Sede del governo moldavo a Chişinău © Roaming Pictures/Shutterstock

Sede del governo moldavo a Chişinău © Roaming Pictures/Shutterstock

La Moldova si prepara al doppio appuntamento delle presidenziali e del voto per il referendum costituzionale di adesione all’Unione Europea: in un contesto internazionale fragile, la scelta dei cittadini moldavi avrà conseguenze importanti sul futuro del paese

16/10/2024 -  Claudia Bettiol

(Originariamente pubblicato da Meridiano 13 , il 14 ottobre 2024)

È iniziato il conto alla rovescia per i cittadini moldavi, che in questi giorni hanno ricevuto invito e tessera elettorale per recarsi alle urne ed esprimere, contemporaneamente, il proprio voto per il referendum costituzionale di adesione all’Unione Europea e per le elezioni presidenziali, che si terranno entrambi il prossimo 20 ottobre.

Un voto che precederà quello delle altrettanto attese parlamentari in Georgia e delle cruciali presidenziali negli Stati Uniti e che, anche se a prima vista non sembra, sarà decisivo sia per il paese che per l’assetto europeo.

Per chi e cosa si vota in Moldova

La Moldova ha ufficialmente lanciato la sua doppia campagna elettorale lo scorso 1° agosto. Se, però, le presidenziali sono un appuntamento previsto dall’agenda politica della repubblica – che ogni quattro anni rinnova questa carica – il referendum è stato una sorta di sorpresa annunciato lo scorso dicembre dalla presidente in carica Maia Sandu , che ha deciso di dare ai cittadini la possibilità ulteriore (e legittima) di scegliere con sicurezza il percorso politico da intraprendere.

Per le presidenziali, la Commissione elettorale centrale moldava ha registrato ufficialmente undici candidati. Maia Sandu, del Partito Azione e Solidarietà, di orientamento liberale, dovrà quindi vedersela con alcuni oppositori, tra cui l’ex sindaco di Bălți, Renato Usatii, del partito socialista e conservatore Il Nostro Partito (Partidul Nostru) e l’ex procuratore generale Alexandru Stoianoglo, sostenuto dal Partito dei socialisti (PSRM).

Cambiamento significativo per questa tornata elettorale è l’assenza dell’ex presidente Igor Dodon (2016-2020), figura chiave nelle campagne precedenti e grande rivale di Sandu, che non ha voluto ricandidarsi, decidendo invece di sostenere Stoianoglo (nel 2021 arrestato per corruzione ). A prima vista Stoianoglo sembrerebbe sulla stessa linea di Sandu sul processo di ingresso in Ue; eppure, ne è a favore almeno quanto lo è per la neutralità stessa del paese: "Molti sanno che sono un sostenitore dell’integrazione [europea] della Repubblica Moldova, ma è doloroso sentire che essa viene usata come un bastone e non come una prerogativa ambiziosa per la modernizzazione del paese e l’unità del popolo", ha dichiarato Staianoglo. "Una Moldova europea dovrebbe essere neutrale, in cui ci sia spazio per la cooperazione tra paesi e popoli, un luogo con elevate garanzie sociali."

Se, perciò, Igor Dodon – il quale ha avanzato la richiesta al parlamento di una legge sugli agenti stranieri sul modello di quella introdotta recentemente in Georgia – sembra stare dietro le quinte e lasciare carta bianca alle manovre politiche di Stoianoglo con l’obiettivo primario di battere Sandu, lo stesso non si può dire dell’oligarca Ilan Șor e della fazione filorussa.

Quattro sono infatti i partiti filorussi Șansă, Renaștere, FASM e Victorie – che avrebbero presentato alla Commissione i documenti per la registrazione di una coalizione unica (nata  di recente proprio a Mosca) che farebbe campagna contro l’adesione della Moldova all’Ue.

Sono tutti sostenitori del latitante Șor, stabilitosi nella capitale russa e condannato in contumacia a 15 anni di carcere per frode bancaria, e che puntano a “disturbare” il referendum, il quale prevede due opzioni di risposta (“sì” o “no”) alla domanda: “Sei favorevole a modificare la Costituzione per consentire alla Moldova di aderire all’Unione Europea?”.

