Status, minoranze, divisioni e opportunità nel futuro del Kosovo. L'analisi di Anton Marek Nowicki, Ombudsperson della Provincia. Una traduzione di un articolo pubblicato su Transition OnLine, TOL
Di Marek Antoni Nowicki
Traduzione a cura di Francesco Martino della redazione di Notizie Est
Nessuno sa che cosa riserva il futuro al Kosovo, mentre la comunità internazionale, i leader locali e i i semplici cittadini si preparano alle trattative sul suo status finale, che dovrebbero svilupparsi tra quest'anno e quello a venire.
Da una parte, gli albanesi kosovari chiedono a gran voce uno stato indipendente, e sembra siano convinti che questa loro richiesta possa essere soddisfatta in un futuro ormai prossimo. Quello che invece non sembrano capire è che l'indipendenza non aprirà immediatamente, né necessariamente, un'epoca di ricchezza e libertà.
Dall'altra parte, la maggioranza dei serbi kosovari rifiuta apertamente l'idea di un Kosovo indipendente. Questi ultimi vedono nell'indipendenza la legittimazione della "pulizia etnica" della regione e il definitivo via libera al progetto di creazione di una Grande Albania. L'indipendenza significherebbe che non c'è più posto per loro in una terra che considerano, storicamente e nel mito, come la culla dell'identità spirituale e culturale serba.
Se al Kosovo verrà concesso un qualche tipo di indipendenza, i serbi che vivono nella regione, e che si sono sempre visti come parte di un'entità più grande (vale a dire la Serbia stessa) diventerebbero davvero, e per la prima volta, una minoranza, in un nuovo panorama politico nel quale troverebbero difficile identificarsi. Sarebbero pronti allora ad accettare questa nuova realtà, con tutto quello che essa implica, una realtà dominata di fatto da una fitta rete di grandi famiglie albanesi, che amministrano la regione con una modalità esclusiva, che ricorda in buona parte quella dei clan?
Povertà e rabbia
Guardiamo onestamente all'odierna situazione in Kosovo: c'è una povertà diffusa, e un gran numero di persone deve fronteggiare condizioni di vita difficili, spesso al limite della sopravvivenza. C'è una differenza significativa tra chi riceve una pur magra assistenza sociale e chi invece non ne ha diritto, per non parlare della disoccupazione di massa e della rapida crescita di una popolazione giovanile con poche reali prospettive.
Ascolto moltissime discussioni su come queste terribili condizioni stiano dando vita tra la popolazione a un crescente senso di frustrazione e rabbia. Ma bisogna ricordare che questa frustrazione non riguarda un gruppo etnico soltanto. Tutti soffrono a causa delle circostanze attuali, anche se in modo diverso.
Di solito, anzi, chi soffre di più è la parte della popolazione più vulnerabile, spesso, anche se non sempre, rappresentata dalle comunità minoritarie. E in Kosovo la comunità serba non è nemmeno quella che si trova in maggiore difficoltà.
I serbi del Kosovo, infatti, si trovano in una posizione migliore degli altri gruppi di minoranza che vivono nella regione, visto che ricevono un' aiuto significativo da parte del governo di Belgrado. Ci sono grossi dubbi sul fatto che, senza tale assistenza, la comunità serba sarebbe riuscita a sopravvivere negli ultimi cinque anni.
Ma, allo stesso tempo, questo supporto finanziario e non solo, rafforza un senso di lealtà e dipendenza verso la Serbia. Un Kosovo indipendente significherebbe il taglio di questo flusso di aiuti, e il dover vivere affrontando la nuova realtà. Il budget del Kosovo sarebbe in grado allora di affrontare il costo aggiuntivo di supportare una minoranza non molto amata?
Oltre a questi problemi di carattere sociale, politico e materiale, ci sono altri elementi che irritano la popolazione e la rendono poco aperta alla cooperazione. In una recente discussione Nexhat Daçi, portavoce dell'Assemblea del Kosovo, ha posto la questione in questi termini: come può una maggioranza frustrata prendersi cura delle sue minoranze?
Domande come questa sono la chiave di lettura per capire cosa succede oggi in Kosovo.
Come vivere insieme?
La prima questione che viene in mente è quella, dolorosa, degli scomparsi. Alcune migliaia di albanesi kosovari risultano ancora dispersi a cinque anni dalla fine del conflitto armato, e troppo pochi sono stati quelli trovati colpevoli per le atrocità commesse in Kosovo. Le voci su un numero imprecisato di corpi bruciati nelle fornaci di Mackatica illustra bene il tipo di domande a cui ancora non è stata data una risposta.
