E' stato a lungo considerato uno dei leader serbi più pragmatici e disposti al dialogo del Kosovo del nord. Anche per questo l'arresto di Oliver Ivanović, accusato di crimini di guerra risalenti al biennio 1999-2000 continua a suscitare forti polemiche e speculazioni
Quando la notizia dell'arresto di Oliver Ivanović è deflagrata come una bomba, nel giorno della grande festa serba di San Sava (27 gennaio), i sostenitori del suo partito “Iniziativa Civica Serbia, Democrazia e Giustizia” hanno negato frettolosamente la notizia, dichiarando che il loro leader "da cittadino responsabile si è presentato di fronte alle autorità della missione europea Eulex per rispondere alle loro domande".
Tuttavia in tarda serata è divenuto chiaro che Ivanović, uno dei principali leader dei serbi del Kosovo - e uno dei più apprezzati dai rappresentanti della comunità internazionale - era stato formalmente arrestato con l'accusa di crimini di guerra, che sarebbero stati commessi nel biennio 1999-2000.
Tutti, compresi suoi più stretti collaboratori e lo stesso Ivanović, si aspettavano che la convocazione ricevuta da Eulex fosse niente di più che un atto informale, nonostante circolassero da anni voci su un fascicolo contro Ivanović, lasciato a prendere polvere in qualche cassetto. Anche i media kosovari nel corso degli anni hanno scritto più volte di un presunto coinvolgimento di Ivanović e di altri serbi nell'uccisione ed espulsione di cittadini albanesi da Mitrovica nord durante la guerra in Kosovo e nei primi anni 2000.
Uomo immagine
In pubblico, Ivanović non ha mai dato l'impressione di essere preoccupato dalle accuse che gravavano ufficiosamente sul suo conto. Come nessun altro politico serbo, Ivanović in questi anni è stato in grado di muoversi liberamente in Kosovo e lavorare a stretto contatto con i rappresentanti della comunità internazionale e con i politici kosovari.
Trascorrendo anche molto tempo a Belgrado, era riuscito ad imporre di sé l'immagine di politico di specie rara in Kosovo, capace di mantenere buone relazioni sia con la comunità internazionale sia con gli albanesi kosovari. Dai suoi interlocutori, in Serbia, in Kosovo o negli ambienti internazionali, Ivanović è generalmente considerato un politico brillante, pragmatico ma anche sofisticato, moderno, fluente in albanese e inglese, sempre disponibile con i media, forte di un patrimonio di relazioni su tutti i fronti.
Nel contesto kosovaro, Oliver Ivanović è dunque spesso visto come un "uomo immagine" in ottimi rapporti con i media soprattutto quelli internazionali, fatta eccezione per alcuni organi di informazione kosovari e occasionali campagne di linciaggio provenienti da Pristina.
Karate e cambiamento
Oliver Ivanović è salito alla ribalta, sia in Kosovo che agli occhi del pubblico internazionale, come il leader dei "guardiani del ponte" (bridgewatchers), un gruppo di giovani organizzatosi spontaneamente, a cui in seguito si aggiunsero i pochi serbi rimasti nel Nord del paese dopo il ritiro delle forze di sicurezza serbe nel giugno del 1999. Obiettivo dichiarato dei “guardiani” era proteggere i civili serbi e fronteggiare, almeno a nord di Mitrovica, lo scenario che si andava dispiegando in tutte le aree a sud del fiume Ibar.
Con il ritiro delle forze serbe, l'avanzata dell'UÇK ed il massiccio rientro della popolazione albanese precedentemente espulsa dai militari agli ordini di Milošević, e pur in presenza delle forze internazionali, la popolazione civile serba venne espulsa da tutte le città e da molti villaggi.
Proprietà, cimiteri e monasteri vennero saccheggiati, bruciati. Ci furono anche casi di rapimento, omicidio e minacce. Quando il ritorno in massa degli albanesi iniziò anche a Mitrovica Nord, i serbi rimasti si auto-organizzarono per fronteggiare il ritorno degli albanesi ed impedire la presa delle istituzioni nella parte settentrionale della città. Un intento culminato nel febbraio 2000 nell'uccisione di dieci persone, a cui seguì la cacciata della quasi totalità delle famiglie albanesi residenti a nord del fiume Ibar [vedi box].
Nei primi anni del dopoguerra, Ivanović è stato senza dubbio il leader serbo più popolare nel nord del Kosovo, mentre dagli albanesi era visto come un estremista, un “paramilitare” e un “criminale di guerra”. Presto, grazie al suo spirito di iniziativa e al suo pragmatismo, ma anche ai suoi contatti sul territorio, Ivanović riuscì ad imporsi agli occhi dei rappresentanti internazionali come un negoziatore chiave, rivelando tutto il suo carisma e guadagnando rispetto.
Probabilmente l'esempio più significativo del mutamento della sua immagine in Occidente è racchiuso in un articolo pubblicato dal Times nell'ottobre del 2000. Il giornalista Andrew Purvis nel suo pezzo intitolato “A man of abrupt changes”, descriveva Ivanović come il più “abile” e “astuto” tra i politici serbi, persino più di leader come Koštunica o Đinđić, e non mancava di notare come “l'ex maestro di karate fosse, fino a sei mesi prima, il nemico numero uno della comunità internazionale”.
“Adesso è un uomo diverso”, continuava Purvis, entrando nel dettaglio della trasformazione estetica, retorica e politica che il leader serbo aveva compiuto in soli sei mesi.
