Daliborka Uljarević (foto Centar za građansko obrazovanje)

Daliborka Uljarević (foto Centar za građansko obrazovanje)

Il Montenegro è attraversato da una crisi politica prolungata. Pochi i cambiamenti dopo la sconfitta del partito di Đukanović alle elezioni del 2020. L'esecutivo in carica è reso fragile da una maggioranza risicata e litigiosa. Come uscirne? Intervista con la politologa montenegrina Daliborka Uljarević

03/02/2022 -  Jerko Bakotin

(Originariamente pubblicato da Novosti , il 22 gennaio 2022)

Il Montenegro vive in uno stato di perenne crisi politica. Il primo partito in parlamento (Fronte democratico, DF) continua a chiedere le dimissioni del premier Zdravko Krivokapić e un rimpasto di governo, insistendo sulla necessità che l’attuale esecutivo tecnico venga sostituito con un governo che sia espressione dei partiti politici usciti vincitori dalle ultime elezioni. La maggioranza parlamentare – una maggioranza striminzita di 41 seggi su 81 – spesso vota contro i provvedimenti proposti dal governo, mentre l’opposizione ha recentemente presentato una mozione di sfiducia contro il governo, per poi ritirarla. Secondo lei, quale potrebbe essere la via d’uscita dalla crisi politica attraversata dal Montenegro?

Le ultime elezioni politiche non hanno portato ad alcun cambiamento sostanziale, bensì solo formale. La nuova leadership al potere ricorre alle consuete pratiche partitocratiche e gli interessi particolaristici continuano a prevalere sull’interesse pubblico. D’altra parte, il Partito democratico dei socialisti (DPS) si è dimostrato incapace di riformarsi e di trovare una nuova vitalità, continuando a sopravvivere approfittando delle debolezze del governo, invece di agire in modo proattivo.

Nell’ultimo anno è mezzo è emerso che in Montenegro nessuno scenario politico è da escludere e in alcuni ambiti la situazione è persino peggiorata. Ci sono stati molti tentativi di trovare un equilibrio tra i vari approcci perseguiti dalle forze politiche di maggioranza. Tutti questi tentativi sono però andati a vuoto perché i partiti al potere non riescono a mettersi d’accordo su questioni di primaria importanza, anche a causa delle relazioni, piuttosto complesse, all’interno della maggioranza.

Il Montenegro non potrà progredire finché nel processo decisionale non verrà coinvolto un maggior numero di attori. Quindi, una soluzione temporanea potrebbe essere la formazione di un governo di minoranza, oppure, altra soluzione, di un nuovo governo tecnico che rimarrebbe in carica fino alle prossime elezioni, ponendosi come primo obiettivo quello di superare l’attuale situazione di impasse che impedisce il normale funzionamento dello stato di diritto, soprattutto del sistema giudiziario, un obiettivo che può essere raggiunto solo da una maggioranza più ampia di quella attuale.

Il futuro governo dovrebbe poi cercare di porre fine alle divisioni e all’attuale clima tossico che regna nella società montenegrina, ma anche di eliminare le pratiche dannose usate sia dal DPS che dall’attuale governo, sforzandosi quindi di creare una società più inclusiva e meno polarizzata. Solo così potremo iniziare ad uscire da questo circolo vizioso in cui siamo sprofondati nel nostro percorso verso l’Unione europea. Ovviamente, solo dopo le prossime elezioni si potrà pensare ad una soluzione più sostenibile e, a mio avviso, bisognerebbe anticipare le elezioni, così da poterle organizzare entro la fine del 2022, o eventualmente in concomitanza con le presidenziali, previste per la primavera 2023.

I movimenti URA e Civis, che fanno parte della coalizione al governo, hanno recentemente proposto di formare un governo di minoranza che non includa né il DF né il DPS. Allo stesso tempo, Dritan Abazović, leader del movimento URA, ha affermato che sarebbe ottimo se il DF e il DPS dessero il loro appoggio a tale governo di minoranza. Come commenta questa proposta dei movimenti URA e Civis, che tra l’altro, insieme ad un altro partner di coalizione di governo (Partito socialista popolare, SNP), hanno già sottoscritto un memorandum di collaborazione con i partiti delle minoranze nazionali attualmente all’opposizione?

Le elezioni dell’agosto 2020 hanno segnato la fine del governo trentennale del DPS, ma non hanno portato alla formazione di una maggioranza parlamentare stabile né tanto meno alla creazione di un governo capace di intraprendere vere riforme. L’unica cosa che accomunava le tre coalizioni uscite vincitrici dalle elezioni era il desiderio di rovesciare il regime guidato dal DPS. Dopo le elezioni sono emerse numerose differenze tra queste coalizioni, differenze che con il passare del tempo si sono dimostrate insuperabili. Inoltre, i partiti che hanno vinto le elezioni hanno deciso di avventurarsi in un esperimento, dando vita al cosiddetto governo degli esperti, guidato da una persona senza alcuna esperienza politica precedente.

