Manifestazione per i dirtti LGBT a Kiev, 30 luglio 2021 (© paparazzza/Shutterstock)

Manifestazione per i dirtti LGBT a Kiev, 30 luglio 2021 (© paparazzza/Shutterstock)

Anastasia Danilova è la direttrice dell'associazione di tutela e promozione dei diritti Lgbt Genderoc con sede a Chișinău. L'abbiamo incontrata, per capire qual è la situazione dopo un mese di guerra

01/04/2022 -  Francesco Brusa Chișinău

Aiutare i più vulnerabili fra i vulnerabili. Sembra essere questo lo spirito che muove Genderdoc , associazione di tutela e promozione dei diritti Lgbt moldava con sede a Chișinău, impegnata fin dall’inizio della guerra in Ucraina ad assistere persone omosessuali, bisessuali, transgender che scappano dall’invasione russa. Si tratta di un lato forse marginale del conflitto in termini numerici ma oltremodo complesso, visto che le discriminazioni nei confronti di queste persone – già presenti in tempo di “pace” – rischiano ora di moltiplicarsi e farsi più acute.

Per questo l’associazione, nell’ambito dell’accoglienza moldava che si riunisce attorno al progetto governativo “Moldova pentru pace”, ha deciso di aprire una linea d’emergenza dedicata alle richieste di assistenza e rifugio per membri della comunità Lgbt in fuga dall’Ucraina. Abbiamo parlato con la direttrice del centro Anastasia Danilova per capire qual è la situazione dopo un mese di guerra.

Come mai avete deciso di mettere in campo il progetto della linea d’emergenza? Come sta andando?

L’inizio della guerra per me personalmente e, in generale, per i membri di Genderdoc e della comunità Lgbt in Moldavia ma non solo ha rappresentato un grande shock. Davvero, non ce lo aspettavamo e ancora è forte fra noi il timore che il conflitto possa estendersi anche qua. Spesso ci chiediamo che cosa dovremmo fare e come dovremmo agire in questo caso.

A ogni modo, fin dal secondo giorno di guerra abbiamo iniziato a fare richiesta di fondi per mettere in piedi un progetto di assistenza e rifugio per persone Lgbt. Sia la Moldavia che l’Ucraina sono contesti fortemente omobitrasnfobici: ci sembrava doveroso, anche in una situazione di guerra, far sì che i membri di questa comunità non subissero altre aggressioni oltre a quelle che già subiscono quotidianamente.

Così, il 27 febbraio siamo riusciti ad affittare un appartamento e trasformarlo in rifugio per chi scappava dall’Ucraina: l’esigenza era garantire una maggiore privacy e protezione, pensando soprattutto a persone trans per cui sarebbe stato difficoltoso essere ospitate in altri centri d’accoglienza condivisi. In più, mettiamo a disposizione ovviamente cibo, medicine, terapie ormonali, informazioni e assistenza legale. Sinora avremo assistito una cinquantina di persone.

Generalmente, chi scappa come viene a sapere del vostro servizio? Gli viene comunicato al confine?

La maggior parte delle persone arriva da Palanca, al confine sud vicino a Odessa. Ma, di solito, chi si rivolge alla nostra linea d’emergenza lo fa addirittura prima di affrontare il viaggio: questo perché arriva a noi attraverso altre associazioni per i diritti Lgbt con sede in Ucraina con cui siamo in costante contatto e collaborazione. La nostra linea è attiva 24 ore su 24 e talvolta abbiamo avuto un continuo afflusso di chiamate e richieste, mentre in questo momento la situazione sembra essersi “calmata” e il numero degli arrivi diminuito.

Ma, appunto, il primo contatto avviene già in Ucraina. Quello che possiamo osservare rispetto alle associazioni e realtà Lgbt attive su quel territorio è molto variegato: certamente, fin dal primo momento, molti attivisti e molte attiviste sono scappati dal paese. Ma tanti altri sono restati e hanno deciso di agire dentro l’emergenza, aumentando il sostengo per le soggettività a rischio e organizzando luoghi e strutture per l’accoglienza e il rifugio. Altri ancora si sono arruolati nell’esercito, oppure conosco anche persone della comunità che prima della guerra vivevano all’estero che sono tornate in Ucraina proprio per dare una mano.

Considero legittime tutte queste scelte, le accolgo e le comprendo.

In che modo la guerra in corso sta influenzando la situazione dei diritti Lgbt in Moldavia e in generale nei paesi est-europei?

È chiaramente troppo presto per dirlo. Però di sicuro l’avvio del conflitto ha generato un clima di insicurezza e incertezza, che psicologicamente si ripercuote spesso in maniera più acuta sulle soggettività Lgbt. È chiaro poi che una situazione del genere crea le condizioni per discriminazioni più forti: tutti abbiamo letto la notizia delle donne transessuali che vengono fermate alla frontiera perché sul documento d’identità sono ancora indicate come uomini e non possono perciò lasciare il paese.

È il momento di essere solidali e aperti, di rafforzare le nostre collaborazioni e capire come possiamo essere utili restando fedeli ai nostri valori. È un impegno che ci assumiamo come associazione, come comunità ma che ha anche risvolti molto personali.