Federica Arezzi sta concludendo in queste settimane un’esperienza di cooperazione in Kosovo partita nel 2014. Abbiamo colto l'occasione per parlare con lei dell’ultimo progetto a cui ha contribuito
Il 2020 è stato un periodo difficile per tutti. Anche per voi di Volontari nel Mondo RTM che vi siete trovati a dare avvio ad un progetto triennale dedicato alla prima infanzia in Kosovo in piena pandemia. E’ possibile fare cooperazione in queste condizioni?
Sul settore aiuti umanitari credo non ci siano dubbi sul fatto che si debba fare cooperazione anche in queste condizioni.
Il mettersi in relazione, lo scambio di esperienze e competenze e la circolarità dei saperi, che una “buona” cooperazione consente, creano preziosissime occasioni di auto-riflessività, di aumento della consapevolezza e talvolta di messa in questione delle proprie certezze per tutte le parti coinvolte. Tutte occasioni potenzialmente promotrici di autodeterminazione e generatrici di cambiamento. Queste occasioni mi sembrano fondamentali sempre. A maggior ragione quando i problemi strutturali di ciascun paese vengono aggravati da una pandemia.
Tornando alla possibilità di fare cooperazione in condizioni pandemiche… Chiaramente perché sia possibile farlo, è necessario ripensarsi e riorganizzarsi. Occorre sistematizzare l’utilizzo competente e consapevole di strumenti digitali, fisici e mentali per poter continuare a lavorare garantendo la sicurezza di tutte le persone coinvolte e senza rinunciare all’indispensabile lavoro sul campo.
Lavorare per e con bimbi della prima infanzia è particolarmente complesso. Condivide questa affermazione? Perché?
Non sono una specialista della prima infanzia, ma di diritti delle donne e migrazioni, dunque, risponderò da cooperante in costante dialogo con le realtà del settore.
Per le realtà che hanno deciso di interrogarsi sulla propria filosofia educativa, probabilmente tra gli scogli più ardui da affrontare, nel lavoro quotidiano, individuo la tendenza a sostituirsi ai bambini e alle bambine nell’agire e nel pensare; a comunicare con loro in maniera direttiva e unidirezionale (dall’adulto al minore); a porre domande che implichino già le risposte o addirittura un’unica risposta; a non cogliere il valore di una reale compartecipazione da parte delle famiglie; a proporre contenuti stereotipati e percorsi educativi standardizzati. Percorsi che in quanto stereotipati e standardizzati sono inevitabilmente miopi alle differenze, al background e alle potenzialità di cui ciascun bambino o bambina è portatore.
Per le realtà kosovare coinvolte nel progetto PEDAKOS, credo che la complessità maggiore risiede nel decidere di prendere posizione e di fare scelte educative, organizzative e gestionali coerenti con l’idea di bambino e bambina e di cittadinanza che decideranno di darsi o a cui vorranno tendere.
Avete da poco terminato il primo anno di lavoro su queste tematiche. Cosa non si sarebbe aspettata di riuscire a fare e a cosa invece avete dovuto rinunciare?
Come molte altre associazioni, anche noi abbiamo dovuto ripensare e riprogrammare le attività di progetto alla luce della nuova situazione sanitaria globale e delle nuove esigenze emerse, rimanendo fedeli agli obiettivi e ai risultati attesi di PEDAKOS.
Chiaramente tutte le attività previste per la prima annualità di progetto che richiedevano la compresenza fisica di molte persone, come ad esempio le visite studio in Italia o le attività miranti ad aumentare la partecipazione attiva delle famiglie al processo educativo, sono state posticipate alle annualità di progetto successive.
Sono molto felice e soddisfatta di essere riuscita, insieme a tutta l’equipe di lavoro di PEDAKOS e in particolare alle motivatissime e instancabili colleghe in Kosovo con me, a progettare e implementare la riqualificazione di spazi educativi in 8 scuole d’infanzia. Come immaginerete il lavoro è stato enorme e le condizioni non particolarmente favorevoli, ma siamo molto contente che presto questi spazi verranno inaugurati offrendo nuove possibilità di sperimentazione degli innumerevoli linguaggi dei bambini e delle bambine e di esplorazione delle loro potenzialità.