L’incompetenza del governo, dimostratosi incapace di risolvere alcuni problemi pressanti, e la tendenza ad acuire le tensioni presenti nella società attraverso “la clericalizzazione della politica” – come l’ha definita Tonino Picula, eurodeputato croato e rapporteur del PE per il Montenegro – hanno portato ad un progressivo calo di fiducia nell'esecutivo da parte dei cittadini e del parlamento, ma anche da parte dei partner occidentali del Montenegro. Dopo il fallimento delle trattative tra le forze politiche di maggioranza su un rimpasto di governo era solo questione di tempo prima che qualcuno trovasse il coraggio di proporre un nuovo modello di governo. Sottolineo il coraggio perché le forze di maggioranza temono che, qualora decidessero di ritirare il proprio sostegno al governo, i loro elettori potrebbero interpretare tale decisione come il prologo al ritorno al potere del DPS. Stando ai risultati emersi da un recente sondaggio effettuato dal Centro per l’educazione civica, l’opinione pubblica montenegrina ha accolto positivamente il memorandum di collaborazione sottoscritto da alcuni partiti al governo (URA, Civis e SNP) con i partiti delle minoranze nazionali attualmente all’opposizione. Poi è emersa l’idea di formare un governo di minoranza, idea che ovviamente comporta certi rischi, ma in questo momento sembra l’opzione migliore che potrebbe aprire la strada ad una soluzione più duratura. Un eventuale governo di minoranza includerebbe i partiti firmatari del memorandum di cui sopra e il Partito socialdemocratico (SDP), e probabilmente verrebbe appoggiato dal DPS che non è più nella posizione di dettare le regole del gioco, ma potrebbe sfruttare l’occasione per presentarsi come un attore costruttivo.

Molte organizzazioni governative denunciano il fatto che in Montenegro si assiste all’ascesa di un estremismo religioso e nazionalista. L’attuale governo guidato da Zdravko Krivokapić è stato formato anche grazie all’appoggio dell’ex metropolita montenegrino Amfilohije e, stando ai risultati di un sondaggio, il 51% dei cittadini montenegrini definisce il governo come “clericale”. L’anno scorso il premio “Miroslavljevo jevanđelje”, il più importante premio letterario in Montenegro, è stato assegnato a Milutin Mićović, fratello del vescovo Joanikije, per un libro in cui l’autore nega l’esistenza di una nazione montenegrina, ma anche della nazione bosgnacca e di quella croata. Lei come vede le relazioni tra diversi popoli e tra diverse religioni presenti in Montenegro?

Nell’ultimo anno e mezzo abbiamo spesso assistito a forme estreme di nazionalismo e al ricorso ad una retorica pericolosa, perlopiù alimentata da forze politiche vicine al presidente serbo Aleksandar Vučić e alla Chiesa ortodossa serba (SPC). In una società estremamente polarizzata, come quella montenegrina, basta poco per far scoppiare disordini su base religiosa o nazionale. Tuttavia, il governo non sta prendendo l’attuale situazione sufficientemente sul serio, o forse la sta consapevolmente sottovalutando, temendo di far arrabbiare la SPC se dovesse smettere di accondiscendere al suo volere.

Un dato incoraggiante è che, stando ai risultati emersi da diverse ricerche, oltre il 75% dei cittadini montenegrini è favorevole ad uno stato laico ed è disposto a difenderlo in vari modi. Occorre però sottolineare che la responsabilità per la riattualizzazione di molte idee retrograde a cui assistiamo oggi ricade sui governi precedenti, i cui membri hanno sempre posto la difesa dei propri interessi personali al di sopra della necessità di creare le condizioni sociali favorevoli allo sviluppo di idee critiche e progressiste. Quindi, ogni futuro governo dovrà tenere conto del fatto che solo l’impegno per costruire un Montenegro laico che poggi su basi solide potrà portare all’emergere di idee progressiste, creando così i presupposti per il progresso dello stato montenegrino.

Il governo di Podgorica ha recentemente adottato una risoluzione che vieta la negazione del genocidio di Srebrenica e la televisione pubblica ha mandato in onda il film “Quo vadis, Aida?” di Jasmila Žbanić. Al contempo però alcuni esponenti del governo, come Vesna Bratić, ministra dell’Istruzione, della Scienza, della Cultura e dello Sport, si rifiutano di esprimere apertamente la propria posizione su Srebrenica. Bratić ha anche nominato alla guida di varie istituzioni alcuni seguaci del movimento cetnico e persone che glorificano Ratko Mladić. Recentemente è stata anche respinta una proposta di legge, avanzata dall’opposizione, sulla messa al bando delle organizzazioni nazionaliste e fasciste...

