Nel marzo scorso le dichiarazioni ai media albanesi di un bambino in merito alla morte per annegamento di alcuni suoi amici aveva incendiato il Kosovo. Alma Lama lo ha incontrato, assieme alla sua famiglia
All'inizio una portavoce UNMIK aveva affermato che i genitori di Fitim Veseli, il bambino sopravvissuto alla tragedia del fiume Iber, non avevano accettato che il procuratore interrogasse il figlio. Dopo qualche giorno altre informazioni in merito alla vicenda: l'UNMIK ha pubblicato un rapporto nel quale si sottolineava che mancavano le prove in merito ai motivi della morte dei bambini che ha rappresentato la miccia che ha fatto accendere il Kossovo lo scorso 17 marzo. A fine aprile poi il rapporto del procuratore internazionale Peter Tinsley dove si afferma che "non ci sono sospetti su persone concrete" e che sono emerse molte discrepanze fra il racconto del principale testimone, un bambino albanese che si era detto scampato all'annegamento, e altre due persone che si trovavano sulla riva del fiume al momento dei fatti.
Ho deciso allora di andare ad incontrare Fitim, il bambino di 13 anni che ha raccontato ai media albanesi la vicenda dell'annegamento dei suoi amici. Prima di entrare nel villaggio di Qaber, si attraversa Zupce, villaggio dove abita una comunità di serbi. Poche case. A qualche metro dalla case di Fitim sfreccia davanti a noi la macchina del Primo ministro. Una visita privata alla famiglia del bambino sopravissuto ed anche alla famiglia di Florent, bambino di otto anni il cui corpo non è stato ancora ritrovato.
Aspettiamo fuori dalla porta, che il Primo ministro finisca la sua visita. Davanti a noi Fitim con una bicicletta nuova va in giro per le stradine attorno a casa sua. Mi trovo a pensare che gli sia stata regalata per provare a dimenticare la tragedia e le forti pressioni alle quali è stato sottoposto.
Il padre di Fitim ci accoglie anche se non avevamo avvertito della nostra visita. Ci dice di essere un po' consolato dalla visita del Primo ministro perché, a suo dire, "stavo molto male del pensiero che i grandi signori dell'UNMIK non facessero passare giorno senza visitare una casa od una chiesa ortodossa bruciata e non sono mai passati di qui".
"Sembra quasi una punizione" aggiunge Cekran, padre di Fitim "non ne capisco la ragione. Ho anche chiesto al portavoce UNMIK Sunil Narula il motivo di questo boicottaggio e quest'ultimo mi ha risposto che Holkeri è impegnato in altre visite". Cekran assieme ai genitori dei due bambini morti si dice comunque del tutto insoddisfatto delle indagini compiute sull'incidente. In particolare si lamenta del fatto che nessuna attenzione è stata data alle dichiarazioni del figlio.
Fitim sembra ancora traumatizzato dall'esperienza che ha vissuto. E' stato tartassato dai giornalisti internazionali e locali. Proprio un'intervista che gli è stata fatta immediatamente dopo la morte dei suoi amici ha acceso le tensioni in Kossovo. Lo afferma in un proprio rapporto sia l'OSCE che il TMC (Commissario temporaneo sui media) che stigmatizza il sensazionalismo dei media kossovari che avrebbe portato alle violenze del 17 e 18 marzo scorso.
Fitim esita un po' prima di incamminarsi verso il luogo della tragedia. Suo padre afferma che il bambino non è ancora tranquillo. In ogni caso ci incamminiamo verso il fiume. Con noi viene anche un gruppo di giovani. Cekran insiste sul fatto che le relazioni con i serbi sono un problema costante.
Ci avviciniamo al fiume Ibar. Un fiume con il letto abbastanza ristretto ma un grosso volume di acqua. La corrente è fortissima. Su entrambi i lati del fiume i campi appartengono ad albanesi, un po' più in là alle famiglie serbe.
Chiedo a Fitim se era venuto altre volte a giocare in questa ziona. "Si, molte altre volte" mi risponde e mi racconta di quando , una volta, hanno giocato con le rane in una pozza d'acqua non molto distante.
Ma non avevate avuto paura le altre volte? "Si abbiamo avuto paura che i serbi ci picchiassero". Ma allora perché siete ritornati a giocare qui? "Così lontano dal ponte non eravamo mai andati", risponde Fitim. Un giorno prima della tragedia i cittadini serbi del villaggio vicino avevano denunciato il furto di tre mucche, senza però accusare gli albanesi. Negli stessi giorni la comunità serba aveva bloccato una strada nei pressi di Prisitina e la tensione era alta. Ma questo i bambini non lo potevano sapere.
Fitim racconta che assieme a loro c'erano anche due ragazzi più grandi, che però se ne erano andati poco prima che si verificasse l'incidente. Poco distante da dove giocavano c'era un serbo che nel proprio campo stava bruciando nella sabbia del granoturco. Poi, a a meno di cento metri è apparso un altro serbo che ha iniziato ad insultarli. "Come avete capito che parlava proprio con voi?Il fiume fa tanto rumore ...", chiedo io. "Era girato verso di noi e non c'era nessun altro", risponde il ragazzino.
"Con lui aveva un cane, di color rame. Non molto grande ma si avvicinava verso di noi" continua il suo racconto Fatim. Questo è stato sufficiente a suo avviso per spaventarli. "Avni Veseli e Egzon Veliu sono stati i primi a saltare in acqua, io e mio fratello siamo entrati in un altro punto del fiume, dove i salici erano meno fitti". Tra i tronchi dei salici ancora i nastri della polizia. Fitim continua a narrare l'accaduto non solo con le sue parole ma anche con quelle di chi lo circonda. Ha imparato bene a raccontare la storia ma se si fa una domanda improvvisa ha difficoltà a rispondere. "Cosa ho visto del serbo? Il suo profilo quando si è avvicinato per controllare dove fossimo finiti". Fitim a quel punto sarebbe stato dall'altra parte del fiume, dopo averlo attraversato. "Aveva i capelli rasati corti ed una camicia rossa".
"Cosa sarebbe successo se non foste entrati nel fiume?", chiedo io. Fatim pensa un po'. "Non so, il cane ci avrebbe morsi e poi il serbo ... avevamo paura". "Li avrebbero picchiati", interviene alle sue spalle un ragazzo di vent'anni. Per Fatim diventa difficile rispondere alla domanda dopo che è intervenuto il ragazzo più grande.
Me ne vado da Qaber. Resta evidente che nei bambini del Kossovo si sedimenta una paura sempre presente rispetto "all'altro" trasmessa dagli adulti. Mi allontano dal fiume Ibar nella convinzione che una verità definitiva sull'incidente sarà difficile da ottenere, come difficile sarà ottenere verità e giustizia in merito alla morte dei tre bambini serbi a Gorazdevac, la scorsa estate. Ed intanto mi chiedo. Ma tutto questo silenzio e mistero dell'UNMIK sulla vicenda di questi ragazzini, serve alla convivenza o rischia di approfondire l'avversione tra serbi ed albanesi?