Ex ambasciatore e ministro degli Esteri, docente alla Sapienza e alla Luiss di Roma, Miodrag Lekić oggi è alla guida della coalizione che cercherà, in Montenegro, di rovesciare il ventennale potere di Milo Đukanović alle elezioni di domenica 14 ottobre
Milo Đukanović, nel corso della campagna in vista delle legislative montenegrine (si tengono domenica 14), ha sempre declinato la proposta, rivoltagli da Miodrag Lekić di duellare sul piccolo schermo. "Non cambierebbe nulla, rispetto a dibattiti simili che ho già avuto con i suoi datori di lavoro, Milošević e Koštunica".
L’ex presidente e primo ministro, che ancora oggi, seppure con la sola carica di capo del Partito dei socialisti democratici (Dps), resta indiscutibilmente – così i più dicono – l’uomo più potente del paese ha anche aggiunto, riporta il sito Balkan Insight, che il Fronte democratico, la formazione di nuovo conio di cui Lekić è il numero uno e che potrebbe ottenere il 18% delle preferenze, divenendo il primo partito dell’opposizione, è fondamentalmente un partito filo serbo. Non basta: Đukanović ha anche riferito che più che lui dovrebbero essere i suoi consiglieri per la diaspora a discutere con Lekić in tv, soffermandosi sul fatto che l’avversario è stato a lungo all’estero, in questi anni.
Un montenegrino a Roma
In effetti Lekić, originario di Bar, ha soggiornato pochissimo in Montenegro dagli anni ’90 a oggi. È stato nel paese solo quando, tra il 1992 e il 1995, ha ricoperto la carica di ministro degli Esteri. Prima era stato ambasciatore in Mozambico, Lesotho e Swaziland. Dopodiché era stato inviato a Roma, dove rappresentò la Jugoslavia di Milošević durante il conflitto con il Kosovo. Su quelle vicende ha anche scritto un libro, La mia guerra alla guerra (Guerini e associati, 2006), basato sul diario che tenne durante il conflitto.
Dopo la guerra uscì dal servizio diplomatico, salvo poi essere riconfermato rappresentante diplomatico a Roma da Vojislav Koštunica, dopo la rivoluzione dell’ottobre del 2000 e la conseguente defenestrazione di Milošević.
L’esperienza diplomatica è terminata nel 2003. Da allora Lekić ha scelto di restare a vivere a Roma con la moglie Lidia e le due figlie, grazie all’offerta ricevuta dalla LUISS, che gli ha proposto una cattedra in Tecnica del negoziato internazionale (Lekić è stato anche docente alla Sapienza).
I rapporti con i potenti
Ora, tornando alle parole di Đukanović, verrebbe da dire che l’ex primo ministro ha ragione. In effetti Lekić ha servito sotto Milošević e Koštunica, vale a dire con chi costrinse il Montenegro all’embargo durante la stagione delle guerre (è anche vero che sulle sponde dell’Adriatico si scelse di non rompere con Belgrado) e con chi, almeno secondo la vulgata, ha cercato di impedire che Podgorica, nel 2006, ottenesse l’indipendenza tramite consultazione referendaria.
Tuttavia Lekić non è mai stato seguace né di Milošević né di Koštunica. Nel primo caso, come emerge in La mia guerra alla guerra, ha sostanzialmente svolto il mestiere di diplomatico, in una situazione complicata tanto politicamente quanto emotivamente. Lekić, all’epoca, decise di continuare a rappresentare la Jugoslavia, nonostante la contrarietà alle politiche di Milošević e alla guerra nel Kosovo, perché con l’incombenza dei bombardamenti Nato e poi con la concreta offensiva dell’Alleanza atlantica, sarebbe stato vile defilarsi.
Quanto al rapporto con Koštunica, si sa poco. Le sue credenziali sono spirate nel 2003, anno della morte di Đinđić. Si sa, invece, che quelli con Đukanović si sono logorati tempo addietro, proprio mentre Lekić serviva come ministro degli Esteri del Montenegro. Era il periodo in cui il Montenegro balzò in testa alle cronache criminali a causa del contrabbando di sigarette e Lekić iniziò a distaccarsi dalla leadership di Podgorica.
Una lontananza vicina
Quella è stata l’ultima volta che Lekić ha risieduto in Montenegro. Questo non significa, come vorrebbe indurre a credere la campagna di Đukanović, che abbia rinnegato la sua patria o che nel corso degli anni non se ne sia interessato alle vicende politiche. Da Roma, l’ex ambasciatore è intervenuto spesso sulle colonne dei giornali di opposizione di Podgorica, criticando il sistema Đukanović, senza comunque mai scivolare nell’offesa e usando anche nella prosa quel dire e non dire, con cui però si dice tutto.
Periodicamente, poi, Lekić è tornato in patria. D’estate inoltre vi ha sempre trascorso almeno due mesi. In queste occasioni, c’è da credere, ha coltivato contatti, ha tessuto relazioni, ha discusso e ragionato di politica. Ma non era mai emersa una sua ambizione personale a scendere in campo, anche se chi lo conosce bene ha spesso immaginato questa prospettiva, concretizzatasi in estate, quando Lekić ha accettato la chiamata del Fronte democratico.
Perché l’ex diplomatico ha scelto di impegnarsi in prima persona proprio adesso? Viene da pensare che Lekić abbia visto nelle manifestazioni primaverili, guidate dall’attivista della ong MANS Vanja Ćalović, e nella crisi economica in cui versa il paese i due fattori che potrebbero permettere un cambiamento, scalzando dal potere Đukanović e i suoi. Lekić, davanti alla dinamicità mostrata dalla società civile e alla stagnazione economica-politica, ha dunque smesso i panni da stratega, lasciando le retrovie, schierandosi e rispondendo all’offerta del Fronte democratico, che forse ha visto in lui una sorta di Monti montenegrino: distaccato, competente, mai sopra le righe e con credibilità internazionale.
Montenegrino e jugoslavo
Miodrag Lekić e il Fronte democratico sono una proiezione serba in terra montenegrina, hanno detto Đukanović e i suoi collaboratori. Esagerato. Lekić non è filo-serbo, ma non è neanche anti-serbo. Ritiene che Podgorica non possa non dialogare, commerciare e fare accordi con Belgrado. Come ritiene che il rapporto speciale tra il Montenegro e la Serbia debba allargarsi a tutta l’area balcanica.
Lekić, a suo tempo uno jugoslavista convinto (si legga In morte della Jugoslavia, Limes 6/03), pensa che il tessuto di rapporti familiari, linguistici, culturali, economici e commerciali creato dall’esperienza jugoslava abbia lasciato in eredità una dote e che sia compito delle leadership della regione coglierla e valorizzarla, dopo una lunga parentesi segnata da piccole autarchie. Talmente piccole che persino le vittorie tennistiche di Novak Đoković vengono strumentalizzate politicamente. Tempo fa, a quanto pare, saltò fuori una sorta di velina con cui le autorità di Podgorica consigliavano ai giornali di non fare titoli troppo urlati dopo le vittorie del grande tennista.
Lekić detesta queste cose. Secondo lui Đoković è sì un talento serbo, ma va visto come un esempio di riscatto, tramite lo sport, che può valere in ogni angolo dei Balcani. Dunque va sostenuto. A proposito: Miodrag Lekić è un ottimo giocatore di tennis. Al circolo dei diplomatici di Roma, dove ha vinto qualche buon torneo, ne sanno qualcosa.