Mi permetto di fare una piccola, ma importante precisazione: non è stato il governo, bensì il parlamento di Podgorica ad approvare la risoluzione su Srebrenica, su proposta del Partito bosgnacco (BS) attualmente all’opposizione. Tutte le forze di opposizione e la maggior parte di quelle di maggioranza hanno votato a favore della risoluzione. Purtroppo, il parlamento non ha approvato la legge sulla messa al bando delle organizzazioni nazionaliste e fasciste.

Il governo, dal canto suo, ha dimostrato di essere più vicino al clericalismo e alle idee retrograde propugnate da alcuni leader politici nella regione. L’esempio della ministra Bratić lo illustra meglio di qualsiasi altra cosa. Quasi tutte le azioni della ministra hanno suscitato reazioni divergenti nell’opinione pubblica, contribuendo ad aumentare le tensioni presenti nella società. In un anno Bratić è riuscita a provocare danni nei settori di sua competenza equiparabili a quelli provocati dai quattro peggiori ministri del governo precedente. Anche molti altri esponenti dell’attuale esecutivo condividono le opinioni della ministra Bratić, compreso il premier Krivokapić. È senz’altro un fatto positivo che il film di Jasmila Žbanić sia andato in onda sulla televisione pubblica, ma credo che si sia trattato di una strategia di “bilanciamento” messa in atto dai vertici della Radiotelevisione del Montenegro (RTCG) che qualche mese fa ha trasmesso un servizio dedicato all’anniversario del bombardamento di Dubrovnik, dando spazio anche alle persone che continuano a giustificare quel bombardamento. Siamo ancora ben lontani da un vero confronto con il passato, anche se non mancano sforzi in tale direzione, compiuti soprattutto dalla società civile, e la situazione sta pian pian migliorando.

Sembra che Belgrado stia esercitando un’influenza sempre maggiore sul Montenegro, soprattutto attraverso la Chiesa ortodossa serba e attraverso alcuni partiti, in primis il Fronte democratico. Recentemente quattro delle cinque emittenti televisive montenegrine a copertura nazionale sono passate nelle mani di alcune aziende serbe. L’opposizione e alcuni intellettuali montenegrini sostengono che la sovranità del Montenegro sia in pericolo. È un pericolo reale?

La percentuale di cittadini che vogliono che il Montenegro rimanga indipendente aumenta di anno in anno. Al referendum del 2006 il 55,5% dei cittadini aveva votato a favore dell’indipendenza del Montenegro, oggi la percentuale di cittadini favorevoli all’indipendenza ha superato il 70%. Credo che questo dato indichi chiaramente che la maggior parte dei cittadini è legata al Montenegro. Inoltre, molti cittadini montenegrini criticano la politica di Vučić, dichiarandosi contrari a qualsiasi intromissione di Belgrado nelle questioni interne del Montenegro.

Questo ovviamente non significa che Belgrado non stia cercando di attrarre il Montenegro nella sua orbita di influenza. A mio avviso, la principale minaccia per la stabilità del Montenegro risiede nelle istituzioni, troppo deboli e incapaci di impedire che lo stato cada sotto l’influenza negativa di alcuni paesi della regione. L’attuale governo, con la sua (in)attività, non ha fatto altro che indebolire ulteriormente i meccanismi istituzionali di difesa della sovranità nazionale. Quindi, bisogna impegnarsi continuamente a rafforzare lo stato di diritto e le istituzioni. Non credo che l’indipendenza e la sovranità del Montenegro siano minacciate, ma purtroppo ci sono ancora alcune persone che continuano a piegarsi al volere di Belgrado. La storia del Montenegro ci insegna che tali persone vengono ricordate come perdenti.

Diversamente da quanto ci si aspettava dopo il cambio di potere in Montenegro, oggi le relazioni tra Belgrado e Podgorica sono tutt’altro che eccellenti. Sembra che la leadership di Belgrado sia delusa dal comportamento del primo ministro montenegrino Zdravko Krivokapić, come suggeriscono le campagne denigratorie contro di lui condotte dai tabloid serbi, ma anche il trattamento riservato al premier montenegrino durante la sua recente visita in Serbia...

La mia impressione è che Belgrado sia rimasta delusa dal fatto che, dopo il cambio di governo a Podgorica, ossia dopo l’arrivo al potere dei partiti ideologicamente vicini all’attuale governo di Belgrado, la leadership serba – che percepisce il Montenegro come una provincia della Serbia, non sia riuscita a conquistare maggiore influenza all’interno delle strutture di potere in Montenegro. Qualsiasi tentativo di Belgrado di intromettersi direttamente negli affari interni del Montenegro è destinato a suscitare forti resistenze. È curiosa la riluttanza della leadership serba a comprendere che tale intromissione non può che contribuire ad un ulteriore peggioramento delle relazioni tra i due paesi, che invece dovrebbero intrattenere stretti rapporti essendo accomunati da molti aspetti.

