Alma Lama, corrispondente dell'Osservatorio, è anche giornalista della RTK, televisione nazionale del Kossovo. Un suo articolo sulla situazione dei media in Kossovo, all'indomani delle dure critiche che hanno ricevuto in seguito alle violenze di marzo.
Le accuse rivolte ai media da alcuni organismi internazionali per il ruolo avuto nelle proteste violente di marzo rischiano di alimentare notevolmente il livello di censura, o meglio autocensura, in merito alla libertà d'espressione in Kossovo. In una recente mail, in seguito all'arreso di un ex membro dell'UCK, Robert Gillette, responsabile dell'autorità che le Nazioni Unite hanno creato in Kossovo per monitorare i media (TMC - Temporary Media Commission), invitava il direttore della rete televisiva nazionale RTK a stare attenti a come "viene riportata la notizia". Proprio la rete RTK è quella che ha ricevuto più critiche per come ha riportato gli eventi drammatici di marzo.
Nell'occhio del ciclone sono finiti in queste settimane in particolare una serie di servizi dove si riportava della morte per annegamento di tre ragazzini albanesi e, in base ad un'intervista ad un ragazzino sopravvissuto, si dichiarava che colpevoli dell'incidente sarebbero stati dei ragazzi serbi. Notizia poi, quest'ultima, smentita dalla polizia.
Intenso il dibattito sull'argomento promosso dai media kossovari, che più di altre istituzioni hanno cercato di sviscerare le ragioni alla base degli incidenti del 16-18 marzo scorso. Un elemento sembra emergere sugli altri: vi è una minaccia grave di censura nei confronti della libertà di espressione. L'ultimo duro attacco ai media kossovari è arrivato nei due rapporti dell'Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa (OSCE) e del TMC dove si sentenziava senza mezzi termini che "i media kossovari hanno favorito la violenza". Ma già precedentemente i media avevano sofferto di un rigido controllo da parte di OSCE, dell'amministrazione internazionale UNMIK ed anche delle istituzioni locali.
"I media in Kossovo stanno subendo una vera e propria censura" è il commento di Avni Zogiani, redattore del quotidiano Koha Ditore "senza dubbio l'attività dei media kossovari in questi anni è stata caratterizzata da una tipologia del tutto particolare di autocensura che potrebbe essere chiamata 'prudenza'. E questo è accaduto perché vi sono costretti, non essendo economicamente indipendenti ma spesso dipendendo da donazioni di agenzie per lo sviluppo e Stati occidentali".
Il redattore di Koha Ditore sottolinea poi come le modalità che hanno caratterizzato l'intervento nei confronti dei media del TMC in seguito ai fatti di marzo non fanno che avvicinare questa "prudenza" ad una vera e propria "censura".
La richiesta della TMC all'UNMIK di prevedere, come già avveniva in passato, che un consigliere internazionale possa monitorare, in seno alla televisione pubblica, la redazione delle notizie, è percepita, in primis dai giornalisti kossovari, come un tentativo di rendere meno autonoma la prima istituzione che in Kossovo è amministrata esclusivamente da locali.
"Le modalità con le quali sono intervenute OSCE e TMC dimostrano il tentativo internazionale di controllare le dinamiche del Kossovo" ha reso noto Astrit Salihu, vicedirettore della televisione pubblica "difficile intenderle in altri modi. Siamo in una situazione di non normalità, ma nessuno lo dice. I media sono la prima cosa che occorre controllare. Ritengo comunque assurdo che nel rapporto del TMC si insinui ci possa essere stato un accordo tra i promotori delle proteste violente di marzo e la televisione pubblica".
"Qui alla televisione sui fatti di marzo abbiamo lavorato in un vero e proprio 'buio informativo'" continua Salihu "i responsabili della polizia, della KFOR ed anche i politici locali hanno tutti spento i loro cellulari. OSCE e TMC non hanno incluso questi elementi nei loro rapporti. UNMIK e KFOR, se ne sono lavate la mani, come Ponzio Pilato, affermando 'siamo in attesa degli eventi'. Ma per giornalisti giovani e con poca esperienza di conflitti cosa significa questa frase? Non li aiuta di certo. E poi nel rapporto OSCE si afferma che 'senza i servizi irresponsabili e sensazionali dei giornalisti kossovari gli eventi avrebbero seguito un'altra direzione. Non avrebbero avuto l'intensità e la brutalità che abbiamo visto, forse non sarebbe accaduto nulla'. Ne dubito".
