“Paradossale e contraddittorio”: Vitalie Sprinceana sociologo, attivista e redattore della rivista Platzforma così definisce il dibattito che accompagna il prossimo referendum sull’UE in Moldova. Nostra intervista
L’Europa come orizzonte o come panacea, l’Europa come orientamento naturale della repubblica moldava e della sua popolazione, che va solo certificato attraverso un referendum, oppure come svolta, “grande balzo in avanti” che aprirà inediti percorsi di sviluppo per il paese.
Secondo Vitalie Sprinceana, sociologo, attivista e redattore della rivista Platzforma originario di Coropceni (Telenești) e di stanza a Chișinău, la retorica che sta accompagnando l’appuntamento elettorale della prossima domenica in Moldova è a tratti “paradossale e contraddittorio”.
Oltre a scegliere il prossimo presidente della piccola nazione post-sovietica, cittadini e cittadine sono chiamati anche a esprimersi in merito all’inserimento nella Costituzione dell’ingresso in Unione Europea in quanto “obiettivo irreversibile”.
Di fatto, si tratterebbe di una riconferma della tendenza che è andata affermandosi sino a ora: negli ultimi decenni i rapporti fra Chișinău e Bruxelles non hanno fatto altro che approfondirsi, e anzi il governo guidato dalla filo-europeista Maia Sandu ha accelerato un tale processo.
Dall’altro lato, forse, in un momento in cui nella vicina Ucraina è in corso una guerra sanguinosa e il ruolo della Russia di Putin si è fatto estremamente minaccioso nella regione, la possibilità di definire una volta per tutte il proprio orientamento geopolitico si carica di un valore simbolico più forte di prima.
Ne abbiamo discusso con Sprinceana.
Non le sembra che non ci sia un grande entusiasmo da parte degli elettori per il referendum?
Da parte della classe politica stiamo assistendo a una retorica che è spesso contraddittoria. A volte, il referendum per l’ingresso nell’Unione Europea viene presentato come qualcosa di storico, una scelta destinata a cambiare per sempre la Moldova.
In altre occasioni, gli stessi esponenti del governo che si fa promotore del referendum affermano che, quale che sia il risultato, cambierà poco. In fin dei conti, il processo di avvicinamento del paese a Bruxelles è una dinamica di lungo corso ed è anche stato certificato in passato da alcuni pronunciamenti della Corte Costituzionale. Non è chiaro, infatti, quali saranno le conseguenze concrete, sia che vinca il sì o che vinca il no.
Io tendo a leggere queste elezioni come una “prova generale” per le parlamentari che ci saranno l’anno prossimo. Penso che Maia Sandu abbia deciso di indire il referendum assieme alle presidenziali per motivi più che altro strategici, in modo da associare ancora di più la propria figura con la volontà di entrare in Europa e cementificare il consenso attorno a sé, dissociandosi dal proprio partito e personalizzandolo ulteriormente.
Sandu gode infatti di popolarità ma lo stesso non si può dire per la sua compagine politica, che infatti potrebbe non ottenere grandi risultati nel 2025.
Come mai questo calo nei consensi rispetto al partito?
È ironico che l’attuale governo stia fallendo proprio nell’obiettivo per cui era stato eletto con grande convinzione, vale a dire la lotta contro la corruzione.
Alcuni ministri, come quello degli Esteri e dei Trasporti, sono stati coinvolti in alcuni scandali e, in generale, non sembrano esserci stati grandi avanzamenti nel contrasto alla corruzione così come nella riforma del sistema giudiziario (che rappresenta, c’è da dire, una questione di lunga data nello scenario politico moldavo). Il fatto è che, secondo me, manca una visione più generale del paese e dei suoi possibili sviluppi futuri.
Anche dell’ingresso nell’Unione Europea si parla o in termini troppo astratti oppure in maniera circoscritta ai benefici economici. Se dovessimo entrare definitivamente in Europa, ci sarebbero più finanziamenti in arrivo (probabilmente sotto forma di prestiti) e questo viene presentato come qualcosa di intrinsecamente positivo.
Ma nessuno ragiona su cosa fare di questi soldi, di quali politiche interne portare avanti nel nuovo scenario. Come ci immaginiamo la Moldova da qui a venti o trent'anni? Come una sorta di hub tecnologico per l’Unione Europea o come riserva di lavoro a basso costo?
Perché nel primo caso, che rappresenta il sogno di alcuni, occorrerebbe muoversi ora, istituendo dei campus, dei centri di ricerca, ecc. ma in realtà niente di tutto ciò viene discusso.
Agli occhi di molti moldavi Maia Sandu e il PAS costituiscono ancora una novità…
Sicuramente rappresentano una nuova era nella politica moldava, si tratta di una classe dirigente più istruita e più istituzionalmente formata rispetto alle precedenti. Inoltre, c’è un grosso investimento emozionale da parte di una larga fetta di popolazione nei loro confronti, anche perché alcuni miglioramenti reali si sono verificati.
Allo stesso tempo, però, si sono ritrovati nei loro anni di governo a utilizzare anche vecchi metodi e a impiegare retoriche non così dissimili da quelle dei loro oppositori.
Trovo problematica questa idea semplicistica che la corruzione sia la radice di tutti i problemi che affliggono la Moldova e che, di conseguenza, la lotta alla corruzione possa rappresentare la chiave di qualsiasi traguardo futuro. Non funziona esattamente così.
Spesso il tema della corruzione viene utilizzato come mero strumento ideologico e retorico contro chi di volta in volta si presenta come oppositore del governo, prima era Vladimir Plahotniuc e ora Ilan Shor, e non come un tema di discussione reale.
Manca un discorso politico più complesso che cerchi di costruire un senso di appartenenza più profondo fra le persone che vivono questo territorio, che nella più parte dei casi sono apatiche e poco propense a partecipare ai processi politici.
Può approfondire?
Penso che la Moldova rappresenti un esempio perfetto di società atomizzata e poco mobilitata in senso politico. In realtà, si tratta di un problema che investe molti contesti dell’Europa orientale.
Tuttavia, qui mi sembra particolarmente lancinante: una grossissima fetta di persone si trova a lavorare all’estero, in una dimensione di completo scollamento rispetto al proprio paese di origine: passano magari un mese o due in Moldova per ritornare poi in Europa o in Russia, e l’unico contatto che hanno con le istituzioni è dato dalla burocrazia e dall’assistenza sanitaria.
D’altra parte, i più giovani ricevono pochissima educazione civica a scuola e difficilmente incontrano nella propria vita occasioni di esperienze comunitarie e politiche.
Gli anni successivi alla fine dell’Unione Sovietica hanno davvero smantellato le poche istituzioni collettive presenti nel paese e creato un forte individualismo. Non intendo assolutamente idealizzare la dimensione comunitaria in sé, che anzi molto spesso è un contesto in cui si verificano oppressioni di vario tipo.
Però è chiaro che in un contesto atomizzato e individualistico non ci sarà mai della vera partecipazione politica e diventa anche molto difficile articolare un “progetto nazionale” rispettoso delle minoranze linguistiche e culturali, che in Moldova sono numerose e il più delle volte trattate come “stranieri” dal governo centrale.
La condizione migratoria che interessa molti cittadini e l’instabilità economica porta a sviluppare un forte senso di diffidenza presso le persone, un atteggiamento di costante sfiducia verso l’altro che si ripercuote anche in sfiducia tout court verso le classi politiche e la politica in generale.