Rientro impossibile in un Kossovo in piena crisi. Uno spaccato inviatoci da Livio Vicini.
Nella regione di Pec/Peja, la situazione va deteriorandosi di giorno in giorno. Oltre alla cronica mancanza di lavoro che rende la situazione sociale alquanto pesante, la popolazione albanese mostra risentimento ed astio verso la comunità internazionale - UNMIK e le poche ONG rimaste in Kossovo - che si è buttata a capofitto nella creazione delle condizioni per far rientrare gli sfollati serbi senza occuparsi di altro. Secondo gli albanesi essa non si sta preoccupando di creare invece le basi socio-economiche utili per risollevare il Kossovo dalla crisi profonda in cui è sprofondato con la guerra.
Anche se ritengo vero ciò che viene denunciato, è pur vero che queste motivazioni sono emerse solo nel momento in cui si è cominciato a parlare di rientro dei serbo-kossovari.
Un programma di rientro che irrita gli albanesi per il differente trattamento previsto per i rientranti serbi rispetto a quello ricevuto a suo tempo dagli albanesi. Essi ricevettero materiale da costruzione e dovettero usare il metodo del self-made, mentre ai serbi vengono promesse case nuove. Per i serbi vengono previste nuove infrastrutture, acquedotti, strade asfaltate, mini uffici postali, nuova rete elettrica, mentre gli albanesi vivono ancora, a distanza di tre anni, in situazioni di gravi carenze di tutte queste infrastrutture. E questo viene percepito come l'ennesimo atto di discriminazione del popolo albanese.
Inoltre, sul piano economico non si muove nulla. L'unica azienda che funziona è la ditta che produce la birra PEJE, mentre le piccole aziende edili che avevano aperto i battenti durante il boom della ricostruzione nel 1999-2000 ora chiudono per mancanza di lavoro. La gente non vede altre prospettive, e in una situazione del genere continua a prosperare il contrabbando di qualsiasi genere.
Le condizioni di vita dei serbi rientrati in realtà non è migliore di quella che trovarono gli albanesi al tempo del loro rientro. Nei giorni scorsi ho fatto visita presso delle enclaves dove stanno tornando alcune famiglie serbe. Il primo passo che viene fatto è far rientrare i capofamiglia, che vengono alloggiati in tende e containers. Essi non hanno possibilità di uscire dalle enclaves, se non scortati dai soldati della KFOR. L'UNHCR - Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati - provvede a fornire le derrate alimentari, che consistono solo in cibo in scatola perché la carne, la verdura e la frutta sono troppo costose. Il Patriarcato di Pec/Peja cerca di aiutarli per quanto è possibile, ma l'impressione è che essi stiano vivendo in un carcere a cielo aperto.
UNMIK dice di non essere in grado, al momento, di creare condizioni migliori, le forze della KFOR devono curarsi del problema sicurezza, UNHCR dichiara di non avere fondi disponibili per rendere accettabile la vita di chi rientra. La situazione è esplosiva, e non c'è da aggiungere altro per spiegare sparatorie e regolamenti di conti che fanno parte di un codice malavitoso purtroppo ben conosciuto anche da noi in Italia.
E' in questo clima che si stanno preparando le prossime elezioni, a cui parteciperanno una miriade di piccoli partiti nazionalistici, nati per l'occasione.
Va poi fatta un'ultima breve considerazione sul comportamento delle autorità della Serbia. E' palese che il Governo vuole liberarsi a tutti i costi degli sfollati serbo-kossovari che ha in casa. Questi ultimi non vengono nemmeno considerati dei veri e propri "fratelli"... in Serbia vengono chiamati in modo dispregiativo "Albanci" (albanesi) e vengono solo usati strumentalmente, come arma politica, negli incontri con i rappresentanti della comunità internazionale...
La domanda che sovviene è: fino a quando si protrarrà questa situazione?
Livio Vicini, operatore volontario in Kossovo