È stato paladino della Grande Serbia ed ora è celebrato come costruttore di ponti. E al suo funerale è stata protagonista parte della nuova leadership montenegrina. Un commento
È stato fatto tutto il possibile, proprio tutto, affinché la morte di Amfilohije Radović, metropolita montenegrino e sostenitore delle pretese (gran)serbe nei confronti del Montenegro, diventasse uno spettacolo. Uno spettacolo in cui se ne va un uomo guidato dall’amore, un costruttore di ponti tra le genti, un promotore della tolleranza religiosa e del rispetto nei confronti dell’altro e del diverso.
Tutto quanto accaduto in quei tre giorni tra la morte del metropolita Amfilohije e i suoi funerali celebrati a Podgorica è stato un vero e proprio inno alla morte, uno spettacolo messo in scena con l’intento di far dimenticare tutte le azioni controverse compiute in vita dal defunto, evidenziando solo quei fatti in grado di spingere la folla dei suoi seguaci a ricordarlo come un santo. Come Sveti Petar I Cetinjski (San Pietro I di Cetinje), il primo metropolita montenegrino ad aver fatto coincidere il potere religioso con quello politico. I rappresentanti della Chiesa ortodossa serba affermano che non è un caso che Amfilohije sia morto il giorno prima del 31 ottobre, data di morte di Petar I. Vent’anni e un giorno dopo la morte di Petar I, il 1° novembre 1851 morì il suo successore, Petar II Petrović Njegoš, poeta, filosofo e probabilmente il protagonista più importante della storia montenegrina.
La megalomania dei piccoli è sempre “grande”. Parlando davanti alla bara aperta in cui è stata esposta la salma del metropolita Amfilohije nella principale chiesa di Podgorica, Zdravko Krivokapić, leader della coalizione filoserba uscita vincitrice dalle elezioni politiche tenutesi in Montenegro due mesi fa, ha affermato che d’ora in poi il Montenegro omaggerà tre vescovi.
Uno sguardo alle persone che hanno pronunciato un discorso ai funerali di Amfilohije Radović dimostra meglio di qualsiasi altra cosa chi era davvero il metropolita montenegrino. Alla veglia hanno parlato due leader politici, il sopracitato Zdravko Krivokapić (indicato in diretta tv semplicemente come “mandatario” [incaricato di formare il nuovo governo montenegrino, ndt]) e il neoeletto presidente del parlamento di Podgorica Aleksa Bečić, leader dei Democratici, un altro partito filoserbo considerato relativamente moderato.
Oltre a loro, hanno preso la parola anche due dignitari ecclesiastici: il patriarca della Chiesa ortodossa serba Irinej e il vescovo Joanikije, la seconda figura più importante della metropolia del Montenegro. Tra “il pubblico” c’erano il presidente serbo Aleksandar Vučić e l’uomo forte della Republika Srpska Milorad Dodik, mentre intorno alla chiesa della Resurrezione, che è praticamente il lascito più importante del metropolita Amfilohije (inaugurata nel 2013 e realizzata in diversi stili), nonostante gli avvertimenti delle autorità, si erano riunite circa 10mila persone, violando le misure di contenimento dell’epidemia.
Le immagini che mostrano i seguaci e gli ammiratori di Amfilohije baciare la salma del metropolita che, stando alle informazioni ufficiali, è morto per complicazioni legate al Covid 19, parlano da sole e non necessitano di alcun commento. Quasi un atto di necrofilia, intriso di elementi pagani, e questo non è stato nemmeno l’aspetto peggiore di quel comizio post-elettorale.
Ai funerali c’era anche l’accademico serbo Matija Bećković, di origine montenegrina, che non riesce a immaginare il paese dei suoi antenati, per l’appunto il Montenegro, se non come una provincia della Serbia. Uomo di destra, fervente sostenitore del nazionalismo (granserbo), davanti alla tomba del metropolita Bećković ha dichiarato che Dio ha chiamato a sé Amfilohije Radović al momento giusto. Che senso del tempo! Ma come abbiamo già detto, tutto “giocava” a favore di Amfilohije.
