanze e dei suoi interessi, il governo userà la Corte contro l’opposizione, la Serbia e Bruxelles per ottimizzare le sue strategie negoziali. Capussela la descrive come una Corte "molto politica", e argomenta - come già fatto in un suo saggio sull'operato della Corte - che molte decisioni politicamente rilevanti della Corte sono incostituzionali per manifesta incompetenza della Corte in sede di ammissibilità del ricorso.
La questione della competenza della Corte e del Presidente
Oggetto del dibattito, ai fini della presente discussione, è la relazione fra l’articolo 84.9 e l’articolo 113 della Costituzione del Kosovo. L'articolo 84(9) della Costituzione kosovara dispone: "The president may refer constitutional questions to the Constitutional Court." Ciò che è problematico, dal punto di vista del ragionamento giuridico, è che la Corte non abbia mai esplicitamente coordinato questo articolo con il 113, che elenca (tassativamente?) su quali argomenti il presidente può richiedere l'intervento della Corte. Ciò implica che per la Corte l’articolo 84.9 ha una portata autonoma e che ogni questione che tocca articoli della Costituzione potrebbe ricadere fra queste questioni costituzionali (paragrafo 24, decisione KO 80/10). Il problema è che la Corte non definisce più precisamente cosa si debba intendere per ‘questioni costituzionali’, ma decide caso per caso, aumentando il potere e la discrezionalità della Corte stessa. Secondo Capussela, l’articolo 84.9 rimane senza significato, perché la giurisdizione della Corte è precisata, in materia di argomenti riferibili a scrutinio giurisdizionale, nell’articolo 113.
Ma questa non è l’unica interpretazione possibile. Ad esempio, la Costituzione dà al presidente (art. 84.9) e al governo (art. 93.10), ma non all’assemblea, il potere esplicito di riferire questioni costituzionali alla Corte. Alla luce di questa ambiguità del testo costituzionale, non è del tutto sorprendente che la Corte abbia optato per l’interpretazione che le dà maggiore potere. La Corte ragiona così: perché la Corte costituzionale, come interprete finale della Costituzione [Art. 4(6) e 112(1) Cost.], non dovrebbe avere il potere di chiarire il significato del testo costituzionale (decisione 97/10, paragrafo 14)? In altre parole, la Corte sceglie l’interpretazione teleologica, coordinando l’articolo 84.9 con il ruolo della Corte come interprete finale della Costituzione (art. 4.6 e 112.1 Cost.). La libertà interpretativa della Corte è ancora maggiore, perché in Kosovo non esistono, o non sono reperibili, i lavori parlamentari di preparazione della Costituzione, che potrebbero dare lumi interpretativi in merito all’interpretazione del testo costituzionale. Ciò che è controverso non è tanto che la Corte interpreti estensivamente le sue competenze (e che dunque abbia giurisdizione per sentire quesiti costituzionali posti dal presidente), ma ciò che fa con questo potere.
I problemi legali dell'accordo di Bruxelles
L’accordo di Bruxelles, compreso l’accordo successivo sui principi che governeranno l’associazione/comunità dei comuni a maggioranza serba, è però effettivamente problematico alla luce delle recenti evoluzioni del diritto internazionale in materia di non-discriminazione. A preoccupare è soprattutto il carattere puramente etnico dell’associazione/comunità, come rileva il think-tank kosovaro ECMI. In particolare, il trasferimento di competenze dalle municipalità a un livello di governo intermedio potrebbe aggirare le protezioni delle altre minoranze (albanesi, rom e gorani) in tali comuni.
L’accordo di Bruxelles del 2013 aveva passato lo scrutinio di entrambe le corti costituzionali. Per la Corte costituzionale della Serbia l’accordo, in quanto politico, non è soggetto a scrutinio giurisdizionale. La Corte costituzionale del Kosovo ha affermato la supremazia della propria Costituzione su accordi internazionali, rinunciando però ad un esame approfondito della costituzionalità dell’accordo di Bruxelles (decisione 95/13). Ciò rimane insoddisfacente da un punto di vista giuridico, perché la Corte non è entrata minimamente nel merito di un accordo che tocca le fondamenta dell’assetto costituzionale del Kosovo. A titolo di esempio, il paragrafo 9 degli accordi di Bruxelles che stabilisce che il capo della polizia nel Nord del Kosovo debba essere un kosovaro serbo appare problematico alla luce del verdetto Sejdic e Finci v. Bosnia Erzegovina della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). La Corte costituzionale del Kosovo è costituzionalmente obbligata ad interpretare la costituzione in linea con la giurisprudenza CEDU (Art. 53 Cost.). Giustificata è la critica di Capussela, che ritiene che l’accordo di Bruxelles avrebbe meritato analisi ben più ampia (p. 33-4).
Dall’altra parte, frequentemente le corti costituzionali di recente creazione interpretano la loro giurisdizione in maniera ampia, per dotarsi di un potere maggiore. Queste corti enunciano principi di ampia portata (importanti per il loro potere nel lungo termine), ma concedono la sentenza di merito al potere esecutivo. L'esempio più noto è quello della Corte Suprema degli Stati Uniti, che nel 1803 in Marbury v. Madison si arrogò il potere di esprimere un giudizio di costituzionalità sulle leggi, senza che vi fosse la minima menzione di questo potere nella costituzione degli Stati Uniti. Nel merito, però, la Corte rigettò il ricorso contro il presidente (e non poteva fare altrimenti).
In ogni caso è possibile che non soltanto la Serbia ma anche il Kosovo debbano rivedere la loro Costituzione alla luce dell’implementazione degli accordi di Bruxelles. Una riforma costituzionale sarebbe piena di insidie in entrambi i paesi, ma, se approvata, renderebbe l’accordo tra Belgrado e Pristina più stabile nel lungo termine.
Il nodo più difficile rimane l’effettivo potere di cui sarà dotata l’associazione/comunità della municipalità serbe. Il binomio viene dal fatto che per i serbi si tratta di una comunità, mentre per gli albanesi è semplicemente una ONG, sulla falsariga dell’Associazione delle municipalità del Kosovo. Secondo l’accordo di Bruxelles e l’accordo sui principi, l’associazione/comunità ha pieni poteri (“full ownership”) nelle materia conferitegli. Il problema è che nella lingua inglese il concetto di “full ownership” non esiste nell’ambito giuridico o amministrativo. In parole semplici, i negoziatori hanno deciso per un termine vago per non dire inesistente per celare le profonde differenze in merito alla natura dell’associazione/comunità. La baronessa Ashton aveva riferito che con l’accordo di Bruxelles Pristina e Belgrado parlassero un linguaggio comune, ma ciò nasconde soltanto un profondissimo disaccordo fra le parti, non solo sulla natura e i poteri dell’associazione/comunità, ma anche sulle loro relazioni reciproche.