Nell'attuale parlamento del Kosovo le donne rappresentano il 30%, una "quota rosa" imposta dall'OSCE all'epoca delle prime elezioni dopo la guerra. Però la loro influenza reale sulla scena politica è modesta. Qualcosa cambierà col voto del prossimo 17 novembre?
Di Valbona Mehmeti, per Koha Ditore, 9 ottobre 2007.
Traduzione di Nerimane Kamberi per Le Courrier des Balkans, e di Carlo Dall'Asta per Osservatorio sui Balcani
Se Olof Palme fosse ancora vivo, di certo riderebbe del modo in cui viene applicato il principio di parità tra i sessi nelle istituzioni del Kosovo. Sarebbe stupito dell'assenza di donne nei posti direttivi, ma lo sarebbe ancora di più del modo in cui in queste istituzioni viene rispettata la quota del 30% di participazione delle donne.
Questa quota del 30% le donne non l'hanno guadagnata col loro impegno, ma l'hanno ricevuta in regalo da parte dell'OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), all'atto delle prime elezioni parlamentari dopo la guerra. Esse devono comunque essere fiere di questa percentuale, dato che nei Paesi della regione - ma anche in numerosi Paesi europei - la percentuale delle donne nelle assemblee parlamentari è ancora assai inferiore. Per esempio, in Albania questa rappresentanza non va al di là del 9%.
Ma che profitto hanno ricavato le donne da questa rappresentanza del 30%? Questo elevato tasso è loro servito? Ha permesso di difendere meglio gli interessi di più della metà della popolazione kosovara, supponendo che le donne rappresentino la metà della popolazione?
Le sedute del Parlamento del Kosovo, trasmesse in televisione, sarebbero state il luogo ideale perché le donne mostrassero ciò di cui sono capaci e provassero ai loro elettori di non essere invisibili, ma di essere là per far sentire la propria voce sui problemi che preoccupano i cittadini. Per provare che esse non siedono nella più alta istituzione della regione per gareggiare con le altre a chi è la più bella, a chi ha i gioielli più costosi o le gambe più slanciate, ma che sono là per proporre delle leggi e per criticarle, per discutere dei problemi del Paese, e per migliorare l'immagine e la posizione della donna nella nostra società, che considera sempre la donna incapace di affrontare i problemi politici.
Durante le sedute parlamentari le donne si sono sentite raramente. Prendiamo per esempio i deputati dei maggiori partiti all'interno dell'attuale Parlamento kossovaro. Delle 14 deputate della Lega democratica del Kosovo (LDK), solo due o tre sono state attive in seduta. Si ritrova la stessa situazione con le 10 deputate del Partito democratico del Kosovo (PDK). Malgrado una rappresentanza così forte, nessuna delle deputate è arrivata a diventare membro della presidenza dell'Assemblea. Su 11 commissioni parlamentari, solo due sono presiedute da donne: la commissione dei Servizi pubblici, dell'amministrazione locale e dei media, nonché la commissione della Sanità.
Allo stesso modo delle elezioni precedenti, il 30% della rappresentanza parlamentare del Kosovo sarà femminile dopo lo scrutinio del 17 novembre. Tale è la quota che i partiti, volenti o nolenti, dovranno rispettare. Con l'approssimarsi della campagna elettorale, i partiti politici presentano i loro candidati nella corsa elettorale. Si trova un gran numero di donne, conosciute e sconosciute. L'importante è che la quota sia rispettata: tale è, a quanto sembra, la logica di funzionamento dei partiti diretti dagli uomini. In effetti, secondo le ultime regole dettate dalla UNMIK per le elezioni, ogni partito che conquista dei seggi in Parlamento dovrà cederne il 30% a delle donne, anche se esse non hanno ottenuto voti sufficienti.
Se un uomo ottiene più voti della candidata che viene dopo di lui, egli dovrà automaticamente rinunciare al suo seggio per lasciare il posto alla sua collega di partito che ha ottenuto meno voti, che è meno professionale, meno conosciuta, e questo solamente per raggiungere la quota richiesta. Nessuno si preoccupa della qualità di questo 30%. Una donna sarà nominata ad un posto direttivo? Una di loro otterrà un posto di vice primo ministro, andrà a dirigere un ministero oppure un comune? No. L'attuale governo conta solamente una ministra donna, una ministra aggiunta che non si sente mai.
Nessuno dei 30 comuni del Kosovo è diretto da una donna, e solo due di essi hanno una donna a capo dell'esecutivo. Altri due comuni hanno una donna come sindaco aggiunto e nessuno ha mai sentito le poche consigliere. Perché le donne dovrebbero aspettarsi qualcosa di più dal governo che sarà formato dopo le elezioni del 17 novembre? Perché la loro posizione nelle istituzioni decisionali sia rafforzata, le donne dovranno attendere tempi migliori. Esse devono pregare affinché nasca un Olof Palme albanese che cambi questa percentuale e l'ordine in cui sono elencati i candidati nelle liste elettorali, come aveva fatto il premier svedese.
Grazie ad Olof Palme, gli svedesi hanno risolto il problema della loro rappresentanza istituzionale. Negli anni '70, quando era alla guida della Svezia, Olof Palme aveva deciso di instaurare la parità tra uomini e donne in Parlamento, 50/50%. L'ordine sulle liste elettorali era: una donna, poi un uomo. Questa è forse una delle ragioni per cui oggi la Svezia è uno dei Paesi più democratici e più sviluppati d'Europa. Qualcuno può ridere di questa constatazione, ma da molto tempo si sa che senza il progresso e l'avanzamento delle donne nessuna società può progredire. I leader maschi dei partiti politici devono comprendere una volta per tutte che senza un rafforzamento della posizione della donna nel loro partito non ci potrà essere successo di governo. Questo rafforzamento si farà inserendo nei propri ranghi il maggior numero possibile di donne capaci, meritevoli, che professionalmente abbiano già dato prova di sé. Dunque è tempo che gli uomini non vedano più le donne come numeri per raggiungere una quota, ma come delle compagne di squadra nella battaglia per il potere. E che le donne stesse, principalmente quelle che entrano in Parlamento, non si considerino come un 30% di facciata!