Anche i serbi kosovari hanno però numerosissimi parenti scomparsi, sono stati mandati via dalle loro case e privati del loro lavoro, sono stati cacciati, ancora, nel marzo 2004 e in generale hanno dovuto subire non poche violenze, mentre le autorità internazionali hanno fatto ben poco per impedirlo.
Data l'atmosfera che si respira, di certo non aiuta il fatto che la maggior parte degli albanesi, a torto o ragione, veda in ogni serbo un rappresentante di Belgrado in Kosovo, una persona che rimane, comunque, fedele innanzitutto alla Serbia. Questo sentimento è stato recentemente esacerbato quando una larga maggioranza dei serbi del Kosovo prima ha premiato il candidato radicale nelle ultime elezioni serbe, per poi boicottare in massa le consultazioni per il rinnovo dell'Assemblea del Kosovo.
Messaggi di questo tipo influenzano indubbiamente l'approccio della maggior parte della popolazione albanese alla minoranza serba.
Stiamo finalmente arrivando al momento in cui possiamo realisticamente sperare che la gente del Kosovo possa vivere insieme?
Non dobbiamo dimenticare che il conflitto in Kosovo ha radici che affondano in un passato remoto: con l'indipendenza gli albanesi Kosovari otterrebbero l'obiettivo a cui hanno guardato per generazioni, contro forti interessi serbi. Se viene concessa l'indipendenza, questa sarà stata ottenuta attraverso gli eventi del passato recente, e buona parte dei serbi pensa che la regione gli sia stata sottratta con la forza. Allo stesso tempo, nella comunità serba, c'è una generale mancanza di riflessione sulle devastanti conseguenze delle azioni intraprese dal regime di Milošević.
Soprattutto, gran parte della popolazione non albanese non considererà il Kosovo come il proprio paese, a meno che le condizioni generali non migliorino sensibilmente.
Se il Kosovo è davvero sulla strada di diventare uno stato democratico basato su valori europei, allora Serbia e Kosovo ambiscono a divenire membri di una stessa famiglia e a seguire standard comuni. Se sopravviverà fino ad allora, la comunità serba deve avere tutte le possibilità di preservare la propria identità e la propria eredità culturale, e deve essere messa in condizione di mantenere relazioni libere e aperte con i propri compatrioti che vivono in Serbia. Il Kosovo non sarebbe il primo caso in cui questo accade.
Detto questo, come possiamo aprire le enclaves e fare del Kosovo la "terra delle opportunità" per i serbi che ci vivono?
Da parte loro arriva giustamente la richiesta di godere della libertà di movimento e di avere accesso alle risorse e al mercato del lavoro, per mantenere viva la comunità. Perché questo sia possibile, i ritorni devono avvenire con successo. Non è soltanto una questione di numeri, riguarda piuttosto il problema di come incoraggiare soprattutto i giovani a tornare a vivere nelle comunità da cui sono stati scacciati, perché i giovani sono il nucleo di ogni società. Non è sufficiente che ci sia gente che ritorna solo per continuare semplicemente ad esistere o a morire sulla propria terra. Devono esserci persone istruite e preparate professionalmente per rafforzare la comunità. Per questa ragione i ritorni nelle città devono diventare realtà, anche se al momento questo sembra ancora un sogno, visto che i serbi continuano a optare per la vendita delle loro proprietà a Pristina e nelle altre città.
Ma anche al comunità serba deve collaborare in questo processo, e in questo senso la questione linguistica è senz'altro centrale. Se la possibilità di usare la lingua serba è un diritto umano riconosciuto, è altrettanto chiaro che se i serbi vogliono vivere più liberamente che non in enclave chiuse e isolate, devono imparare a parlare l'albanese.
La strada verso lo status finale del Kosovo, anche se la si guarda semplicemente dal punto di vista dei diritti umani, è più complessa di quanto non riescano a mostrare questi pochi esempi. Una questione da considerare è se qualcuno si sia dato la briga di pensare seriamente ad una nuova bandiera del Kosovo, che contenga dei tratti simbolici con cui anche le comunità non albanesi possano identificarsi.
E questo è solo uno dei tanti temi che richiedono attenzione e tempo per riflettere.