Il 2010 in Kosovo sarà l’anno di Madre Teresa. Un successo politico e una vetrina per la minoranza cattolica, che rivendica un nuovo ruolo nel Kosovo indipendente. Ne parliamo con Don Lush Gjergji, Vicario Generale del Vescovo, seconda carica della Chiesa Cattolica del Kosovo
Lo scorso 10 dicembre, a trent’anni dalla consegna del Nobel per la Pace alla religiosa albanese, il Presidente del Kosovo Fatmir Sedju ha proclamato il 2010 “anno di Madre Teresa”. Una grande occasione per la Chiesa Cattolica del Kosovo...
Nel 2010 cercheremo di celebrare in modo dignitoso il centenario dalla nascita di Madre Teresa. Vogliamo offrire un esempio di pace, di convivenza, di fratellanza e di vicinanza ai poveri, ripercorrendo la storia e la vita di una questa nostra sorella. C'è già un calendario di attività, tutte dedicate a Madre Teresa, che comprende incontri pubblici, un convegno internazionale, esibizioni d’arte e la diffusione di pubblicazioni e documentari sulla sua vita. Le celebrazioni non riguarderanno solo il Kosovo. I festeggiamenti si svolgeranno nel triangolo Albania, Macedonia e Kosovo: tutti luoghi significativi nella vita della religiosa e della sua famiglia. Si partirà da Tirana il 26 agosto, data di nascita di Madre Teresa, per passare poi a Pristina il 5 settembre, giorno della sua morte, dove avrà luogo l’inaugurazione della Cattedrale a lei dedicata.
Parliamo della Cattedrale. Per una piccola minoranza come quella cattolica, la realizzazione di un progetto così importante starà sicuramente richiedendo un grande sforzo politico e finanziario.
La prima pietra è stata posta nell’anno della beatificazione di Madre Teresa (2003). I lavori sono iniziati tre anni fa. La Cattedrale è il frutto dell’impegno di tanti, in primis del defunto Vescovo Sopi e del Presidente Rugova, uomo di cultura innamorato della tradizione cristiana albanese. Con la concessione del terreno su cui oggi si sta erigendo la Cattedrale, Rugova ha voluto chiedere scusa ai cattolici del Kosovo per tutto ciò che hanno dovuto subire in passato.
Abbiamo dovuto attendere anni perché l’opinione pubblica si rendesse conto che in Kosovo è presente una chiesa apostolica. La Cattedrale è l’espressione della continuità e della presenza nella regione della Chiesa Cattolica, che ha avuto un ruolo chiave nella formazione identitaria della componente albanese kosovara.
L’edificio sorgerà nel pieno centro di Pristina e la sua posizione ha un significato importante. In epoca jugoslava lo stesso terreno ospitava una prigione e una sede della polizia serba. Noi abbiamo chiesto un posto centrale. Rugova ci ha concesso proprio quello perché intendeva con un tale gesto cancellare un luogo di sofferenza.
Il costo complessivo dei lavori si aggira attorno ai cinque milioni di euro, di cui tre già spesi. Quest’opera è resa possibile dal grande cuore della nostra gente. Ogni parrocchia del Kosovo ha raccolto delle offerte, ogni famiglia ha tenuto un salvadanaio per dare il proprio contributo. Vi è stato anche un grande contributo dei non cattolici. La diaspora albanese in Europa e in America ha avuto un ruolo chiave. C’è stata una gara di solidarietà inter-religiosa tra albanesi, che si sentono uniti attorno a questo progetto.
I rapporti tra la Chiesa Cattolica e l’élite politica albanese sembrano essere ottimi. Nello scenario politico kosovaro, però, non esiste ancora un grande movimento di ispirazione cristiana in grado di raccogliere i consensi della comunità cattolica. Perché?
