I serbi del Kosovo settentrionale sono decisi a non rinunciare al referendum col quale vorrebbero decidere se accettare o meno le istituzioni statali di Pristina. Nonostante la contrarietà della Belgrado ufficiale e della municipalità di Leposavić, vicina al ministro serbo per il Kosovo Goran Bogdanović
Le polemiche sul referendum che si dovrebbe tenere al nord del Kosovo, l’arresto dei fratelli Veselinović (tra i protagonisti delle proteste delle barricate) e l’arrivo nel nord del Kosovo di aiuti umanitari provenienti dalla Russia (accompagnati dallo stesso ambasciatore russo in persona). Ciononostante si può affermare che il Kosovo abbia trascorso abbastanza tranquillamente le festività invernali.
Quando la polizia lo ha fermato assieme al fratello, in Serbia centrale, sulle spalle di Zvonko Veselinović pesavano sospetti sollevati da media e da funzionari serbi di aver organizzato barricate e azioni violente nei confronti della KFOR. Dell'indagine sul suo conto però non si sa nulla, se non che è stato accusato di "affari illeciti". Il fratello intanto è stato rilasciato.
In ogni caso le barricate ci sono ancora. Vicino ora ci sono delle tende, dentro le quali davanti al fuoco, il tè e il cibo rimasto dalle feste natalizie appena trascorse stanno di guardia una manciata di persone. In questo momento la KFOR ha allentato la pressione e le barricate nel frattempo sono diventate una sorta di meta di pellegrinaggio ideologico-culturale per molte persone, del posto o straniere.
Il pellegrino russo
L’apice delle visite al nord è stato l’arrivo di un convoglio umanitario dalla Russia, con a capo, l’ormai noto ambasciatore Aleksandar Konuzin che a Belgrado si è sempre erto a difensore dell'integrità territoriale della Serbia. L'ambasciatore, oltre agli aiuti, ha consegnato alcune icone, come dono speciale del presidente Putin al popolo serbo ed è stato accolto con grandi ovazioni.
L’arrivo del convoglio è stato un grande spettacolo mediatico: il convoglio cercava di passare dai valichi di frontiera chiusi, con Eulex alla fine che cedeva e li faceva passare sotto scorta.
Il referendum
Comunque, a differenza della calda stagione estiva, quando è scoppiata la questione del nord del Kosovo, adesso non ci sono state nuove agitazioni. Persino le reazioni fortemente negative di governo kosovaro, Belgrado e comunità internazionale rispetto alla decisione dei serbi del Kosovo di tenere un referendum, col quale dovrebbero decidere se accettare le istituzioni statali kosovare o meno, non sembra averli scossi più di tanto.
Alla base del referendum l’applicazione dell’accordo fra Belgrado e Pristina sulla libertà di movimento, e che in pratica si riferisce al movimento delle persone e al traffico di merci attraverso il passaggio di Merdare. I serbi del nord contestano l'accordo e la risposta è stato il referendum.
Di referendum i serbo-kosovari del nord discutevano più o meno segretamente sin dalla metà degli anni duemila, come di una possibile risposta all’eventuale dichiarazione di indipendenza del Kosovo.
Il referendum è fissato per il 14 e 15 febbraio prossimi, giornata nazionale della Serbia e per ora senza il sostegno della Belgrado ufficiale. Dopo che sono trapelate notizie su un possibile rinvio della consultazione i comitati organizzatori locali sono stati chiari: “Non c’è alcun motivo di rimandare il referendum di Kosovska Mitrovica”. Il referendum, già in fase di preparazione, sarà finanziato con donazioni fornite da aziende private e da singole persone. Tre dei quattro comuni del nord appoggiano il referendum. Mentre parte dell’amministrazione del comune settentrionale di Leposavić, vicino all’attuale ministro per il Kosovo, anch’egli di Leposavić, Goran Bogdanović, si oppone.
Parola d'ordine: minimizzare
Belgrado inizialmente ha tentato di opporsi strenuamente all'ipotesi, in ottemperanza alle forti critiche immediatamente emerse in seno alla comunità internazionale. Poi la strada scelta sembra essere stata quella della minimizzazione dell'importanza di un eventuale referendum.
Ciononostante se il referendum dovesse tenersi, e avesse un richiamo di massa sulla popolazione locale, rappresenterà un altro passo indietro nei rapporti con le istituzioni kosovare e un voltare le spalle netto dei serbi del Kosovo a Belgrado.
Noto a tutti? Fa lo stesso
Alle critiche di Belgrado – e dei serbi del Kosovo in servizio a Belgrado - e dei funzionari internazionali che il “risultato del referendum è noto in anticipo, ed è quindi inutile” i promotori hanno ribattuto che gli stessi albanesi kosovari hanno dimostrato che i referendum sono utili anche se mostrano quello che è generalmente noto a tutti, ricordando i referendum sull’indipendenza, le votazioni del presidente nel 1991 e nel 1992 e la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo nel febbraio 2008.
“E’ ora che anche noi impariamo qualcosa da loro”, dice Dobrosav J. (40), di Zubin Potok. “Il mondo gli ha riconosciuto il diritto all’autodeterminazione, quindi che riconosca lo stesso diritto adesso anche a noi. Noi non siamo un milione e mezzo, ma anche 70.000 è un numero sufficiente per esprimere la libera volontà contro la violenta imposizione del sistema e dell’opinione altrui”.
La pensa come lui il sindaco di Mitrovica Nord, Krstimir Pantić, che ha invitato tutti quelli che affermano che il referendum è infondato ad inoltrare richiesta al Tribunale costituzionale per valutarne la costituzionalità: “Al centro della nostra questione c’è il dilemma se i cittadini vogliono l’autogestione locale serba o albanese. Questo è un pieno diritto dei cittadini che hanno diritto al referendum in base alla Costituzione, alla Legge sul referendum e alla Legge sulla autonomia locale della Serbia”.
Qualunque sia la cornice legale del referendum, nel caso si tenesse, il suo messaggio politico sarà molto chiaro. E le conseguenze serie, sia che il risultato venga preso in considerazione dagli internazionali oppure, come è stato fino ad ora, venga ignorato.