Lei si occupa dall’ufficio a Pristina di Volontari nel Mondo RTM della gestione dell’intero progetto. Il fatto di occuparsi di prima infanzia, una tematica sulla quale, in Kosovo come altrove, non si pone spesso la dovuta attenzione, ha caratterizzato l’interlocuzione con i soggetti coinvolti? O non è cambiato molto rispetto a vostri altri progetti in Kosovo?
Collaboro con RTM dal 2014, in tutti i progetti che ho coordinato la direzione che abbiamo sempre provato a seguire è stata volta ad attivare processi di autodeterminazione ed empowerment e dunque ad evitare di riprodurre forme di trasmissione verticale e gerarchica del sapere e del potere. Nei valori che muovono l’interlocuzione con i vari soggetti coinvolti, direi non vi è stato un cambiamento rispetto al passato.
Questo tipo di sensibilità caratterizza anche i nostri partner italiani, in particolare il Comune di Reggio Emilia - Istituzione scuole e nidi d’infanzia e Fondazione Reggio Children - Centro Loris Malaguzzi, la cui filosofia educativa - fondata sull’immagine di bambino come soggetto di diritti, costruttore di saperi, competenze e autonomie e che cresce nella relazione con gli altri - promuove un’idea di società che garantisca cittadinanza ai diritti, alle potenzialità e alle differenze di bambini e adulti e che valorizzi i rapporti interumani.
Riguardo proprio ai temi dell’educazione prescolare, RTM si è occupata di prima infanzia in Kosovo fin dal suo arrivo nel paese e le relazioni con diversi dei soggetti coinvolti ha durata ventennale.
In questi mesi di lavoro avete promosso occasioni di formazione e webinar sul Reggio Emilia Approach®, che caratterizza un aspetto importante della cultura pedagogica in Italia. Quale il riscontro dei partecipanti?
Tutti abbiamo avuto modo di fare esperienza su come la digitalizzazione delle formazioni abbia moltiplicato le opportunità di accesso per chi può permettersi un dispositivo e una connessione internet adatti, dall’altro abbiamo sperimentato come sia più faticoso mantenere alto il livello dell’attenzione e quanto sia necessario armarsi di tanta pazienza quando giungono gli immancabili problemi tecnici. Nonostante questa fatica e talvolta una connessione instabile, la partecipazione del gruppo di scuole pilota e partner di PEDAKOS è sempre stata alta ed entusiasta.
I riscontri finora sono stati positivi: dirigenti scolastiche e insegnanti hanno già cominciato a sperimentare l’approccio a partire dalle proprie realtà locali e dalla propria visione della società e ad interrogarsi su alcune pratiche che a loro avviso sono superate e andrebbero ripensate. Certo, il forte desiderio di fare le visite studio a Reggio Emilia per raccogliere ancora più stimoli è comprensibilmente tema ricorrente. Per adesso facciamo del nostro meglio per favorire lo scambio tra le realtà reggiane e quelle kosovare a distanza.
Avete anche tradotto in albanese e serbo due testi chiave del Reggio Emilia Approach®: “Note storiche ” e “Regolamento dei nidi e delle scuole d'infanzia del Comune di Reggio Emilia”. Perché a suo avviso possono tornare utili in un contesto certo diverso da quello italiano come quello del Kosovo?
Quando si promuovono scambi e dialoghi tra realtà differenti, si corre sempre un po’ il rischio che si inneschino dinamiche di squilibrio tra le realtà percepite come più “sviluppate” e quelle meno. Occorre dunque porre sempre moltissima cura, attenzione, energia e riflessione consapevole affinché l’orizzontalità dello scambio non diventi mera retorica.
