Una società profondamente divisa si avvia verso il possibile ultimo atto nella storia della separazione delle repubbliche dell'ex Jugoslavia
"Sì naturalmente". Melida (26) sembra stupirsi della nostra domanda. "Perchè, c'è qualcuno che voterà no?" Piazza Repubblica, centro di Podgorica. Sul palazzo del comune uno striscione mette le mani avanti: "Vincerà il Montenegro al 100%". Due ragazze rientrano a notte fonda dal raduno dei ginnasiali che festeggiano la fine del liceo. "Possiamo chiedervi cosa voterete domenica?" Le due non hanno esitazioni: "Ovviamente voteremo no."
Manifesti giganti con le scritte "Da" e "Ne" sono ovunque, anche se a Podgorica i "Sì" e le bandiere del Montenegro sono la netta maggioranza. In altre zone del paese, sulle case e ai lati delle strade, l'iconografia è diversa. A Herceg Novi, dove negli anni '90 hanno trovato rifugio molti profughi serbi della Bosnia Erzegovina, un manifesto mostra un uomo seduto di spalle sulla poltrona presidenziale. Nella foto accanto, una folla di persone con le bandiere unioniste e lo slogan: "Chi è maggioranza e chi minoranza in Montenegro?"
L'uomo di spalle è evidentemente Milo Djukanovic, il premier tuttora nel mirino della magistratura italiana per un'inchiesta sul contrabbando di sigarette tra Montenegro e UE negli anni '90. E' lui a guidare il fronte indipendentista, sostenuto dalla coalizione di governo (partito Democratico dei Socialisti e partito Socialdemocratico), insieme a molti partiti minori, come il partito Liberale e il partito Civico, e la maggioranza dei partiti che rappresentano le minoranze albanese, bosgnacca e croata.
Il fronte del no, unionista, è guidato dal partito Socialista Popolare (SNP), di Predrag Bulatovic. Con lui ci sono il partito Popolare Serbo, di Andrija Mandic, il partito Democratico Serbo e il partito Popolare di Predrag Popovic.
L'Unione Europea, che ha svolto il ruolo principale nella creazione della Unione Serbia-Montenegro nel 2003, ha fissato le due regole fondamentali del referendum: il 50% dei votanti registrati devono partecipare al voto; almeno il 55% dei voti deve essere per l'indipendenza. Il controverso modello è stato proposto dall'inviato speciale dell'Unione, il diplomatico slovacco Miroslav Lajcak, il 15 febbraio scorso. Il parlamento montenegrino ha approvato riluttante. Un autorevole editorialista locale, conversando con noi di fronte a una tazza di caffé, è ritornato oggi sulla questione: "Si tratta di una regola antidemocratica. Significa che non tutti i voti sono uguali".
In conseguenza delle alchimie elettorali di Bruxelles, non è chiaro infatti cosa accadrebbe in caso di un risultato all'interno della "zona grigia" (più del 50 ma meno del 55% per l'indipendenza). Secondo gli Unionisti, qualsiasi risultato inferiore al 55% chiuderebbe il discorso, almeno per il momento. E' chiaro però che un'Unione respinta da più del 50% dei cittadini di uno degli Stati costitutivi poggerebbe su fondamenta alquanto instabili.
Cosa cambierebbe invece per i cittadini dell'Unione in caso di una vittoria del sì? I legami tra Serbia e Montenegro sono più forti di quelli esistenti tra qualsiasi altra repubblica della ex Jugoslavia, e probabilmente rimarranno tali indipendentemente dai risultati del voto. Nelle settimane scorse, tuttavia, Belgrado e Podgorica hanno espresso posizioni diverse sulle conseguenze del voto.