"Noi non siamo stati perfetti. Lo sviluppo rapidissimo degli eventi non ha dato molto tempo per sviluppare una linea editoriale chiara. In conseguenza vi sono stati piccoli sbagli, non certo però essenziali", ribadisce Shalliu che ha recentemente pubblicato una relazione sul proprio operato e sul suo ruolo nelle vicende di marzo.
"Si doveva trasmettere l'intervista con il bambino sopravissuto alla tragedia del fiume Iber? Un'intervista per la quale ora i media kossovari sono accusati di aver incentivato la violenza? Certamente si", afferma Shalliu "nessuna risposta è stata suggerita al bambino. Gli sono solo stati chiesti i fatti. Certo il bambino era traumatizzato da quanto era accaduto".
"Nessuna televisione al mondo non avrebbe trasmesso l'intervista ad un testimone visivo di quanto era accaduto" afferma Mufail Limani, redattore capo dei telegiornali della televisione kossovara "abbiamo comunque anche trasmesso la versione dei fatti data dalla polizia UNMIK". Ma una domanda che in molti si sono fatti è stata come mai sono riusciti a parlare prima con questo testimone i giornalisti piuttosto che gli inquirenti della polizia?
"In ogni caso la morte dei tre bambini è avvenuta, non è stata un'invenzione dei media" ha scritto Shkelzen Maliqi, editorialista affermato, in un suo lungo articolo molto critico nei confronti del rapporto dell'OSCE.
Shkelzen Maliqi per criticare il rapporto OSCE ed in particolare l'affermazione che il comportamento dei media kossovari ha giocato un ruolo chiave nello scoppio delle violenze riporta un fatto accaduto in Serbia nel 1862. Un soldato turco aveva ucciso un ragazzino serbo. La notizia si propagò rapidamente e fu causa di moti di ribellione che aprirono in Serbia il dibattito sulla questione dell'indipendenza della Serbia. "Ed in quel tempo" nota Maliqi, non esisteva alcune televisione. Alcuni, che sposano la stessa linea difensiva, rilevano che lo stesso Robert Gillette, a capo della TMC, nel suo rapporto afferma la notizia sia passata tra molti grazie ai cellulari. "Come è possibile - si è chiesto - che siano scoppiate violenze in luoghi come Viti e Kamenica dove i canali televisivi non possono essere ricevuti?".
L'ipotesi di una responsabilità dei media nelle violenze di marzo in ogni caso confuterebbe l'idea che queste violenze siano state organizzate e non siano state spontanee. Un dibattito che comunque permane ancora aperto. Al più presto ci si aspetta sanzioni pecuniarie sui media accusati di aver strumentalizzato la realtà favorendo l'odio etnico. Una punizione relativa se la si compara all'altra: al rischio di censura.
I giornalisti kossovari devono affrontare quotidianamente la sfida di non toccare nulla che abbia a che fare con l'appartenenza etnica. Le conferenze stampa rimangono le fonti principali delle notizie trasmesse. Se ci si allontana dall'ufficialità non si è più sicuri del proprio posto di lavoro. La stessa UNMIK auspica che facciano parte delle redazioni giornalisti 'saggi', prudenti, giornalisti che non devono fare troppe domande neppure durante le conferenze stampa
In Kossovo esistono inoltre doppi standard anche nei media. I giornalisti stranieri possono accedere più facilmente alle informazioni rispetto ai colleghi kossovari. Un caso recente è rappresentato dai fatti verificatisi nella prigione di Mitrovica dove un poliziotto giordano ha ucciso tre poliziotti americani. Alle telecamere delle reti kossovare è stato impedito di girare all'interno del carcere. Non così è avvenuto per le televisioni straniere. Una situazione altamente problematica quindi, resa ancor più difficile dall'assenza, in Kossovo, di una legge sui media.