Un poliziotto serbo dell'UNMIK Police arrestato. E' accusato di crimini contro l'umanità. Intanto la fiducia dei cittadini albanesi del Kossovo nei confronti del sistema giudiziario è sempre più debole.
Come si sia sentito Dragan Mihailovic, poliziotto serbo della polizia del Kossovo (KPS), quando lo scorso 12 gennaio i suoi colleghi gli hanno messo le manette al polso nessuno lo può dire. Anche perché la polizia non ha ancora reso pubblici i capi d'accusa essendo le indagini ancora in corso. Alcune fonti interne alla polizia stessa hanno però reso noto che sarebbe accusato dell'uccisione di alcuni albanesi, fatto risalente all'aprile del 1999.
Mihailovic ha dovuto lasciare la divisa e questo in parte è stata una conferma di quanto affermavano un gruppo di manifestanti che per l'occasione si è riunito davanti alla sede UNMIK di Prishtina. "Nella polizia vi sono infiltrati serbi che hanno commesso crimini di guerra". Mihailovic prestava servizio nella stazione di servizio di Mitrovica nord, quartiere della città dove risiedono cittadini appartenenti alla comunità serba.
E' accusato di tre omicidi commessi nel villaggio di Studime, comune di Vushtria, e per altri due tentati omicidi. L'unità centrale di indagini, con sede a Prishtina, avrebbe deciso l'arresto solo dopo mesi di indagini e dopo aver raccolto testimonianze in merito di un altro poliziotto membro della polizia kossovara.
Secondo le informazioni raccolte dalla polizia i fatti risalgono al 16 aprile del 1999, due settimane dopo l'intervento NATO in Kossovo. Altre istituzioni ed organizzazioni ritengono invece che i crimini di cui si sarebbe macchiato Mihailovic sarebbero maggiori di quelli imputatigli. Secondo il Tribunale di Mitrovica Mihailovic sarebbe sospettato di aver preso parte ad un vero e proprio massacro avvenuto nel villaggio di Vushtria durante il quale, in meno di mezz'ora, sarebbero state uccise 109 persone e cacciate dalle loro case altre 3000.
Secondo il Comitato per la protezione dei diritti umani, associazione con sede a Prishtina, a Vushtria sono stati uccisi 600 albanesi e 100 risultano dispersi.
Trecy Becker, portavoce della polizia UNMIK della regione di Mitrovica, ha dichiarato che prima di arruolare nuovi poliziotti si compiono sul loro conto accurate indagini. Becker ha comunque rifiutato di commentare direttamente l'arresto del poliziotto serbo a Mitrovica nord. Non ha neppure voluto dare conferma del fatto che Mihailovic abbia indossato l'uniforme della polizia serba prima di indossare quella della polizia kossovara.
Fonti anonime all'interno della polizia di Pristina hanno dichiarato all'ANSA che vi sarebbero indagini in corso su altri poliziotti serbi appartenenti alla polizia kossovara. La decisione di inquadrare poliziotti serbi nei KPS era dettata da esigenze politiche. In particolare da quella di riuscire ad avere poliziotti UNMIK anche a Mitrovica nord, zona sino a poco tempo fa off-limits per l'amministrazione internazionale del Kossovo. Nell'estate del 2002 alcuni alti funzionari del Pillar I dell'UNMIK, settore dell'amministrazione internazionale che s'occupa di polizia e giustizia, hanno discusso assieme ai dirigenti del Ministero degli interni della Serbia la possibilità di assumere alcuni ex-poliziotti serbi nelle fila della polizia UNMIK. Accordo poi andato a buon fine ed implementato sul campo.
Mentre un cittadino serbo-kossovaro viene arrestato per crimini di guerra un altro, accusato di crimini simili, viene rilasciato.
Andjelko Kolasinac, ex sindaco del villaggio di Rahoveci, era stato condannato a 8 anni di reclusione dal Tribunale regionale di Prizren. E' stato poi rilasciato dalla Corte suprema del Kossovo lo scorso 24 dicembre. Testimoni albanesi lo avevano accusato di crimini commessi a Rahovec e Malisheve. Secondo questi ultimi Kolasinac avrebbe indossato l'uniforme dell'Esercito jugoslavo ed avrebbe ordinato molti dei crimini compiuti dell'area.
Le dichiarazioni non corrispondono con quelle rilasciate da cittadini serbo-kossovari. Raccolte presso il Tribunale di Belgrado, molti dei testimoni serbi sono infatti sfollati in Serbia, sono state poi ascoltate nella sala del Tribunale di Prizren. Tutte queste scagionerebbero l'imputato.
La liberazione di Kolasinac ha avuto un riflesso negativo sull'opinione pubblica kossovara la cui fiducia nel sistema di giustizia UNMIK è sempre più fioca.
Neeraj Singh, portavoce del dipartimento di giustizia dell'UNMIK ha la reso noto che il fatto che al Corte Suprema abbia rilasciato Kolasinac non significa quest'ultima lo ritenga innocente. "Semplicemente non sussistevano gli elementi per tenerlo in prigione". Secondo Neeraj è però probabile che si arrivi ad una riduzione della pena rispetto agli otto anni di carcere comminati in prima istanza.
Agim abita a Prishtina. E' rimasto stupito dalla decisione presa dalla Corte Suprema. "Come poter avere fiducia nei giudici internazionali se vengono rilasciati veri e propri criminali di guerra? E quando molti di loro sono ancora in libertà?". Il sospetto che molti serbi colpevoli di massacri abitino ancora nelle enclaves è sempre vivo tra la popolazione albanese.
Vi sono ancora poche indagini in grado di determinare "chi ha fatto cosa" in Kossovo. Anche da parte albanese in questi anni sono state pochissime le denunce portate davanti ai tribunali. "Abbiamo le mani legate" afferma un procuratore di stanza a Gjakova, "non abbiamo mandato per poter investigare su questa tipologia di crimini".
E molti percepiscono le corti del Kossovo come inique. "Quattro volte cittadini albanesi del Kossovo, ex membri dell'UCK, sono stati arrestati e condannati per crimini commessi durante la guerra contro serbi o contro collaborazionisti. La bilancia della giustizia non è allora giusta", afferma Toome Gashi, uno degli avvocati di questi ultimi.
Secondo Gashi nei processi contro gli ex membri dell'UCK vi sarebbero stati forti vizi procedurali. Innanzitutto perché si sarebbero posti dei limiti al numero di testimoni dalla difesa e nessuna prova mostrata da quest'ultima sarebbe stata accettata.
La questione dei cittadini serbo-kossoavri accusati di crimini di guerra rimane in Kossovo ancora un taboo, legato a doppio filo al processo dei rientri delle minoranze. Uno degli argomenti principali della riluttanza albanese ad accettare i ritorno è appunto quello che tra le fila dei rientranti vi sarebbero anche coloro i quali si sono macchiati di gravi crimini. Secondo il dipartimento di giustizia UNMIK vi sarebbero però già molte indagini in corso. Ma non vengono forniti dati od informazioni più dettagliate. Probabile però che entro la fine dell'anno questo avvenga.