Alla coalizione Pobeda/Victorie (Vittoria), tuttavia, è stata negata la registrazione dalla CEC per violazione delle norme sul nome (che non può essere lo stesso di un altro partito già esistente, Victorie appunto). Nonostante il ricorso, il gruppo politico rimane fuori sia dalle presidenziali che dalle votazioni per il referendum.

Esclusa per una minuzia burocratica, la coalizione è però riconducibile a uno schema di voto di scambio. All’inizio di ottobre , infatti, il capo della polizia Viorel Cernăuțeanu ha tenuto una conferenza stampa per denunciare l’arrivo di 15 milioni di doillari in fondi russi sui conti correnti di circa 130mila cittadini moldavi per convincerli a votare contro l’adesione della Moldova all’Unione Europea. La polizia crede che quest’operazione sia stata orchestrata dallo stesso Șor.

L’unica speranza per i filorussi avrebbe potuto essere Irina Vlah , ex governatrice della regione autonoma della Gagauzia, il cui slogan elettorale è “Presidente di pace” : "Fermerò l’insensato e costoso processo di militarizzazione del paese. […]. L’armonia interetnica sarà la pietra angolare per garantire la pace in Moldova".

Dichiarando che “il posto della Moldova è in Europa”, però, la matrice filorussa di Vlah sembra dissolversi. D’altronde, già negli ultimi tempi le sue opinioni politiche avevano subito un leggero cambio di rotta: prima l’allontanamento da Dodon e dal partito dei socialisti, poi il fatto di essersi sempre rifiutata di appoggiare apertamente l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, promuovendo la “neutralità” per il suo paese, hanno notevolmente rappresentato un passo opposto alla via filorussa tout court.

Ciononostante, l’ex governatrice non manca di incolpare le autorità moldave – Sandu in particolare, che considera una rivale a tutto tondo – e i suoi partner occidentali (e non la Russia che ha scatenato l’aggressione contro l’Ucraina) per aver trascinato la Moldova in guerra.

La doppia sfida di Maia Sandu

Nonostante le numerose difficoltà e crisi interne, tra cui la gravosa e annosa questione transnistriana , negli ultimi anni la Moldova ha compiuto grandi progressi per l’integrazione nell’Ue, ottenendo lo status di candidato nel 2022 e aprendo i negoziati lo scorso giugno, al fianco dell’Ucraina.

Tuttavia, in questa fase, nulla impone al paese candidato di indire un referendum, procedura che viene abitualmente utilizzata alla fine del processo di adesione per confermare la decisione di uno Stato di entrare a pieno titolo nell’Ue. Molti stati che hanno aderito nel 2004 (come la Slovenia e Malta) lo hanno fatto, così come la Croazia nel 2013.

La scommessa di Maia Sandu sembra però imprevedibile: un voto referendario contrario metterebbe definitivamente fine alla legittimità di qualsiasi politica o governo pro-Ue per molti anni a venire. Perché quindi prendersi questo rischio?

Sandu gode, soprattutto nell’ambiente internazionale, di un’immagine molto positiva tra la popolazione, sia come personaggio politico lontano da quel mondo corrotto che ha afflitto la sfera politica moldava nei decenni precedenti, sia come paladina della causa europea, che abbraccia positivamente da anni.

La presidente in carica sembra quindi intenzionata a sfruttare al meglio questa sorta di popolarità – non altissima, ma nemmeno così bassa a distanza di quattro anni e con l’invasione russa dell’Ucraina che ha messo in ginocchio il paese – con la speranza che gli elettori che sosterranno la sua rielezione, la scelgano anche per guidare l’integrazione europea della Moldova.

Sin dalla sua elezione a presidente, Sandu ha attivamente promosso un’agenda pro-europea. Tuttavia, nonostante i suoi sforzi, i progressi nelle riforme , soprattutto in materia di governance e lotta alla corruzione, sono stati più lenti del previsto.

