Dopo la morte di Amfilohije la Chiesa ortodossa serba ha ordinato il nuovo metropolita per il Montenegro: sarà, in segno di continuità con il passato, il vescovo Joanikije. Una nomina preceduta da polemiche, a partire da un grottesco viaggio a Belgrado del premier montenegrino Krivokapić
Il patriarca della Chiesa ortodossa serba (SPC) Porfirije ha dato ascolto alla stragrande maggioranza dei fedeli in Montenegro che volevano vedere, come erede del defunto metropolita Amfilohije, sul trono di san Pietro di Cetinje, il vescovo Joanikije. Lo ha deciso il Santo sinodo riunitosi 29 maggio scorso a Belgrado: una scelta che, su proposta dello stesso patriarca, è avvenuta non tramite un'elezione ma per acclamazione.
L’elezione di Joanikije rappresenta una scelta di continuità. Egli è stato letteralmente cresciuto e formato dal metropolita Amfilohije ed era uno dei suoi più stretti collaboratori e confidenti. Joanikije ha partecipato sin dall’inizio ad una missione che, 30 anni fa, non era certo facile: radicare la Chiesa ortodossa serba in Montenegro. Amfilohije ci è riuscito tant'è che il Montenegro è ora lontano da alcuni paesi ex comunisti, come ad esempio Repubblica Ceca e Estonia, dove meno del 20 percento dei cittadini si dichiarano credenti e solo uno su dieci è frequentante.
L’ideologia comunista e il ferreo ateismo nella Jugoslavia di Josip Broz Tito si sono radicati in Montenegro molto di più che in altre repubbliche jugoslave. Il culmine della lotta contro la Chiesa fu la demolizione della Cappella votiva di Petar Petrović II Njegoš in cima alla montagna di Lovćen, sopra Cetinje.
Nel 1990 quando Amfilohije diventò il metropolita del Montenegro e del Litorale e Joanikije uno dei nuovi monaci, nel paese c’erano poche decine di sacerdoti, monaci e monache. La gran parte dei monasteri e delle chiese erano abbandonate, malridotte e praticamente senza fedeli che le frequentavano.
Il nuovo metropolita Joanikije è stato il primo rettore del Seminario di san Pietro di Cetinje che fu rimesso in uso nel 1992 dopo la chiusura imposta dal regime comunista alla fine della Seconda guerra mondiale. Joanikije era già stato nominato vescovo dell’eparchia Budimljansko-Nikšićka (che comprende la maggior parte del Montenegro, dalla città di Nikšić a Berane) nel 2002.
Insieme al metropolita Amfilohije ha costruito o restaurato decine e decine di chiese, monasteri e altri luoghi di culto. Joanikije ha dato vita inoltre a diverse attività benefiche e filantropiche, a cori liturgici e alle cosiddette cucine popolari.
Nella sua giurisdizione c’era anche Ostrog, uno dei monasteri più importanti del mondo ortodosso, frequentato da centinaia di migliaia di pellegrini ogni anno. Joanikije ha usato una parte delle offerte dei fedeli al santo Vasilije, per aiutare la gente comune che aveva difficoltà a curare i propri figli o a mandarli a scuola, pagare le bollette o sfamare la famiglia.
Grazie a questo atteggiamento e alla dedizione alla sua missione il neo metropolita col tempo è diventato molto amato dalla gente, a prescindere dalla nazionalità o dalle scelte identitarie. Il regime di Milo Đukanović ha provato in più occasioni, usando i media sotto il proprio controllo, a diffamare il metropolita Joanikije inventando diverse accuse a partire da quella di essere un nazionalista serbo. Un anno fa è stato addirittura arrestato con l’accusa di non aver rispettato le misure anti-Covid.
Dietro le quinte
Polemiche e giochi dietro le quinte hanno preceduto la nomina di Joanikije. Hanno coinvolto sia la Chiesa ortodossa serba (SPC) che il mondo politico montenegrino. Col senno di poi si può dire che alcuni esponenti interni alla Chiesa ortodossa serba - insieme al Demokratski front (DF), la coalizione dei partiti filoserbi, tradizionalisti e antiglobalisti - hanno tentato di sfruttare l’elezione del nuovo metropolita per far cadere il governo di Zdravko Krivokapić oppure perlomeno per mettere in imbarazzo il primo ministro a proposito della firma del concordato tra la chiesa e lo stato montenegrino.