Un altro rischio ricorrente è quello che le realtà locali nel confronto con realtà altre tendano a schermarsi dietro una narrazione che consenta loro di giustificare una certa inerzia al cambiamento.
A mio avviso, il testo Cenni storici vuole mostrare da un lato, come il sistema educativo di Reggio Emilia non sia nato al tocco di una bacchetta magica, ma come sia il frutto di un percorso storico molto lungo la cui spinta propulsiva è venuta dal basso, dal movimento delle donne e dalla classe lavoratrice, dal desiderio di ricostruire un paese devastato dalla guerra e dal nazi-fascismo, dal desiderio di costruire una società più giusta, libera e democratica. Un percorso che ha visto sicuramente personalità politiche lungimiranti, ma anche manifestazioni, autogestioni, dibattiti e scontri, sia a livello locale che nazionale.
Dall’altro lato, il testo Cenni storici mostra come tale percorso sia fortemente legato al territorio reggiano e, indirettamente, mi pare dichiarare che non avrebbe senso tentare di esportarlo o copiarlo come un prodotto, un metodo, una ricetta.
Per questa ragione, negli scambi e nelle formazioni si mettono in luce i principi, i valori, i riferimenti teorici, gli elementi essenziali, le ricerche e le esperienze del Reggio Emilia Approach affinché ciascun territorio altro, se lo desidera, possa fare le proprie riflessioni e prendere spunto in maniera autodeterminata e coerente con la propria realtà di riferimento.
Principi, valori ed elementi essenziali del sistema educativo reggiano sono esposti in modo molto semplice, ma non banale nel Regolamento dei nidi e delle scuole d'infanzia del Comune di Reggio Emilia che per questo è stato scelto.
Verso fine 2019 e nel corso del 2020 avete effettuato sopralluoghi in molte scuole per l’infanzia e più di trenta riunioni on-line per identificare i bisogni delle scuole e spazi educativi da riqualificare. Che impressione avete avuto da questi incontri?
Abbiamo incontrato realtà molto variegate per numero di bambini; dimensione, età e stato di conservazione delle strutture scolastiche; titolo di studio del personale educativo; progettualità educativa; sensibilità delle amministrazioni; livello di compartecipazione delle famiglie; ecc.. L’impressione che abbiamo avuto è che ci sia molto da fare, ma anche tanta voglia e volontà di mettersi in gioco, di interrogare e interrogarsi, di confrontarsi e sperimentare.
Per concludere, tra il mese di novembre e dicembre sono stati realizzati 3 formazioni online sulla cucina come luogo di creazione di saperi e cultura, sul riutilizzo degli scarti alimentari e la realizzazione di atelier sul cibo e sul gusto. Ce li può raccontare?
È disponibile un breve video che racconta e documenta l’esperienza fatta alla fine dell’anno da Pause - Atelier dei Sapori in dialogo con le scuole d’infanzia pilota e le istituzioni educative del Kosovo coinvolte nel progetto PEDAKOS. In breve, Pause - Atelier dei Sapori è un laboratorio di ricerca permanente sul cibo e sul gusto della Fondazione Reggio Children - Centro Loris Malaguzzi.
Il percorso formativo, partendo dall’idea che il cibo sia un linguaggio, che crei relazione, comunità, conoscenza e creatività, ha provato a costruire, sebbene a distanza, un linguaggio e una sensibilità comuni, a sollecitare domande, curiosità e narrazioni su cibo, gusto, osservazione, ricerca e sperimentazione sensoriale.
Il percorso si è strutturato in due incontri di formazione sulla cucina come laboratorio interculturale, sulla costruzione di un menù adatto alla scuola d’infanzia e sulla documentazione fotografica, e di un atelier online su come poter incoraggiare la ricerca e la sperimentazione del linguaggio del cibo nei bambini riutilizzando gli scarti alimentari con e senza l’ausilio di comuni elettrodomestici (essiccatori, vaporiere, frullatori, ecc..).