Chișinău, monumento ad Aleksandr Puškin - © Ducu Rodionoff/Shutterstock

Chișinău, monumento ad Aleksandr Puškin - © Ducu Rodionoff/Shutterstock

Terra di cerniera e luogo di contaminazioni, un tempo periferia dell'Impero russo, la Moldova ha ospitato a lungo l'esilio del poeta Aleksandr Puškin, che qui ha vissuto uno dei momenti più proficui della sua produzione artistica. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

04/03/2024 -  Giovanni Verga

È proprio vero. Sono le terre di cerniera, i luoghi di contaminazioni spesso teatro di conflitti, contesi da popoli e nazioni diverse, i più attraenti da esplorare. La Moldavia è uno di questi. È una terra difficile da inquadrare nei suoi precisi confini passati, e da definire nelle sue connotazioni storico politiche, per via delle alterne vicende e dominazioni che ha conosciuto. Eppure ha un passato illustre e influente, che permette di inserirla di buon grado tra le potenze minori europee, poi cadute in declino.

Se la parte ovest, oggi parte della Romania, è attrattiva per le sue ricchezze artistiche, soprattutto i monasteri, l’altra ha ben poco da offrire al turista, se non una storia complicata e dei buoni itinerari vinicoli. È quella che si chiamava Bessarabia, una fetta di terra la cui storia ha tanto da raccontare e non sempre in modo edificante. È stata più volte conquistata e ceduta, lì a metà strada tra il fiume Prut che la divide dalla Romania, e il fiume Dniestr, che segnava a est il recente confine con l’Unione Sovietica a poche decine di chilometri.

Quella landa tra i due fiumi che oggi corrisponde alla Moldova, da sempre in maggioranza romena, era stata annessa dall’Unione Sovietica in un sol boccone alla vigilia della Seconda Guerra mondiale. Divenne così parte della Repubblica Socialista Sovietica dell’Ucraina, dando così inizio ad un confuso melting pot etnico e linguistico che poi è la sua bellezza: nella capitale Chișinău si parla, malvolentieri, russo, e poi romeno e ucraino.

Ma la russificazione partiva da lontano, dall’epoca zarista, toccando il culmine negli anni di Alessandro III, che mandò nella capitale funzionari russi, impose la sua lingua e il suo sistema amministrativo. Da lì la tendenza è andata avanti fino a poco più di trenta anni fa, quando è arrivata l’indipendenza.

E l’impronta russa e sovietica è evidente già nell’impianto architettonico e urbanistico, con le strade larghe costeggiate da edifici a un piano propri delle città russe, ad eccezione di quelli pubblici che conservano invece un’aria di maestosità non priva di una certa eleganza. Chișinău è stata al centro di tanti fermenti politici, ribellioni e pure gravi pogrom già dall’inizio dell’Ottocento, quando quella terra fu annessa alla Russia zarista, ospitando anche esponenti rivoluzionari e oppositori tra cui il più noto è stato Aleksandr Puškin , “il più russo dei poeti russi”, che scontò tre anni di esilio proprio qui.

La casa dove trascorse questo difficile periodo è diventato un museo aperto al pubblico e perfettamente conservato, a dispetto dei pessimi rapporti della Moldova con la Grande Madre Russia dai tempi della caduta del blocco sovietico.

Puškin ci finì per le sue posizioni politiche, i suoi scritti troppo liberali e i suoi legami con i cospiratori antizaristi. I suoi epigrammi pungenti e i suoi versi sovversivi erano diventati così popolari che lo zar non poté fare a meno di prendere provvedimenti, ma fu clemente: invece di spedirlo in Siberia lo mandò d’ufficio nella periferia dell’impero, prima a Ekaterinoslav, oggi la città contesa di Dnipro in Ucraina, e poi appunto in Bessarabia.

In quella che per lui fu la “città maledetta”, il poeta scrisse Il prigioniero del Caucaso, I fratelli masnadieri, una serie di liriche e iniziò il celebre romanzo Evgenij Onegin. Alla fine, fu un periodo proficuo: i suoi versi e le sue prose ebbero un’eco notevole in tutta la Russia diffondendo l’immagine dell’esule “resistente”, che non si piegava di fronte al destino avverso.

Fu allora che prese forma il cliché del giovane artista tormentato dai tradimenti, dalle calunnie, dagli amori non corrisposti, deluso, dell’uomo disgustato dai veleni della civiltà e attratto dallo stato di natura, afflitto da una precoce “vecchiaia dell’anima”. Da parte loro, i personaggi delle sue opere si elevavano a “eroi” del suo tempo, diventarono simboli della temperie di un’intera generazione e dei suoi tormenti nel secolo delle grandi passioni politiche.

La Casa-museo Puškin a Chisinau - foto G. Verga

La Casa-museo Puškin a Chisinau - foto G. Verga

Nella hall della sua casa-museo c’è un’esposizione che rivela l’ambiente socio-politico della Bessarabia di quegli anni e il grande interesse di Puškin per quella terra, le sue tradizioni, la sua gente.

Chișinău, luogo di elaborazione e scambio di nuove idee e fermenti politici, era stata chiamata “la culla della rivoluzione greca” e nel 1821 il grande poeta russo fu diretto testimone della "Hetaerae", il movimento di liberazione nazionale contro la dominazione turca, entrando personalmente in contatto con i suoi leaders, i fratelli Ypsilanti a cui dedicò una serie di poemi. Ma la sala centrale è la “Onegin Hall”, dedicata all’Evgenij Onegin, che fu composto in quella casa.

Oltre ai manoscritti e a una gran quantità di oggetti relativi all’opera, la “Onegin Hall” intende ricostruire gli ambienti e il clima letterario, sociale e anche intimamente interiore che hanno ispirato Puškin: la stanza “rurale” dell’eroina Tatiana, lo studio di Onegin e altro materiale descrittivo che illustrano perfettamente il clima in cui si svolge la storia. Come le tele e le incisioni del XIX secolo, dove si possono ritrovare scene delle promenades pubbliche del tempo, dei panorami ammirati da Puškin e illustrazioni che aiutano a ricreare i personaggi e le scene chiave del capolavoro.