Il recente acuirsi della situazione in Kosovo, prima con le barricate al nord, poi negli ultimi giorni con il ferimento di due ragazzi di nazionalità serba al sud, ha fatto emergere tutto il malcontento dei serbi del Kosovo per la condotta sia della leadership di Belgrado che di quella di Pristina
(Originariamente pubblicato dalla Deutsche Welle, il 9 gennaio 2023)
Quando, alla fine dello scorso anno, le barricate nel nord del Kosovo erano state rimosse, molti avevano messo in guardia sul fatto che era solo questione di tempo prima che la situazione peggiorasse nuovamente. In pochi però immaginavano che una nuova crisi sarebbe scoppiata a distanza di così poco tempo.
Lo scorso 6 gennaio, giorno in cui si celebra la vigilia del Natale ortodosso, a Štrpce (Shterpcë), nell’estremo sud del Kosovo, un ragazzo undicenne e un giovane ventunenne di nazionalità serba sono stati feriti a colpi di arma da fuoco mentre trasportavano il badnjak [legno di quercia che viene bruciato durante la tradizionale cerimonia per la vigilia del Natale ortodosso].
Poche ore dopo l’aggressione un uomo di trentatré anni, membro delle forze di sicurezza del Kosovo, è stato arrestato con l’accusa di tentato omicidio.
“Se prima di venerdì [6 gennaio] aveste detto a qualcuno a Štrpce che sarebbe potuta accadere una cosa del genere, tutti avrebbero giurato sulla propria vita che era impossibile. Pensavamo che quei tempi fossero passati”, spiega alla Deutsche Welle Jasmina Živković Jovanović, presidente dell’Associazione delle famiglie delle persone scomparse di Štrpce, e aggiunge: “Per questo credo che quanto accaduto sia conseguenza dell’atteggiamento delle autorità kosovare nei confronti del popolo serbo. Cercano di addossare alla comunità serba la colpa del mancato raggiungimento degli obiettivi politici e del conseguente malcontento popolare, ed ecco il risultato”.
Molti rappresentanti delle istituzioni kosovare, compresi la presidente del Kosovo Vjosa Osmani e il premier Albin Kurti, hanno condannato l’aggressione avvenuta a Štrpce. Una condanna che però, come sostiene Jasmina Živković Jovanović, non basta a rassicurare la popolazione. “La maggior parte dei cittadini crede che l’aggressore verrà addirittura premiato”, afferma Živković Jovanović.
Tale idea, per quanto bizzarra, è stata effettivamente avanzata da Fatmir Hasani, membro del movimento Vetëvendosje, originario di Mitrovica sud, attualmente residente all’estero. Hasani ha definito l’agente accusato dell’attacco “un albanese coraggioso”, proponendo al ministro della Difesa kosovaro di promuoverlo al grado di comandante.
Nella comunità serba prevale la convinzione che le ragioni alla base dell’aggressione siano di carattere etnico. Tuttavia, i capi di imputazione, formulati dalla procura – che ha chiesto che nei confronti dell’indagato venisse disposta la misura della custodia cautelare della durata di trenta giorni, una richiesta accolta dal giudice per le indagini preliminari – comprendono solo il tentato omicidio aggravato, la minaccia alla sicurezza pubblica e l’utilizzo di armi pericolose [senza fare alcun cenno alla questione etnica].
Quanto agli albanesi del Kosovo, alcuni ritengono che l’agente arrestato abbia macchiato la divisa e la reputazione delle forze di sicurezza kosovare, altri invece sostengono che abbia agito per autodifesa dopo uno scontro verbale con un gruppo di serbi. Molti sottolineano che il sospettato è figlio di un combattente dell’Esercito di liberazione del Kosovo (UÇK) ucciso [nel 1999] e definito “martire”. Haki Abazi, deputato del parlamento kosovaro eletto tra le fila del movimento Vetëvendosje, ha anche avanzato l’ipotesi che “l’incidente a Štrpce sia stato orchestrato per incolpare gli albanesi”.
Anche alcuni rappresentanti della comunità internazionale hanno condannato l’incidente, astenendosi però dal parlare della possibilità che si sia trattato di una violenza di matrice etnica.
Jasmina Živković Jovanović spiega che i serbi che vivono nelle enclavi nel sud del Kosovo si sentono impotenti, aggiungendo però di riporre fiducia nelle garanzie date agli abitanti di Štrpce – che subito dopo l’aggressione si sono radunati e per alcune ore hanno bloccato le strade – ai quali è stato promesso un potenziamento della presenza della KFOR e della polizia ai punti di ingresso e di uscita dalla regione di Sirinićka Župa.
Le proteste
La Srpska Lista [il principale partito dei serbi del Kosovo appoggiato dal governo di Belgrado] ha organizzato una protesta a Štrpce, a causa del violento episodio di cui sopra, nello stesso giorno e alla stessa ora (lo scorso 8 gennaio alle ore 12.00) in cui a Mitrovica nord si è svolta una manifestazione di protesta contro la Srpska Lista e “la politica del tradimento” portata avanti da Aleksandar Vučić. Molti abitanti del Kosovo settentrionale dubitano che si sia trattato di pura coincidenza.