Nonostante tutto, il nuovo governo montenegrino è riuscito a rimanere in carica per un anno. Come giudica il primo anno di governo Krivokapić, dalla lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata alle azioni volte a smantellare le strutture messe in piedi dal DPS che ha tenuto l’intero paese in ostaggio per trent’anni, passando per la situazione economica, i negoziati di adesione all’UE e la gestione della pandemia?

Ormai sembra che l’attuale governo rimarrà in carica ancora per poco tempo. Tutti gli indizi suggeriscono infatti che il governo possa cadere a metà febbraio. Il mio giudizio non è molto diverso dalla valutazione che, come emerso dall’ultima ricerca condotta dal Centro per l’educazione civica, i cittadini montenegrini hanno espresso sull’operato del governo: una valutazione appena sufficiente. Sono stati compiuti alcuni piccoli passi avanti, soprattutto nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, ma le persone che hanno contribuito a questo progresso sono finite nel mirino dell’attuale premier. In molti ambiti non è stato registrato alcun progresso, in altri invece la situazione è persino peggiorata. Alcuni ministeri, come ha sottolineato anche la commissione europea, non si sono impegnati a sufficienza per adempiere ai loro doveri riguardanti il percorso di adesione del Montenegro all’UE. Inoltre, si assiste ad un degrado del dibattito politico e del dialogo sociale, nonché a varie manipolazioni con cui si cerca, tra l’altro, di presentare l’attuale situazione epidemiologica nel paese – situazione che definirei disastrosa – come un successo delle autorità sanitarie. La principale critica che rivolgo all’attuale governo riguarda la sua propensione ad adottare tutte le pratiche negative messe in atto dal DPS, a partire dalla tendenza a piazzare i suoi affiliati nella pubblica amministrazione e ad utilizzare le risorse pubbliche per soddisfare gli interessi privati e di partito.

Il DPS ha affermato di essere disposto a discutere della creazione di un governo di minoranza. Qual è la strategia del DPS e del suo leader Milo Đukanović? In quale misura la mancanza di esperienza e la confusione che regna nel nuovo governo hanno “riabilitato” il DPS agli occhi dei cittadini montenegrini? Cosa significherebbe per il Montenegro un eventuale ritorno al potere del DPS?

Nel corso dell’ultimo anno il DPS ha dimostrato di fare fatica ad abituarsi a stare all’opposizione, ma anche di non essere in grado di proporre vere riforme e di elaborare una nuova strategia di azione. Questa situazione è in parte conseguenza di un lungo degrado del DPS, ma anche del fatto che Đukanović ha sempre impedito che emergessero potenziali nuovi leader del partito e che venisse avviato un vero dibattito all’interno del DPS, circondandosi dai cosiddetti tvrdolinijašima [il nocciolo duro del partito] e tale comportamento ha di fatto limitato la capacità del DPS di coalizzarsi.

Se nell’ultimo anno il DPS non è sprofondato ancora di più è solo grazie all’incapacità dell’attuale governo, ma i vertici del DPS interpretano queste dinamiche in modo errato e questo può arrecare grossi danni al partito. Il partito di Đukanović dispone di poco margine di manovra e deve dimostrare di essere capace, nelle circostanze attuali, di investire nel proprio futuro. Il DPS probabilmente non riconquisterà mai il potere di cui disponeva in passato, e se riuscirà a far parte di un futuro governo dipenderà innanzitutto dalla sua capacità di fare un repulisti tra le proprie fila.

Come commenta le speculazioni secondo cui Milo Đukanović potrebbe lasciare la guida del DPS e ritirarsi dalla politica?

Milo Đukanović è ancora uno dei politici più influenti in Montenegro, ma il suo modo di governare e di concepire la politica sta diventando anacronistico. Đukanović sta diventando una palla al piede e un fardello per il DPS. Per quanto Đukanović sia un simbolo dell’indipendenza del Montenegro, i recenti eventi hanno dimostrato che le sue idee politiche sono ormai superate. Se Đukanović dovesse decidere di ritirarsi sicuramente cercherà di farlo in modo da generare benefici politici al DPS, al contempo proteggendo se stesso. Per il Montenegro sarebbe un bene se Đukanović decidesse di aiutare il suo paese diventando parte della soluzione, anziché del problema.

Daliborka Uljarević è politologa e direttrice della ong montenegrina Centro per l'iniziativa civica , rappresentante del Montenegro nella rete di riconciliazione regionale RECOM e uno dei più importanti attivisti per i diritti umani e voci critiche nell'opinione pubblica montenegrina in generale.