Nuova risoluzione ONU dopo le elezioni in Serbia, periodo di transizione e infine apertura a eventuali riconoscimenti. I piani per l'indipendenza slittano di un anno, e il nuovo assetto non sarebbe molto diverso dall'attuale, sotto forte controllo internazionale. L'analisi di Tim Judah
Di Tim Judah*, Londra, per BIRN, Balkan Insight, 23 novembre 2006 (titolo originale: "Fresh Delays Likely to Kosovo's Independence")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta
Gli albanesi kosovari stanno ancora metabolizzando l'amara scoperta che lo status finale del Kosovo non sarà deciso entro la fine di quest'anno, come i loro leader gli avevano promesso, e come era nelle speranze di alcuni membri del Gruppo di contatto internazionale che si occupa della questione.
Ora si trovano a dover affrontare ciò che alcuni diplomatici chiamano "la delusione doppia", del dover subire ritardi aggiuntivi che potrebbero spostare il riconoscimento del loro nuovo Stato fino alla fine della prossima estate, e oltre.
Inoltre il prezzo da pagare per l'indipendenza includerà - stando alle attese - diversi elementi a loro non graditi.
Importanti diplomatici europei, di stanza a Pristina o che comunque si occupano quotidianamente dei rapporti col Kosovo, in una serie di interviste hanno detto chiaramente che ampi ritardi alla definizione dello status sono ora divenuti inevitabili.
Ciò è un riflesso della necessità di trovare un consenso tra i membri del Gruppo di contatto, in particolar modo per quanto riguarda la Russia, nonché dell'esigenza di stabilire un "periodo di transizione" tra una nuova risoluzione dell'ONU e quello che essi chiamano lo "status day".
Nel febbraio scorso l'ONU chiese a Martti Ahtisaari, ex Presidente della Finlandia, di lavorare per trovare una soluzione negoziale per il Kosovo, che si trova sotto mandato ONU fin dal 1999.
Tecnicamente il Kosovo è tuttora parte della Serbia. Però almeno il 90 per cento dei suoi due milioni di abitanti è composto da albanesi, che domandano l'indipendenza.
Dato che serbi ed albanesi kosovari non riuscivano a trovare un accordo sul futuro status, a lungo ci si è aspettati che Ahtisaari proponesse al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite un pacchetto di misure che avrebbero portato alla fine all'indipendenza, sia pure dietro alcune condizioni.
Ahtisaari dapprima aveva espresso l'intenzione di presentare il suo piano in questo periodo, dato che le diplomazie occidentali sostenevano di voler vedere la questione del Kosovo risolta entro la fine di quest'anno.
Ma, in seguito ad un referendum in Serbia per una nuova costituzione, che rafforzava le pretese sul Kosovo, e dopo l'indizione in Serbia di nuove elezioni, Ahtisaari e i diplomatici hanno acconsentito alle richieste serbe, di posporre la risoluzione della questione kosovara a dopo le consultazioni elettorali.
Questo principalmente perché nessuno voleva dare all'ultranazionalista Partito radicale serbo una nuova arma per la campagna elettorale.
A questo punto sembra probabile che Ahtisaari presenterà il suo piano alla fine di gennaio o all'inizio di febbraio 2007. Ma con la Russia presidente di turno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in gennaio, e la Slovacchia in febbraio, le speranze si rivolgono ora alla Gran Bretagna, affinché durante il suo mandato di marzo 2007 realizzi una nuova risoluzione ONU che rimpiazzi la preesistente 1244 del 1999.
È improbabile che la futura risoluzione menzioni la parola "indipendenza", ma essa darà comunque la possibilità ai singoli Paesi di riconoscere il nuovo Stato.
Mentre gli albanesi kosovari avevano in precedenza dato per scontato che il riconoscimento sarebbe arrivato immediatamente dopo una nuova risoluzione ONU, fonti diplomatiche indicano ora che ciò potrebbe anche non accadere.
Secondo queste fonti, al momento ci si attende un intervallo di diversi mesi tra la nuova risoluzione e lo "status day".