"Traditore dei serbi del nord"
Negli anni dei difficili negoziati nel tentativo di riunire le due parti della città di Mitrovica, la resistenza dei serbi nel nord del Kosovo è continuata. Mentre la popolarità di Ivanović nei media occidentali cresceva, così come la fiducia nei suoi confronti da parte della comunità internazionale e dei politici kosovari, la sua reputazione agli occhi dei serbi del Kosovo si indeboliva, sotto i colpi dell'accusa di aver “svenduto gli interessi serbi”. Dopo la guerra si è progressivamente allontanato da due suoi stretti alleati, Marko Jakšić e Milan Ivanović, con cui i rapporti non sono più migliorati.
Negli anni che lo hanno visto collaborare strettamente con le istituzioni kosovare, inclusa la partecipazione ai lavori dell'Assemblea legislativa e del governo, Oliver Ivanović ha di fatto perso quella presa che aveva sulla comunità serba del nord, aspetto questo a volte trascurato a Belgrado e Pristina. Nel frattempo, Marko Jakšić e Milan Ivanović diventavano i veri leader della comunità serba, tenendo la linea dura nei confronti della comunità internazionale rispetto ad ogni possibile cooperazione con gli albanesi del Kosovo.
Una nuova giravolta
Dopo le elezioni del 2008 in Serbia e il consequente cambio di governo, Ivanović venne nominato Segretario di Stato del ministero per il Kosovo e Metohija del governo di Belgrado. Un periodo che trascorse principalmente nella capitale serba, pur con frequenti visite in Kosovo. Iniziò così una nuova fase del suo impegno politico da funzionario in cui Ivanović rafforzò la sua influenza sul territorio del Nord del Kosovo, principalmente attraverso il controllo di alcuni funzionari a livello locale.
Nel 2012, con il nuovo cambio di governo in Serbia, il suo ministero venne sostituito con la Cancelleria per il Kosovo e Metohija. Nonostante le speculazioni mediatiche che raccontavano dei tentativi di Ivanović di conservare la sua posizione in questo ufficio, il nuovo capo dell'agenzia, Aleksandar Vulin, nominò a suo vice l'allora quasi sconosciuto Krstimir Pantić, la cui carriera politica era iniziata sulle barricate erette nel Kosovo del nord durante i tormentati mesi del 2011.
Ivanović è quindi tornato a Mitrovica, dove si è dedicato a rafforzare la sua creazione politica, il movimento “Iniziativa Civica: Serbia, Democrazia e Giustizia – Oliver Ivanović”. Un'operazione portata avanti soprattutto scommettendo sulla persona, sul carattere e sul lavoro di Ivanović, grazie ad una squadra di sostenitori leali che riconoscevano nel loro leader il vero “brand” del partito.
Speculazioni e teorie del complotto
Il Capo Procuratore Speciale della Repubblica del Kosovo, Jonathan Ratel, ha dichiarato di aver iniziato il procedimento contro Ivanović dopo un anno di indagini sui crimini di guerra e sugli incidenti occorsi nell'immediato dopoguerra a Mitrovica. Il procuratore ha confermato l'esistenza di elementi di prova molto seri ai danni di Ivanović.
Molti cittadini del nord, inclusi quasi tutti i leader politici, sono però convinti che si tratti di un arresto con motivazioni politiche. L'arresto di Ivanović è avvenuto esattamente due giorni prima della compilazione delle candidature per la quarta tornata delle elezioni amministrative a Mitrovica, attesa per il prossimo 23 febbraio. Elezioni da subito complesse, segnate dall'omicidio del consigliere comunale Dimitrije Janićijević, amico intimo e padrino di Ivanović, e dalle dimissioni di Krstimir Pantić, arrivate subito dopo essere stato eletto sindaco della città.
Il fatto che tre dei candidati serbi in corsa per la carica di primo cittadino di Mitrovica nord siano stati messi fuori dai giochi in così breve tempo, lascia ampio spazio per speculare sull'esistenza di possibili motivi dietro questo scenario, mentre i cittadini esprimono preoccupazione e paura per il futuro. A questo riguardo, l'episodio sicuramente più preoccupante è stato il brutale omicidio di Janićijević - padre di tre bambini e con un quarto in arrivo. L'omicidio ha impressionato moltissimo, nonostante la notizia della tragedia sia stata presto adombrata da quella dell'arresto di Ivanović.
Ritorna la popolarità
Dal carcere Ivanović ha comunicato la sua intenzione di continuare a correre per la carica di sindaco, e la commissione elettorale ha esteso il tempo utile per la presentare le domande per poter accettare la sua candidatura.
Quando è divenuto evidente che la richiesta di Ivanović di essere rilasciato in attesa di giudizio non sarebbe stata accolta, sembra che il suo partito si sia messo a preparare una campagna elettorale basata proprio sulla difesa di Ivanović e sulla denuncia di quella che viene definita una flagrante violazione dei diritti umani.
Paradossalmente l'arresto ha avuto anche sviluppi positivi per Ivanović. La sua popolarità tra i serbi del nord, ma anche sui social network e tra i giornalisti, è cresciuta rapidamente, come non accadeva dai primi anni duemila. D'altro canto, i rappresentanti internazionali che in questi anni non hanno lesinato gli attestati di stima ad Ivanović, ora preferiscono distanziarsi da qualsiasi speculazione sulla natura politica del suo arresto, dichiarandosi pienamente fiduciosi nell'imparzialità del sistema giudiziario.