Oltre alla protesta a Mitrovica nord, organizzata dalle forze di opposizione di destra, negli ultimi giorni si è assistito ad un’altra manifestazione di malcontento dei serbi del nord del Kosovo. Lo scorso 8 gennaio a Petar Petković, capo dell’Ufficio per il Kosovo e Metohija del governo serbo, è stato impedito di tenere un discorso [in occasione di una cerimonia organizzata davanti alla chiesa di Santa Trinità a Zubin Potok]. I cittadini radunati davanti alla chiesa hanno accolto Petković con fischi e insulti, definendolo “traditore”.
A spingere i cittadini a scontrarsi verbalmente con Petković è stato il fatto che quest’ultimo è giunto alla chiesa scortato dalla polizia kosovara.
Dal febbraio dello scorso anno a Zubin Potok sono state costruite tre nuove stazioni di polizia destinate ad ospitare le forze speciali kosovare che, anche prima della decisione dei serbi del nord del Kosovo di abbandonare tutte le istituzioni kosovare, non comprendevano alcun membro di nazionalità serba.
La costante presenza delle forze speciali della polizia kosovara – costituite quasi esclusivamente da agenti di nazionalità albanese – nei comuni nel nord del paese abitati perlopiù da serbi suscita un profondo senso di frustrazione tra la popolazione serba. L’incapacità della Srpska Lista di intervenire su questa questione – anche per quanto riguarda l’esproprio di alcuni terreni di proprietà dei serbi, effettuato per consentire la costruzione delle nuove stazioni di polizia – ha contribuito a quelli che sembrano i primi segnali di indebolimento di questo partito che per dieci anni è riuscito a mantenere un dominio assoluto tra i serbi del Kosovo, grazie anche al sostegno del Partito progressista serbo (SNS) di Aleksandar Vučić.
Ad ogni modo, la protesta organizzata lo scorso 6 gennaio a Mitrovica nord dalle forze di destra e le barricate ripetutamente erette nel nord del Kosovo su iniziativa della Srpska Lista sono accomunate da una stessa richiesta: il ritiro delle forze speciali kosovare dal nord del paese. Negli ultimi giorni si è parlato anche di “una costante repressione contro i serbi portata avanti dal regime di Albin Kurti”.
La sconfitta di una politica condiscendente
“Tra i serbi del Kosovo si sono alzate diverse voci di protesta a causa dell’acuirsi delle tensioni in Kosovo, ma anche per via del malcontento di alcuni leader politici per il comportamento di Belgrado che ormai da dieci anni conduce una politica condiscendente nei confronti della comunità internazionale, poi cerca di presentare le concessioni fatte come grandi vittorie diplomatiche”, spiega alla Deutsche Welle Miodrag Miki Marinković, direttore del Centro per l’azione sociale con sede a Mitrovica nord.
Marinković sostiene che la sconfitta di tale politica sia inevitabile e che i cittadini sono costretti a “pagarne le conseguenze sulla propria pelle”.
“[La leadership di Belgrado] è ben lontana dalle vittorie di cui parla ogni volta che raggiunge un accordo, riempiendone le pagine dei giornali. Ed è per questo che dopo l’ultima crisi nel nord del Kosovo i serbi kosovari hanno espresso un forte malcontento, che ormai non può più essere controllato”, afferma Marinković.
Un malcontento che Ivan Miletić, uno degli organizzatori della protesta delle forze di opposizione svoltasi a Mitrovica nord domenica 8 gennaio, ha sintetizzato con le seguenti parole: “Non tollereremo la presenza delle forze speciali della polizia kosovara nel nord del Kosovo né in alcun altro luogo abitato da serbi. Non abbiamo nulla contro il popolo albanese e le persone benevole e ben intenzionate. Siamo però contro il terrore. Nessuno è più disposto a sopportare queste cose”.
Circa centocinquanta partecipanti alla protesta dello scorso 8 gennaio hanno chiesto la sospensione dei negoziati con Pristina, fino a quando le loro richieste non verranno esaudite.
Due schieramenti critici nei confronti di Vučić
Miodrag Marinković sostiene che la protesta dell’opposizione tenutasi a Mitrovica nord sia ben lungi dal rispecchiare un vero pluralismo. “Tuttavia, può essere considerata una sorta di liberazione dei serbi del Kosovo dal giogo della Belgrado ufficiale, e soprattutto dei suoi rappresentanti in Kosovo, ossia della Srpska Lista”, afferma Marinković, precisando che in questo processo sono emerse due correnti.
“Una corrente è guidata dai leader politici dei serbi che vivono a sud del fiume Ibar, insoddisfatti della tendenza di Belgrado a ignorare quella parte della comunità serba, ma anche del predominio dei serbi del nord del Kosovo all’interno della Srpska Lista. Dall’altra parte, gli oppositori della leadership di Belgrado nel nord del Kosovo sono insoddisfatti per le concessioni fatte da Belgrado nei confronti di Pristina e nell’ultima crisi nel nord hanno intravisto l’opportunità di far evolvere la situazione al punto in cui una sorta di divisione del Kosovo possa diventare realtà”, spiega Marinković.
Stando alle sue parole, l’unica cosa che accomuna le due correnti sono le feroci critiche rivolte alla leadership di Belgrado, con la quale però non riescono a confrontarsi non essendo abbastanza forti.
“Il progetto politico promosso nel nord del Kosovo vede la possibilità di migliorare le condizioni di vita dei serbi attraverso un rafforzamento della resistenza a Pristina e l’abbandono delle istituzioni, mentre nel sud del Kosovo l’intento è quello di garantire ai serbi una vita migliore attraverso le istituzioni e la collaborazione con gli albanesi del Kosovo”, conclude Marinković.