Errori, assenze, ritardi...sono solo alcuni dei pretesti per licenziare le lavoratrici in gravidanza. In moldavia le giovani donne, madri o aspiranti tali, sono spesso discriminate sul lavoro
Le donne in gravidanza sono spesso viste come un fardello sulle spalle delle imprese moldave. Per loro niente flessibilità di condizioni di lavoro o congedo di maternità, ma rischio di licenziamento. Nonostante lo Stato incoraggi ufficialmente la natalità, molte donne si ritengono discriminate sul lavoro. Secondo un sondaggio su genere e mercato del lavoro realizzato dal Centro nazionale per l'informazione e gli studi sulle questioni femminili, sono moltissime le giovani donne che riferiscono di non essere state selezionate in quanto giovani madri o per non aver escluso di volere un bambino. Il 3% delle intervistate dichiarano di essere state licenziate a causa della gravidanza. Il 27% sostiene inoltre che i datori di lavoro considerano le donne solo come manodopera a basso costo.
Licenziamento “disciplinare”
Cristina, 28 anni, lavorava da 3 anni in una banca moldava. Racconta che il comportamento del suo capo era cambiato radicalmente subito dopo l'annuncio della sua gravidanza. Secondo la legge, una lavoratrice ha diritto al congedo di maternità a partire dal sesto mese di gravidanza. “Il mio capo ha cominciato a comportarsi in modo strano e farmi pressioni perché mi dimettessi. Io ho rifiutato e poco dopo sono stata licenziata, ufficialmente per i danni causati durante un'assenza”. Secondo il manager, Cristina è stata licenziata per negligenza. Lei ammette un ritardo di 30 minuti ed un'assenza causata da una visita medica, ma il richiamo è arrivato molto dopo. “Ho avvisato della mia assenza e sono stata sostituita da una collega. Non c'era niente di male”.
I difensori dei diritti umani spiegano che, per la legge sul lavoro, una donna incinta ha diritto ad adeguate condizioni di lavoro. “Il datore di lavoro deve assicurare la tutela della salute della donna e la lavoratrice non può essere licenziata a causa della gravidanza”, afferma l'avvocato Doina Ioana Straisteanu.
Il videoreportage
Guarda il videoreportage di Natalia Ghilaşcu in lingua originale: "Gravidele au devenit o povară pentru angajatori "
Non si assumono donne in gravidanza
Secondo l'Agenzia statale per il lavoro, in molti casi le donne riferiscono di non essere state assunte perché avevano figli piccoli o che i datori di lavoro si rifiutano di pagare il congedo di maternità. Questo è quanto successo ad Anastasia, 23 anni, che avendo un figlio di due anni non riesce a trovare lavoro, nonostante la specializzazione da cuoca: i manager sono scettici sulle sue performance lavorative. “L'Agenzia statale mi ha indirizzata verso un college che cercava cuoche, ma quando mi sono proposta per un colloquio il direttore mi ha detto che è difficile assumere persone con figli, i bambini si ammalano facilmente e quindi una madre non era adatta per quel lavoro”. Anastasia aggiunge che avrebbe avuto più possibilità se avesse nascosto di avere un figlio.
Secondo Ala Supac, direttrice dell'Agenzia statale per il lavoro, documentare le discriminazioni è difficile, perché i datori di lavoro motivano le decisioni in altro modo, ad esempio sostenendo di aver trovato una candidatura migliore.
Igor Bezer fa il manager di un magazzino farmaceutico privato, dove l'80% della forza lavoro sono donne, e ci conferma la scarsa attenzione dei datori di lavoro al sociale. Alcune donne sono costrette a firmare un contratto che vieta loro di rimanere incinte nei primi due o tre anni di lavoro. “I dirigenti sanno che prima o poi le donne vanno in maternità e quindi impongono condizioni severe. In questo modo si assicurano di mettere a frutto il denaro speso in formazione”, spiega Bezer.
Bezer aggiunge che il governo dovrebbe incoraggiare il rispetto delle leggi e la responsabilità sociale d'impresa, altrimenti le aziende continueranno a discriminare lavoratrici in gravidanza e madri in nome del profitto.
Discriminazioni e leggi da perfezionare
Cristina sperava di tornare al lavoro e ricevere un sussidio per il figlio, ma l'Ispettorato del lavoro ha dato ragione all'azienda. I difensori dei diritti umani temono che non sia stato dato il giusto peso ai fattori discriminatori: le donne nella situazione di Cristina perdono il sussidio di maternità (a norma di legge, l'equivalente di uno stipendio) e non ricevono nemmeno il sussidio per l'allevamento del bambino (il 30%). Cristina riceve solo un sussidio minimo statale, equivalente a circa 20 euro al mese.
Secondo le leggi sul lavoro, la madre ha diritto di rimanere a casa a prendersi cura di un figlio fino ai 3 anni, e anche i padri hanno diritto ad un congedo. Nel 2010, tuttavia, alcuni emendamenti hanno reso più facile licenziare le donne in gravidanza per presunti errori o negligenze. Come spiega Claude Cahn, consigliere ONU per i diritti umani in Moldavia, questo succede spesso: “Non è un problema locale. In molti altri Paesi si copre un licenziamento discriminatorio con pretesti relativi ad assenze ingiustificate”.
Gli attivisti per i diritti umani concordano: la legge sulla parità di genere è rimasta inapplicata, e così il piano strategico per la parità. Nessun caso di discriminazione sul lavoro per gravidanza è stato finora sanzionato. Per questo il governo moldavo intende adottare una legge anti-discriminazione che renda più facile difendere i propri diritti in tribunale. La comunità cristiana però si oppone: la legge anti-discriminazioni oggetto di dibattito contrasterebbe anche le discriminazioni contro le persone omosessuali.
D'altro canto, gli esperti ritengono che le discriminazioni sul lavoro contro le madri o aspiranti tali abbia contribuito al calo delle nascite nel Paese.