Perché Amfilohije, al secolo Risto Radović, pur avendo trascorso l’intera vita al servizio della Chiesa, è stato anche un politico. Ha studiato a Belgrado, Roma ed Atene; parlava cinque lingue, aveva un’energia straordinaria e grandi capacità organizzative, eppure negli anni Novanta aveva appoggiato quasi incondizionatamente la politica criminale di Slobodan Milošević. È vero sì che nel 1996 era sceso in piazza insieme agli studenti per protestare contro Milošević, ma cinque anni dopo lo ha visitato nel carcere [di Belgrado] prima che venisse trasferito all’Aja. Affermando successivamente di essere dispiaciuto per non aver testimoniato in difesa di Milošević.
Amfilohije aveva dato la sua benedizione agli attacchi contro Dubrovnik; aveva appoggiato uno dei principali criminali di guerra, Željko Ražnatović Arkan, fungendo praticamente da suo sacerdote personale; aveva anche benedetto Radovan Karadžić, condannato all’ergastolo per crimini di guerra… Instancabile, energico e ossessionato dall’idea secondo cui il Montenegro è un secondo stato serbo (anzi terzo, se contiamo anche la Republika Srpska), il metropolita Amfilohije ha contribuito al progetto della Grande Serbia più della maggior parte degli attori politici.
Rendendosi conto della debolezza e della vanità della leadership montenegrina guidata da Milo Đukanović che – con il referendum sull’indipendenza del Montenegro del 2006 e la successiva separazione da Belgrado e poi con l’adesione alla Nato – pensava di essersi assicurata un futuro politico, Amfilohije è penetrato nel “ventre molle” della società montenegrina: ha riacceso il dualismo, mai superato, insito nell’idea di una “serbità montenegrina” e, con la scusa di voler salvaguardare gli edifici religiosi, ha messo in piedi una rete a sostegno dei poveri. E i poveri in Montenegro, così come in altri paesi dei Balcani occidentali, sono sempre di più.
Contrariamente al potere arrogante e corrotto, ma al contempo filo-occidentale e liberale di Milo Đukanović, Amfilohije ha creato una rete di mense popolari e di strutture per la promozione dell’educazione della popolazione disagiata. All’inizio di quest’anno ha organizzato diverse processioni, cioè le proteste motivate da ragioni religiose in cui molti giovani, insoddisfatti del governo che non offre loro nulla, hanno riconosciuto una dimensione sovversiva, sbagliando però! Come spesso accade nei Balcani.
Tuttavia, quelle processioni hanno portato vento in poppa ai partiti filoserbi, che sono riusciti a consolidarsi e a sconfiggere il Partito democratico dei socialisti (DPS) di Milo Đukanović alle elezioni dello scorso 30 agosto. Non ci sarebbero mai riusciti senza l’aiuto di Amfilohije. È stato il metropolita a riunire i leader dell’opposizione; ha influito in modo decisivo sulla scelta di conferire a Zdravko Krivokapić l’incarico di formare il nuovo governo; ha legato per sempre Vučić e Dodik al Montenegro, ricordando loro che la Chiesa continuerà ad appoggiarli solo se terranno bene a mente il motivo per cui hanno ottenuto la sua benedizione: per non rinunciare mai all’idea della Grande Serbia, a prescindere da come si chiamerà e da quanti paesi sarà composta. Similmente a Radovan Karadžić, che rimarrà in carcere per il resto della sua vita, ma la sua opera continuerà a vivere, anche Amfilohije, pur avendo lasciato questo mondo, si è assicurato che le sue idee rimanessero vive.
Tutti i paesi nati dalla ribellione contro il nazionalismo serbo non possono essere altro che una vera e propria replica, un riflesso di quanto sta accadendo in Serbia. In questo senso, la sopravvivenza del Montenegro e della Bosnia Erzegovina è messa in discussione.
Perché non si può essere mai sicuri che qualcuno che ha incoraggiato crimini di guerra non sarà considerato in futuro un uomo di pace e amore. Forse l’unica verità in questa vicenda è che nel giorno del funerale di Amfilohije in Montenegro è stato registrato un record di nuovi contagi e decessi da Covid 19.
Il fatto che diverse centinaia di persone venute a dare l’ultimo saluto al metropolita Amfilohije abbiano ricevuto la comunione dallo stesso cucchiaino di certo non contribuirà a ridurre la diffusione del coronavirus. Può solo prolungare quest’epoca malvagia, un’epoca che ha visto tra i suoi principali protagonisti Amfilohije Radović. Il cui funerale è stato un inno alla morte.