Visto che i leader del DF, Andrija Mandić e Milan Knežević, si vantano di essere gli uomini di Aleksandar Vučić in Montenegro, è plausibile anche un coinvolgimento del presidente della Serbia in questa vicenda. Non è chiaro se le mosse di Mandić e Knežević fossero parte dell’ambizioso piano del leader serbo di diventare il presidente di tutti i serbi nelle repubbliche dell’ex Jugoslavia, o semplicemente Vučić voleva dare una mano ai suoi fedeli per mettere in imbarazzo il premier Krivokapić o costringerlo alle dimissioni.
Per capire meglio la situazione dobbiamo fare due passi indietro. I principali esponenti del DF (Mandić, Knežević e Nebojša Medojević) non hanno mai nascosto la loro sofferenza per essere stati estromessi dal nuovo potere esecutivo. Però, siccome Krivokapić godeva della fiducia della Chiesa ortodossa serba in Montenegro, che ha avuto un ruolo decisivo nel cambio politico alle ultime elezioni parlamentari, si sono trovati a dover accettare i termini dell’accordo del premier con le altre due coalizioni, guidate dal presidente del parlamento Aleksa Bečić e dal vicepremier Dritan Abazović, per formare il nuovo governo.
Krivokapić ha chiesto, poco dopo la sua nomina, 200 giorni di tregua alla maggioranza in parlamento per dimostrare che il suo esecutivo funziona e produce dei risultati. Il DF ha accettato questa richiesta del premier vincolandola però all’approvazione della Legge sulla libertà religiosa in parlamento e alla firma del concordato tra lo stato e la Chiesa ortodossa serba, niente di più di quanto proprio la Chiesa ortodossa serba si aspettava dal DF in cambio del sostegno dato durante le elezioni.
I primi 200 giorni del governo, formato lo scorso 4 dicembre, stanno ora per scadere e proprio per questo, ormai impazienti, i leader del DF volevano che il concordato tra SPC e stato montenegrino venisse firmato la settimana scorsa a Belgrado, proprio durante il Santo Sinodo della SPC riunitosi per l'elezione del nuovo metropolita. Con il concordato firmato avrebbero avuto mani libere per alzare la posta in gioco, chiedendo un rimpasto di governo o persino farlo cadere.
Il trio Krivokapić, Bečić, Abazović ha però capito a cosa mirava il DF. Se Krivokapić avesse firmato il concordato avrebbe compromesso definitivamente la sua posizione perché la questione non è stata discussa e tanto meno approvata dal governo. Dall’altra parte è stato messo in conto che l’attacco dei media controllati dal regime di Vučić in Serbia e in Montenegro sarebbe stato violento e volgare e che avrebbero usato la mancata firma del concordato per accusare Krivokapić di tradimento.
Indebita ingerenza
Tuttavia Krivokapić, che pecca di poca esperienza politica e alle volte fa dichiarazioni inopportune e controproducenti, ha fatto un errore grossolano mettendo in imbarazzo il vescovo Joanikije: si è reacato a Belgrado e, non appena arrivato nella capitale serba, ha twittato, forse anche in buona fede, di essersi lì recato per chiedere che il vescovo Joanikije fosse eletto metropolita "perché il popolo dei fedeli in Montenegro lo vuole vedere sul trono di san Pietro di Cetinje".
Il primo ministro ha aggiunto, nello stesso tweet, che il concordato si sarebbe firmato il 30 ottobre, a un anno esatto dalla morte di Amfilohije. La mossa del premier montenegrino di spostare in autunno la firma del concordato significa altri sei mesi di vita per l’attuale governo. Un’eternità per i leader del DF.
Ovviamente il sostegno palesato per Joanikije ha rappresentato un'inaccettabile ingerenza da parte di un primo ministro negli affari della SPC. Uno scivolone del genere in altre occasioni sarebbe stato pagato carissimo, ma siccome Vučić e i suoi colonnelli in Montenegro erano concentrati sulla non firma del concordato, l’inopportuno intervento di Krivokapić è caduto in secondo piano.
Joanikije è stato costretto a bacchettare pubblicamente il premier dicendo che da Krivokapić si aspettava che firmasse il concordato piuttosto che dare indicazioni su chi dovesse essere il nuovo metropolita.
Alla fine, Joanikije, nonostante la gaffe di Krivokapić, è stato ordinato metropolita del Montenegro e del Litorale. La Chiesa ortodossa serba e il patriarca Porfirije hanno dimostrato di poter decidere in autonomia. E non era scontato, perché Joanikije appartiene alla corrente nella chiesa che non apprezza, per usare eufemismo, la politica di Vučić. Tanto è vero che Joanikije ha appoggiato indirettamente la coalizione di Bečić e Krivokapić alle recenti elezioni locali a Nikšić e a Herceg Novi contro quella guidata dal DF e appoggiata dal regime di Belgrado.