Dopo la sospensione del dibattito in corso nel parlamento montenegrino sulla controversa centrale idroelettrica di Buk Bijela, la quale causerebbe l'inondazione di una parte del canyon del fiume Tara, sembra che le spinte del governo siano rallentate. Attese le analisi sull'impatto ambientale
Il parlamento montenegrino ha interrotto, il 25 novembre scorso, il dibattito sulla Dichiarazione sulla difesa del fiume Tara. Dopo tre giorni di dibattiti poco costruttivi i deputati hanno deciso di interrompere la discussione a causa dei loro impegni al forum parlamentare internazionale a Cetinje. La discussione dovrebbe riprendere il prossimo 7 dicembre.
Nonostante che la discussione parlamentare sembri finita in un circolo vizioso, il pubblico la sta seguendo con molta attenzione ed anche i media le dedicano parecchio spazio.
Il Governo sta cercando di difendere il progetto della centrale Buk Bijela. Uno degli argomenti cruciali per sostenere la costruzione della centrale idroelettrica è la diminuzione significativa del deficit montenegrino derivante dall'elettricità. Il Governo sostiene che non si possono negare i 50 milioni di euro di deficit su base annua.
Ma, se il Montenegro spende centinaia di milioni di euro nell'importazione di cibo, abbigliamento, alcool, tabacco, acqua, perché all'improvviso è venuto a galla il problema del deficit di 50 milioni di euro derivante dall'energia elettrica?
Ricordiamo che recentemente il Montenegro, ha firmato l'Accordo di Atene, il quale prevede la riforma nell'ambito del settore energetico, in accordo col sistema europeo dove l'elettricità viene comprata ai prezzi di mercato, come tutte le altre merci. Dunque, il Montenegro potrebbe tranquillamente importare elettricità e d'altra parte sviluppare il turismo e l'agricoltura, punti strategici del Montenegro, visto il suo orientamento verso l'ecologia (il Montenegro si è dichiarato Stato ecologico).
L'opposizione ha accusato il governo montenegrino di proteggere gli interessi della lobby dell'energia elettrica, in cui figurano Voijn Lazarević e Vuk Hamović, come attori principali di tale lobby. Bisogna ricordare che l'Alto rappresentante per la Bosnia Herzegovina, Paddy Ashdown, nel rapporto del febbraio 2003, ha avvisato che la compagnia britannica EFT di Lazarević e Hamović, principale fornitrice di energia elettrica nei Balcani, ha guadagnato un extra profitto, grazie a dei contratti sospetti con l'Azienda elettrica della RS (Elektroprivreda RS) e che da parte polizia finanziaria della Gran Bretagna sono state avviate le indagini sulla EFT.
Inoltre, Paddy Ashdown ha dichiarato per "Voice of America", ripreso in seguito dal quotidiano montenegrino "Vijesti" del 12 novembre scorso, che "La revisione dell'analisi finanziaria ha indicato che la diga non ha nessuna giustificazione economica. La BiH non è così ricca da potersi permettere di sprecare denaro. " Ashdown ha avvisato più volte che il progetto Buk Bijela, non soltanto non ha alcuna ragione economica per essere implementato, ma è anche controverso e poco trasparente.
La giornalista di "Monitor" Milka Tadić Mijović, nell'edizione del 26 novembre, scrive che, secondo le analisi della Banca Mondiale, bisogna aggiungere un ulteriore 60% ai costi di costruzione della centrale Buk Bijela. Percentuale calcolata come l'eccesso medio dei costi nei paesi sviluppati in caso di costruzione di una centrale.
Dunque, la centrale idroelettrica potrebbe costare molto di più di quanto si pensasse all'inizio, cioè oltre i 450 milioni di euro.
Inoltre, bisogna ricordare che il Montenegro non ha nessuna strategia riguardante lo sviluppo sostenibile del settore energetico. Non esistono né le analisi del fabbisogno energetico del Montenegro, né le analisi sulle fonti energetiche alternative.
Il fondatore della ONG "Zeleni Crne Gore" (Verdi del Montenegro), Branko Lukovac, ha scritto un articolo, pubblicato sul quotidiano "Vijesti, nell'edizione del 2 novembre scorso, dove sostiene che il Governo, prima di tutto, dovrebbe iniziare i lavori sulla strategia dello sviluppo energetico sostenibile, consultando gli esperti dell'UNESCO.
