Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha approvato all'unanimità il piano in sei punti di Ban-Ki-Moon per il dispiegamento della missione Eulex. Malumore in Kosovo, dove l'accordo viene letto come il primo passo verso una partizione de jure. Possibile marginalizzazione dell'ICO
Alla fine, il momento della missione Eulex (European Union Rule of Law Mission in Kosovo) sembra essere arrivato. La missione europea ha ottenuto luce verde dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, e potrà iniziare il suo dispiegamento operativo in Kosovo.
Le annose divisioni all'interno del Consiglio sono state superate mercoledì 25 novembre, quando a New York è stato approvato all'unanimità il piano in sei punti del Segretario Generale Ban-Ki-Moon, che prevede che la missione europea rimanga neutrale rispetto allo status del Kosovo, operi sotto l'ombrello della risoluzione 1244 e non faccia alcun riferimento esplicito al piano Ahtisaari e all'indipendenza del Kosovo.
Eulex ha subito ripetuti rinvii fin dal momento in cui è stata approvata dall'Unione Europea lo scorso 16 febbraio, un giorno prima che Pristina si dichiarasse indipendente dalla Serbia. I problemi sono cominciati ancor prima che i primi membri della missione avessero messo piede in Kosovo.
All'inizio, e per lungo tempo, è stata Belgrado ad opporsi, appellandosi alla necessità di un'approvazione del Consiglio di Sicurezza ad ogni cambiamento sul terreno. Poi la palla è passata a Pristina, contraria ad un dispiegamento che escludesse le zone abitate da serbi e soprattutto il Kosovo settentrionale, dopo che il piano in sei punti presentato da Ban-Ki-Moon per sbloccare l'impasse ha messo nero su bianco che polizia, dogane e giustizia nelle zone abitate in prevalenza da serbi resteranno sotto il controllo dell'Unmik.
Nelle settimane passate le istituzioni kosovare hanno espresso chiaramente la loro opposizione al piano Ban-Ki-Moon, sostenendo che questo fosse in contraddizione con la costituzione approvata lo scorso giugno.
All'annuncio dell'accordo raggiunto a New York, però, ad attirare l'attenzione è stato l'iniziale basso profilo scelto dai rappresentanti del governo kosovaro nel ribadire il proprio "no" al piano. Né il premier Hashim Thaci né il presidente Fatmir Sejdiu si sono affrettati a rivolgersi direttamente ai propri concittadini per spiegare loro il significato degli ultimi sviluppi.
Il primo a muoversi è stato Thaci, che in un'intervista alla tv pubblica kosovara di giovedì 27 novembre ha ribadito che il piano Ban-Ki-Moon "resta inaccettabile", che "non permetteremo in nessun modo che venga violata la sovranità del Kosovo" e che "la missione Eulex verrà dispiegata sull'intero territorio kosovaro".
Thaci ha rincarato la dose domenica 30 novembre, quando ha detto che "il piano in sei punti è morto... I sei punti devono essere dimenticati, perché rappresentano solo il sogno malvagio di Belgrado". Il premier kosovaro non ha però chiarito se e quali saranno le contromosse di Pristina, né come verrà gestita l'eventuale contraddizione tra il dettato costituzionale e il piano Ahtisaari da una parte, e il fatto che Eulex verrà dispiegata sotto l'ombrello dell'Onu e in linea con la risoluzione 1244, la stessa che Thaci aveva definito "irrilevante" per il Kosovo.
Ben più rumorosa, fin dall'inizio, è stata invece l'opposizione. Ramush Haradinaj, leader dell'Aak (Alleanza per il Futuro del Kosovo), ha accusato il governo e il presidente di aver "siglato la divisione del Kosovo", e ha chiesto che la questione venga portata in parlamento. La Ldd (Lega Democratica di Dardania) si è spinta fino a chiedere le dimissioni di Thaci e Sejdiu per il fallito tentativo di Pristina di contrastare il piano Ban-Ki-Moon.
Nel frattempo una coalizione di quindici organizzazioni non governative kosovare, tra cui l'ong anticorruzione "Cohu" e il movimento Vetevendosje, hanno annunciato l'intenzione di scendere in piazza il prossimo 2 dicembre contro "il piano in sei punti, la risoluzione 1244 e le istituzioni parallele serbe", invitando la popolazione a protestare contro "la violazione dell'integrità e della sovranità del Kosovo".
