Il 27 giugno scorso la Moldavia ha firmato l'Accordo di associazione con l'Ue. Ma nel villaggio di Răscăieţi, due ore a sud della capitale Chisinău, l'Europa sembra molto lontana. Un reportage
(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans il 1 aprile 2014)
In riva al Dniestr, tra roseti e pioppi, Vasilie Spiridon contempla con aria soddisfatta i suoi campi di peperoni. Sono la sua ragion d'essere. Agricoltore, 50 anni, ha venduto la sua prima tonnellata della stagione ad un grossista di Chisinău per un buon prezzo: 15 lei, cioè 80 centesimi di euro al chilo.
Circa la metà dei concittadini di Vasilie se ne sono invece andati da Răscăieţi, per guadagnarsi da vivere in Russia o in Italia. Ma per Vasilie in Moldavia l'agricoltura può portare profitto ed ha “un enorme potenziale”. In effetti la famiglia Spiridon è benestante, nonostante nessuno dei suoi membri sia mai andato a lavorare all'estero, cosa assai rara per la Moldavia.
Il secondo motivo della felicità di Vasilie è la firma degli Accordi di associazione (ASA) con l'Unione europea. Ciononostante Vasilie non nutre grandi aspettative nei confronti del mercato comune e delle prospettive di esportazione all'estero dei propri prodotti. “Vi è troppa concorrenza in seno all'Ue per riuscirci. Occorre essere realisti, i nostri prodotti non sono né a norma e né all'altezza di quelli dell'Ue”. Per lui, l'Europa, è innanzitutto un ideale. “Le leggi sono le stesse per tutti e vengono rispettate molto più di qui – afferma – mi auguro che gli stati membri facciano grande pressione sulla Moldavia perché questa segua la strada delle riforme”. In uno stato incancrenito dalla corruzione, la sua voglia d'Europa è comprensibile.
A Răscăieţi è raro incrociare dei giovani. Alexandru sta provando invece ad impostare la sua vita nel villaggio, per stare più vicino a moglie e figlia. Da quando ha 16 anni lavora come muratore, come molti altri moldavi. All'inizio ha raggiunto i fratelli che lavoravano a Mosca. Ma poi, alla soglia dei trent'anni, ha scelto di spostarsi ad Odessa, a due ore di strada da casa sua. Dove riesce così a rientrare ogni due settimane.
Per ora vivono assieme a casa dei genitori di lui. Poco lontano le mura al grezzo della loro futura casa. Alexandru ci porta a vederla, visibilmente infastidito dalle erbacce che spuntano ovunque. Si augura di poter fare il tetto il prossimo autunno, per poter poi installare porte e finestre che ha comperato da tempo. Del salario che guadagna ad Odessa gran parte è destinato a continuare i lavori della casa. “I soldi che guadagni ritornano dove sono partiti”, scherza sua moglie Natasha.
“Non è facile la quotidianità qui, perché ad est puoi perdere il lavoro da un giorno all'altro. Inoltre spesso si viene pagati in nero”, racconta Alexandru. “Certo, se potessi, andrei a lavorare in Europa dove il mercato del lavoro è più stabile e gli stipendi migliori”. Alexandru si dice favorevole all'Unione europea ma ad una condizione: “Se si avrà la possibilità di lavorarci liberamente”. La recente liberalizzazione dei visti per motivi turistici non gli interessa per niente: perché non ha il passaporto biometrico e perché non ha abbastanza soldi per permettersi un viaggio verso Occidente.
E' sabato mattina e sulla distesa di erba giallastra che fa da piazza del mercato l'atmosfera è cupa. All'ombra di un piccolo albero quattro donne tentano di vendere i loro prodotti. Formaggio, uova e latte esposti su cassette in plastica. Solitamente sono gli abitanti della vicina Transnistria, con migliori salari e pensioni di qui, che attraversano il fiume per venire ad acquistare prodotti freschi. Ma oggi non c'è nessuno.
All'indomani della firma dell'Accordo con l'Ue queste donne ce l'hanno con i loro governanti. “Nessuno ci ha chiesto che ne pensiamo – esplode la più giovane - penso che si dovrebbe tenere un referendum per decidere se vogliamo o no l'Unione europea”. Dietro a queste posizioni vi è il timore di essere abbandonati dal governo, il timore di vedersi ripetere lo scenario ucraino. Nessuna di loro ha infatti dubbi sulle ragioni che hanno fatto scoppiare il conflitto nel paese vicino: “E' a causa degli accordi con l'Europa che tutto è cominciato in Ucraina e non vogliamo che la stessa cosa accada qui”.
Tutte hanno paura della rappresaglia della Russia, in particolare rispetto ai moldavi che vi lavorano. Girano già voci che Mosca si stia preparando a rimandarne a casa parecchi e questo priverà di un reddito migliaia di famiglie. Per queste donne la speranza di un futuro migliore è esile. “Anche se si aderisse all'Europa la situazione non migliorerà granché. La situazione non potrà mai essere positiva come quando si era sotto l'Unione sovietica”, afferma una di loro.
Ci si ricorda di un passato, non troppo remoto, dove si stava meglio. “Prima vi era un punto di raccolta del latte nel villaggio – aggiunge una di loro – certo, non si guadagnava molto, ma almeno sapevamo che fare del nostro latte mentre adesso non siamo nemmeno sicure di riuscire a venderlo”. Ogni famiglia non ha ormai più di due o tre vacche, per autosostentamento e per vendere al dettaglio quel poco che si ha in più. Ci si ricorda però ancora delle mandrie di bovini che, al mattino presto, risalivano in una nuvola di polvere le strade sterrate del villaggio per andare a pascolare in riva al Dniestr.
Ora alla chiusura del Kolkoz si è aggiunta quella della cantina vinicola. E' avvenuto sette anni fa, in coincidenza con l'embargo russo sui vini moldavi: una conseguenza diretta delle discussioni sull'avvicinamento del paese all'Ue. Gli abitanti di Răscăieţi avevano creduto nel potenziale vitivinicolo dell'area. Ma ora si trovano senza saper che farsene delle loro tonnellate di uva.
Il sindaco, Zinaida Marin, è ciononostante ottimista. Il suo modello è la Romania e le piccole aziende agricole che lì si sono sviluppate grazie ai fondi europei. Spiega che la sua amministrazione ha attirato fondi per un milione e mezzo di lei tramite il programma dell'Onu per lo sviluppo, l'UNDP per progetti in campo agricolo. “Presto il nostro piccolo paese sarà pronto per unirsi alla grande famiglia europea!”.
Per il momento però il cammino della Moldavia verso l'Europa appare pieno di imboscate.