Un partito democristiano esiste, ma non rappresenta la comunità cattolica nel suo complesso. Molti cattolici avevano poi una profonda stima di Rugova e di conseguenza hanno finito con l’appoggiare il suo movimento. Alcuni cattolici, inoltre, hanno trovato interessi comuni con altri partiti e per questo non hanno avuto bisogno di crearne uno che li rappresenti. E’ il caso ad esempio dell’AAK di Haradinaj. Oggi sono quindi tre i partiti che raccolgono il maggior numero di consensi tra i cattolici: LDK, il partito democristiano e l’AAK.
Come Chiesa rimaniamo ovviamente fuori dai giochi politici. Ma in linea di principio abbiamo sempre consigliato ai nostri cattolici di scegliere i “partiti dei valori”, ovvero quei partiti che offrono maggiori garanzie per quanto riguarda la protezione della vita e della famiglia, l’attenzione ai poveri e una visione pluralistica e aperta della società.
Il Kosovo ha compiuto negli ultimi anni miglioramenti sulla libertà di culto, ma molto resta da fare in un’ottica di vera riconciliazione tra le comunità religiose. La Chiesa Cattolica si trova in una posizione privilegiata per la mediazione, condividendo con i musulmani la nazionalità albanese e con gli ortodossi la fede in Cristo. Quali sono i passi concreti compiuti in questa direzione?
Vogliamo essere una chiesa ponte. Con la comunità islamica abbiamo rapporti costruttivi. Il nostro Vescovo Dodë Gjergji ha recentemente avuto un incontro molto importante con il Presidente della Comunità Islamica. Assieme hanno deciso di creare una commissione mista che si incontrerà regolarmente con l’obiettivo di promuovere uno scambio di informazioni. Questa è unità nella diversità.
Abbiamo invece serie difficoltà di dialogo con la Chiesa Ortodossa serba, la quale ha a sua volta difficoltà interne. In essa vi sono due tendenze: la prima concepisce il ruolo della chiesa in chiave nazionale. La seconda mira a lasciare da parte la politica per concentrarsi sulle persone. Ci auguriamo che il nuovo Patriarca possa portare un nuovo spirito cristiano e che sia possibile riprendere al più presto il dialogo ecumenico. La nazione non può venire prima di Dio e, a parte questo, non ci sono altre cose che ci separano. A livello internazionale, l’incontro tra Papa Benedetto XVI e il Patriarca di Mosca potrebbe facilitare l’avvio di una nuova spinta ecumenica in Europa.
Quando ero parroco a Viti/Vitina, avevo contatti quotidiani con i serbi. Dopo la guerra siamo riusciti a realizzare opere concrete per il bene di tutti. A livello locale il dialogo è possibile e conosco tanti altri parroci che potrebbero raccontarvi storie simili alle mie. I problemi nascono quando si sale di grado. Più si va in alto, più la comunicazione diventa difficile, perché i vertici della Chiesa Ortodossa impediscono ogni collaborazione con albanesi e internazionali.
Laddove ci sono comunità miste, cattolici e ortodossi hanno trovato un loro modus vivendi. Oggi i serbi vivono in una condizione di “discriminazione positiva” e di questo devono rendersi conto. Da parte nostra continuiamo a dare segnali di apertura alla chiesa sorella ortodossa. L’opportunità di dialogare ora c’è, perché viviamo in una condizione di libertà per tutti.
Raggiunta l’indipendenza politica, dobbiamo aspettarci dei cambiamenti anche sulla posizione della Chiesa Cattolica del Kosovo in relazione alle altre chiese e conferenze episcopali della regione?
E' ancora presto per rispondere a questa domanda. Sicuramente il Vaticano sta studiando la nuova situazione che si è venuta a creare nella regione. Prima esisteva una Conferenza Episcopale Jugoslava. Oggi esistono diverse conferenze episcopali, come ad esempio quella slovena e quella croata. La Conferenza dei Santi Cirillo e Metodio comprende oggi le chiese di Serbia, Montenegro, Macedonia e Kosovo. Se questa esperienza è da considerarsi esaurita, ciò dipenderà dalla scelte del Vaticano. Di sicuro serve una soluzione più adeguata e più corrispondente allo scenario esistente. La prospettiva potrebbe essere quella di una conferenza pan balcanica.