A parte le dichiarazioni ufficiali, la percezione generale per le strade di Pristina è che gli sviluppi della situazione aprano la strada ad una divisione de jure del Kosovo, che ricalchi la divisione de facto rappresentata dalle istituzioni parallele attive nelle enclave serbe e a nord del fiume Ibar fin dal 1999.
Secondo molti analisti locali, il piano in sei punti porterà ad una maggiore confusione, sia per i cittadini albanesi che serbi, visto che una nuova missione internazionale andrà a dispiegarsi laddove già ora vari centri di potere sovrappongono la propria pretesa di autorità.
Il fatto che Eulex dovrà riferire alle Nazioni Unite, agli occhi dei kosovari significa che, oltre al cambiamento di bandiere e di personale, i cambiamenti positivi saranno limitati o nulli.
Anche se dovesse essere superata l'impasse sul conflitto di autorità tra le varie missioni, la vera sfida, sia per gli albanesi che per i serbi in Kosovo, sarà costituita dalla loro interazione con la coppia Eulex/Unmik, e il grado di funzionalità reale delle due missioni sul campo. Al momento, sembra facile predire problemi e grossa incertezza sul successo della loro coabitazione.
Nel nuovo contesto, a trovarsi in una posizione particolarmente delicata è l'International Civilian Office (ICO), creata con lo scopo di supervisionare l'implementazione del piano Ahtisaari, e che in questa veste ha già approvato e sottoscritto i primi provvedimenti legislativi adottati da Pristina dopo la sua dichiarazione di indipendenza, costituzione compresa.
Il fatto che l'ICO, l'unica istituzione internazionale che opera in Kosovo riconoscendo pienamente la dichiarazione di indipendenza di Pristina dello scorso febbraio, non sia stata nemmeno menzionata nell'accordo raggiunto al Consiglio di Sicurezza, segnala sicuramente una sua marginalizzazione e significativa perdita di autorevolezza.
Lo scorso 14 novembre la sede dell'ICO è stata poi oggetto di un attentato che, pur provocando solamente danni materiali, si è trasformato in fretta in un una storia da "intrigo internazionale".
Pochi giorni dopo l'esplosione, che secondo le ricostruzioni è stata provocata da un ordigno contenente 300 grammi di tritolo lanciato da un veicolo in movimento, la polizia kosovara ha arrestato tre cittadini tedeschi, sospettati di esserne gli autori, che si sono rivelati presto essere membri del BND, il servizio di intelligence di Berlino.
L'attentato è stato collegato da più fonti ai difficili negoziati in corso tra alcuni paesi occidentali e la leadership kosovara sulla riconfigurazione di Unmik e dello spiegamento di Eulex.
A conferma di questa interpretazione era arrivata anche la sentenza del giudice che ha ordinato la custodia cautelare di 30 giorni per i tre sospettati. "La causa dell'attacco, secondo la Procura, è il tentativo di ostacolare l'ICO e il suo capomissione Pieter Feith, che nel momento dell'esplosione era pienamente impegnato, insieme alle autorità del Kosovo, nel processo di dispiegamento di Eulex, e nella piena realizzazione della costituzione del Kosovo e del piano Ahtissari".
I tre cittadini tedeschi sono stati però liberati da giudici internazionali sabato 29 novembre. Secondo varie fonti di stampa, alla base della decisione ci sarebbero anche forti pressioni esercitate dall'imbarazzato governo di Berlino.
L'intera vicenda lascia numerose domande aperte. Innanzitutto resta da capire chi ci sia dietro l'esplosione che ha scosso la sede dell'ICO. A rendere tutto ancora più complicato, nei giorni scorsi è arrivata una rivendicazione, tutta da verificare, dello sconosciuto "Esercito della Repubblica del Kosovo".
Secondo l'emittente pubblica tedesca "Deutsche Welle", resta poi da capire come mai in Kosovo si sia scelto di dare tanta visibilità pubblica alla vicenda, piuttosto che risolverla "con riservatezza", rischiando un grave incidente diplomatico tra il Kosovo e la Germania, che è oggi uno dei maggiori finanziatori internazionali di Pristina.