Sebbene riceva più assistenza Ue pro capite dell’Ucraina, la Moldova rimane ostacolata da istituzioni deboli poiché deve, tra le altre cose, far fronte alle minacce alla sicurezza provenienti dalla Russia e dalla regione separatista della Transnistria, nonché fare i conti con i rifugiati dall’Ucraina e con i prezzi elevati dell’energia.

Miglioramenti, però, si sono percepiti nella normativa sugli appalti pubblici, che ha potenziato le capacità della pubblica amministrazione e migliorato la legislazione per contrastare la criminalità organizzata (almeno sul piano finanziario).

La presidente ha anche esortato il parlamento ad approvare la legge che istituisce un tribunale anticorruzione perché “il sistema inizierà a funzionare quando avremo giudici e pubblici ministeri onesti. La giustizia è uno dei fondamenti dello stato”.

Assieme al suo partito sta facendo l’impossibile per cercare di stabilizzare il paese e conta molto sul sostegno dell’Ue per le riforme attese da tempo , mentre gli elettori sono sempre più impazienti di fronte alle infinite promesse di cambiamento. Un recente sondaggio mostra che la presidente è la figura pubblica di cui ci si fida di più, fattore che la pone in una posizione favorevole per i risultati elettorali; inoltre, il 53% degli intervistati prevede di votare “Sì” al referendum costituzionale sull’adesione all’Ue.

Si tratta quindi di una mossa tanto trasparente quanto rischiosa, quella intrapresa dalla presidente, ma con risultati potenzialmente validi. Una vittoria garantirebbe una solida base politica al partito presidenziale e agli altri partiti pro-Ue durante le prossime elezioni parlamentari, che si terranno nel 2025.

Inoltre, accompagnando la vittoria presidenziale con un voto favorevole al referendum, innegabilmente si infliggerebbe un duro colpo all’opposizione di matrice filorussa.

La minaccia filorussa e lo scandalo ecclesiastico

In Moldova esiste un variegato spettro sociale, un’ampia minoranza della popolazione guarda ancora a Mosca e circa il 10% parla esclusivamente russo, che non è lingua di stato. Il Cremlino ha quindi ancora un soft power molto influente, che si diffonde attraverso i media in lingua russa e la Chiesa di Chișinău, operante sotto l’egida di Mosca e di matrice ampiamente antioccidentale.

In Moldova, la Chiesa ortodossa è divisa in due : la Metropolia di Chișinău e di tutta la Moldova, sotto la giurisdizione della Chiesa ortodossa russa, e la Metropolia di Bessarabia, parte della Chiesa ortodossa rumena. Non scorre, chiaramente, buon sangue tra le due, caratterizzate da un conflitto continuo che si è ulteriormente intensificato dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

A tal riguardo, sono nate critiche e pressioni interne e internazionali sulla Metropolia di Moldova affinché prenda una posizione più netta perché, pur promuovendo idee di pace e unità, non ha mai criticato apertamente l’aggressione russa, il che ha scontentato alcuni parrocchiani e leader religiosi locali che si oppongono alla guerra.

Per niente ambigua, invece, la posizione della Metropolia di Bessarabia, che critica le azioni della Russia in Ucraina, riflettendo così le differenze di orientamento e di influenza politica e religiosa in Moldova.

Questa “battaglia” tra le due Chiese è un segno di divisione anche politica, che influenza più o meno direttamente le elezioni.

Il deputato del partito di governo di Azione e Solidarietà Vasile Şoimaru a fine agosto, a seguito di un viaggio di un gruppo di sacerdoti moldavi a Mosca organizzato da Șor, ha infatti dichiarato che la Chiesa ortodossa russa dovrebbe essere bandita in Moldova. La Metropolia moldava ha però negato qualsiasi collegamento tra il pellegrinaggio e Șor, sottolineando che i sacerdoti non hanno ricevuto alcun aiuto finanziario né dall’oligarca né da Mosca.

Sandu è intervenuta assicurando che nulla minaccia la Chiesa moldava: "Non c’è alcun pericolo né per la Metropolia della Moldova né per la Metropolia della Bessarabia. Al contrario, in questi quattro anni abbiamo fatto più di chiunque altro per promuovere la pace e la comprensione reciproca. Abbiamo buone relazioni con entrambe."