Un motivo per questo periodo di transizione è che la risoluzione basata sulle indicazioni di Ahtisaari obbligherà il Kosovo a fare diversi cambiamenti prima di poter essere riconosciuto.
Tra questi, l'inserimento in una nuova costituzione di clausole sul rispetto dei diritti delle minoranze e sul decentramento del governo locale, che potrebbero garantire diritti diversi alle municipalità a prevalenza serba rispetto a quelle a maggioranza albanese.
Un secondo punto è già diventato il tema di una disputa tra i pianificatori dell'ONU a New York e le loro controparti dell'Unione Europea.
L'UE è chiamata a giocare un ruolo guida nell'organismo internazionale che succederà all'attuale missione ONU, l'UNMIK. Ma mentre l'ONU chiede un periodo di transizione che duri fino a sei mesi tra la nuova risoluzione e un pieno passaggio di consegne al previsto Ufficio civile internazionale (ICO), e lo "status day", l'UE vorrebbe una più breve fase transizionale, di tre mesi.
Se l'ONU dovesse imporsi, e se una nuova risoluzione passasse nel prossimo marzo, il riconoscimento potrebbe avvenire non prima del settembre prossimo, al più presto.
Anche l'ipotesi di arrivare ad una risoluzione in marzo è una previsione tutt'altro che scontata, data la forza e la costanza dell'opposizione russa all'indipendenza del Kosovo. "Ci potrebbero volere settimane come mesi", ha affermato un diplomatico.
Per ora, nessun Paese vuole riconoscere un Kosovo indipendente al di fuori della cornice di una risoluzione ONU, e se non dovesse arrivare una risoluzione, come si è espresso un diplomatico, "non è previsto un Piano B".
È improbabile che dei Paesi riconoscano il Kosovo prima dello "status day", anche nell'ipotesi che il parlamento kosovaro dichiari l'indipendenza, dato che resterebbe comunque in vigore la risoluzione 1244 dell'ONU.
La consapevolezza che si profilano ulteriori ritardi ha fatto sorgere preoccupazioni negli ambienti più inattesi. Un importante funzionario serbo ha espresso il timore ora emergente che, anche se la Serbia si è battuta perché la Russia bloccasse l'indipendenza del Kosovo, le conseguenze di un successo in quest'ambito potrebbero in effetti essere negative per la Serbia.
Questo funzionario ha notato che se la Russia bloccasse una risoluzione ONU, o barattasse una risoluzione sul Kosovo con altri interessi, nel territorio si diffonderebbe una nuova ondata di violenza, che spingerebbe ad un nuovo esodo di serbi dal Kosovo e danneggerebbe la fiducia e gli investimenti stranieri in Serbia.
Quest'ultima è una considerazione prioritaria, dato che in questo solo anno la Serbia prevede di ricevere investimenti diretti dall'estero per un valore di quattro miliardi di dollari.
In altri termini, qualsiasi cosa succeda in Kosovo, probabilmente nessuna delle due parti ne uscirà soddisfatta.
Un colpo ulteriore per gli albanesi: sembra che i poteri che la risoluzione ONU conferirà all'ICO saranno molto maggiori di quanto gli albanesi kosovari si aspettano.
Chi sta pianificando l'ICO si sta attenendo strettamente al modello dell'Ufficio dell'Alto rappresentante, OHR, in Bosnia ed Erzegovina. Quindi, sostiene un diplomatico, il Rappresentante civile internazionale (ICR) in Kosovo presumibilmente godrà di "ampi poteri di controllo".
Anche se la presenza internazionale in Kosovo avrà una base legale diversa dalla Risoluzione 1244 dell'ONU, agli effetti pratici, ha aggiunto, "la gente virtualmente non vedrà alcuna differenza".
*Tim Judah è autore di "I serbi: storia, mito e la distruzione della Jugoslavia" e "Kosovo: guerra e vendetta", entrambi pubblicati da Yale University Press. Balkan Insight è la pubblicazione online di BIRN