In una dichiarazione approvata il 13 aprile scorso ("Dichiarazione sui rapporti con la Repubblica di Serbia dopo il raggiungimento dell'indipendenza), il governo montenegrino ha affermato che, in caso di vittoria dei sì, i cittadini serbi continueranno a godere degli stessi diritti dei montenegrini, eccetto il diritto di voto. Il premier Djukanovic ha rassicurato i proprietari (serbi) di immobili che le tasse per loro resteranno identiche a quelle dei montenegrini e che i serbi che vivono nella repubblica adriatica potranno ottenere la cittadinanza montenegrina o mantenere la doppia cittadinanza.
Il governo del primo ministro serbo Vojislav Kostunica, che il 17 maggio scorso si è rivolto agli elettori montenegrini invitandoli a non votare per la rottura dell'Unione, ha invece chiarito che i montenegrini che vivono in Serbia potrebbero diventare degli stranieri in caso di una vittoria degli indipendentisti.
Il ministro dell'Educazione serbo ha precisato che le migliaia di studenti montenegrini che vivono in Serbia dovranno pagare più tasse e far fronte a numerose complicazioni in caso di indipendenza del Montenegro. Il ministro del Lavoro, dell'Impiego e della Politica Sociale serbo ha invece affermato che i cittadini del Montenegro non potranno ottenere un permesso di lavoro che in caso di presentazione di un certificato di residenza provvisorio o permanente (v. "Belgrado minaccia i Montenegrini di Serbia di rappresaglie", di Dusan Icevic, Danas, 13 maggio 2006).
Le posizioni del governo, a Belgrado, non sono ovviamente condivise da tutti. Nei giorni scorsi, un editoriale del quotidiano Politika ha proposto di attribuire automaticamente la cittadinanza del nuovo Stato (in caso di vittoria dei sì) ai cittadini serbi che risiedono in Montenegro e ai montenegrini che vivono in Serbia (v. Vladimir Ćerić, Politika, 17 maggio 2006).
In caso di una vittoria dei no, il problema principale che dovranno invece affrontare le due repubbliche è quello della continuazione di un'Unione che non funziona, a partire proprio dal percorso di integrazione europeo.
Il commissario europeo all'allargamento, Olli Rehn, ha infatti dichiarato il 3 maggio scorso che i negoziati per la firma di un accordo di associazione e stabilizzazione tra Serbia-Montenegro e Bruxelles sono sospesi a tempo indeterminato, fino a quando Belgrado non consegnerà il latitante Ratko Mladic. Questo evento ha rafforzato il punto di vista dei montenegrini che credono di poter entrare nell'UE molto più facilmente soli che con la Serbia.
Secondo alcuni osservatori, infatti, è proprio la continuazione dell'Unione uno dei problemi principali in questo percorso. Le forze armate e i servizi di sicurezza sono infatti sotto la responsabilità congiunta di Serbia e Montenegro, ma gli organi parlamentari preposti al controllo di questi apparati semplicemente non funzionano da tempo. L'assenza di ogni controllo civile sui militari favorirebbe la prosecuzione della latitanza dei criminali impedendo la continuazione del percorso di integrazione europeo (v. "Army Reforms Run Out Of Steam", di Pedja Obradovic, Balkan Insight, 17 marzo 2006).
Il voto di domani, la fine degli interrogativi continui sulla natura e durata dell'Unione, dovrebbe insomma consentire un chiarimento importante sotto diversi profili. I referendum, però, da queste parti fanno paura. Nella storia recente della ex Jugoslavia, hanno spesso rappresentato l'inizio delle violenze. Per questo sia i rappresentanti internazionali, che la stampa e i politici locali hanno ripetuto negli ultimi giorni gli appelli al senso di responsabilità. Data la evidente divisione della società montenegrina, il quotidiano di Podgorica, Vijesti, oggi titola: "Riconciliazione da lunedì".
Domani, 21 maggio, la domanda cui potranno rispondere con un semplice Sì o No circa 480.000 aventi diritto è la seguente: "Volete che il Montenegro sia uno Stato indipendente con piena legittimità internazionale?" I risultati dovrebbero essere resi noti nella nottata. Lasciando da parte i fantasmi degli anni '90, per ora il timore più concreto sono exit poll come quelli delle recenti elezioni politiche italiane.