Nonostante il calo di fiducia generale nella Chiesa, questa rimane l’istituzione più credibile: oltre il 65% della popolazione moldava si fida di essa. Pertanto, la questione rimane piuttosto significativa per l’elettorato, come sottolinea l’esperto di WatchDog Andrei Curăraru , che fa notare come il tema venga utilizzato come leva dai politici dell’opposizione Dodon e Șor.

La Russia, dal canto suo, sfrutta qualsiasi vulnerabilità o debolezza per far deragliare le riforme interne e l’integrazione con l’Ue della Moldova e non è una sorpresa che Mosca continui i suoi tentativi, più o meno velati, per destabilizzare Chișinău, che dovrebbe tornare a essere una regione quasi completamente dipendente da essa.

Il governo moldavo, sostenuto dai suoi alleati occidentali, sta cercando attivamente di reagire a questa guerra ibrida, fatta di propaganda e manipolazione dell’informazione; ciò include sanzioni e divieti per i partiti affiliati alla Russia e la chiusura dei media che diffondono la propaganda russa, come emerge dal commento dell'analista Victor Ciobanu : "Siamo in una guerra ibrida e in quanto tale ci può essere un po’ di censura. Non voglio svegliarmi nel 2025 e ritrovarmi con un parlamento che mi dice che si stava meglio in Unione Sovietica."

Ilan Șor, rendendosi conto che non è realistico battere Maia Sandu, a inizio estate stava vendendo al Cremlino l’idea di interrompere il voto sull’adesione all’Ue, spingendo comunisti e socialisti a far boicottare il referendum ai loro sostenitori. Tale campagna era già in atto grazie al leader del partito Șansă, Alexei Lungu, indignato perché “l’Ue vede la Moldova come una piattaforma per esperimenti sociali e militari”.

Tuttavia, l’ipotesi che indicava che alcuni partiti filorussi avrebbero cercato di boicottare il referendum con lo scopo di sconfiggerlo per mancanza di quorum ha creato un po’ di confusione: se i partiti di Șor hanno abbracciato fin da subito l’intenzione di fare campagna per il “no”, altri candidati come Ion Chicu hanno avuto difficoltà a spiegare perché chiedevano ai cittadini di boicottare il referendum, dato che lui stesso si dichiara favorevole all’entrata in Ue.

Un’incoerenza che afferma come le possibilità che il referendum fallisca per mancanza di affluenza sono ormai prossime allo zero.

Le prospettive di voto e la diaspora

La Commissione elettorale centrale (CEC) ha approvato il numero di schede elettorali per i seggi all’estero : oltre 852.200 schede elettorali, di cui 775.350 in rumeno, 76.350 in russo e 500 in gagauzo. Lo scorso 27 settembre è stato anche confermato il numero di seggi che verranno aperti al di fuori della Moldova: 234, di cui 62 in tutta Italia e soltanto due in Russia, nella capitale. La CEC ha registrato 21.706 votanti dall’estero, tra cui 8.238 dalla diaspora russa e 2.499 da quella italiana.

Inizialmente era prevista l’apertura di 29 seggi elettorali in Russia, ma pochi giorni fa il vicepresidente della CEC, Pavel Postica, ha ricevuto una richiesta dal ministero degli Esteri per cui non sarebbe stato possibile garantire la sicurezza dei funzionari elettorali e degli elettori in diverse regioni della Russia, ad eccezione dei seggi elettorali di Mosca.

I socialisti hanno espresso “profonda indignazione” per tale decisione, definita come un “sabotaggio del voto dei cittadini moldavi in territorio russo ”.

Tradizionalmente la diaspora tende a sostenere i candidati pro-europei: nelle elezioni del 2020, il 92,94% degli elettori al di fuori della Moldavia ha votato per Sandu, mentre solo il 7,06% ha votato per Dodon.

Alcuni esperti, tuttavia, notano che la popolarità di Sandu nei sondaggi potrebbe non andare troppo a suo favore, soprattutto se ci dovesse essere un secondo turno: tutto potrebbe giocarsi in un potenziale ballottaggio.