Lukovac ha anche accusato il Governo di voler assicurare al futuro proprietario dello stabilimento di alluminio (KAP), il maggior consumatore di elettricità nel Paese, l'elettricità ai prezzi concordati. Mentre, dall'altra parte vuole sommergere il canyon del Tara per garantire al concessionario privato l'esclusiva nel rifornimento dell'elettricità nel Paese.
Dunque, il Tara dovrebbe essere sommerso per interessi privati, non per interessi del Paese, come sostiene il Governo.
Il Primo ministro Milo Đukanović ha negato l'ipotesi che il governo montenegrino stesse proteggendo gli interessi della lobby dell'energia e la sua dichiarazione è stata pubblicata sul quotidiano montenegrino "Republika" del 3 novembre scorso.
Đukanović ha sottolineato che il Montenegro deve trovare un compromesso tra gli interessi ecologici e quelli economici, aggiungendo che essere contrari alla Dichiarazione non significa essere contrari al Tara.
"Certo che dobbiamo proteggere il nostro patrimonio ecologico, ma non possiamo neanche permetterci di pregiudicare le future generazioni con il divieto di costruzione di impianti energetici. ", ha affermato il premier.
"Fino ad ora abbiamo sempre fatto un compromesso a favore degli interessi ecologici, ma sfavorendo gli interessi energetici, e sopratutto contro gli interessi economici, parlando in termini di lunghi periodi", ha aggiunto Đukanović.
La posizione del Governo sulla Dichiarazione sulla difesa del fiume Tara è che si tratti di un testo troppo severo e che la sua eventuale adozione significherebbe il divieto per la costruzione di qualsiasi tipo di impianto nelle vicinanze del canyon, anche di quelli turistici. Di conseguenza lo sviluppo del nord del Paese verrebbe fermato. Inoltre, esiste già la Dichiarazione montenegrina sullo Stato ecologico, così che la Dichiarazione sulla difesa del fiume Tara sarebbe eccessiva.
L'opposizione nega questo argomento, spiegando che proprio sommergendo il canyon, il nord del Montenegro verrebbe condannato alla catastrofe, visto che il Tara rappresenta una risorsa strategica del Montenegro e la possibilità per lo sviluppo dell'eco-turismo nel nord del Paese. Quindi, la Dichiarazione non sarà in eccesso, perché le attività svolte fino ad ora sulla costruzione della diga sono tutte contrarie ai principi dello Stato ecologico e della Legge montenegrina sull'ambiente, tuttora in vigore.
Allora, quale sono le prospettive per salvare il Tara e il suo attrattivo canyon? Sembra che l'unica speranza al momento sia il mondo e le organizzazioni internazionali.
Anche se fino a qualche tempo fa il governo montenegrino aveva molta fretta di concludere il controverso affare, sembra che, dopo gli interventi dell'UNESCO, abbia frenato un po' le sue spinte in quella direzione.
Così, dopo l'incontro dei rappresentanti montenegrini e bosniaci, una decina di giorni fa a Trebinje, è stato deciso di fermare le procedure avviate finché non sarà pronta l'analisi ambientale. Secondo i funzionari ci vorranno almeno 3 mesi per concludere i lavori relativi all'analisi in questione.
Nel frattempo il Primo ministro Đukanović sta preparando l'opinione pubblica, avvertendo che la Dichiarazione sulla difesa del fiume Tara, anche se dovesse essere adottata dal Parlamento, non rappresenterebbe un atto giuridico in grado di obbligare il Governo.
Contro questa dichiarazione hanno protestato sia l'opposizione che le ONG, spiegando che se la Dichiarazione venisse accettata dal parlamento montenegrino non sarebbe una legge, ma rappresenterebbe la volontà della maggioranza montenegrina.
Sicché andare contro la Dichiarazione significherebbe andare contro la maggioranza del Montenegro.
Se il Governo, nonostante la Dichiarazione , riprendesse le attività sulla diga, dovrebbe rispettare sia la legge nazionale sia quella internazionale, visto che il Montenegro fa parte del programma "L'uomo e la biosfera" e "Patrimonio mondiale da difendere" dell'UNESCO. Altrimenti, il Montenegro rischia di essere giudicato come uno Stato in cui la legge in vigore non viene rispettata e di conseguenza rischierebbe di perdere i futuri partner dei Paesi sviluppati, i quali preferiscono investire in quei Paesi dove i sistemi politici ed economici garantiscono una certa stabilità.
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