Un volo pindarico, un viaggio onirico tenuto insieme dalla meditazione del nuoto: è quello sospeso tra le acque cobalto delle Bocche di Cattaro e le pagine del nuovo libro di Bonnie Tsui "Perché nuotiamo", a cui ci invita Fabio Fiori
“Sì, come ciascuno sa, acqua e meditazione sono sposate per sempre”, dice Ismaele nelle prime pagine di Moby Dick. Un rapporto che si fa esercizio, ogni volta che camminiamo lungo le rive o che ci tuffiamo da una scogliera. Un esercizio da farsi in luoghi ordinari e straordinari, come ho fatto due estati fa tuffandomi dalla scogliera di Punta Ostro, estrema propaggine della penisola Prevlaka, all’ingresso delle Bocche di Cattaro. Davanti a me la piccola Isola Rondoni, anch’essa fortificata, alle mie spalle il bastione decadente, che avevo visto dal mare tanti anni prima entrando a vela in quell’incredibile, affascinante fiordo, il più profondo di tutto il Mediterraneo. Una via d’acqua che s’insinua nel continente balcanico per venti chilometri, che diventano più di trenta di navigazione, passando di stretto in stretto.
Una meraviglia non solo geografica, ma anche storica, con riferimento alle vicende marinaresche di Cattaro o dell’altrettanto gloriosa Perasto, lì dove per ultima venne ammainata la bandiera della Serenissima il 23 agosto 1797, mesi dopo la caduta della Repubblica di Venezia. Senza dimenticare le sue isole sacre e seducenti: Madonna dello Scalpello e San Giorgio. Ma quel giorno, su quella scogliera i miei pensieri e il mio corpo erano presi innanzitutto dal nuoto; dal tuffo e dal nuoto in quelle acque blu cobalto che circondano la stretta lingua di terra. Un luogo magico, uno dei tanti in Adriatico, dove nuotare diventa anche una pratica di comunione con il paesaggio.
“Flow” la chiama Bonnie Tsui, riprendendo un tema caro allo psicologo ungherese Mihály Csíkszentmihályi e “Flow” è anche il titolo di un capitolo del suo nuovo libro “Perché nuotiamo” (300 pp; 18 euro), tradotto in italiano da Milena Sanfilippo per i tipi di 66THAND2ND. Una casa editrice che è un incrocio, come le due strade di New York che hanno scelto come nome, tra letterature angloamericane e italiane, sportive e narrative.
Un inciso doveroso riguarda proprio Csíkszentmihályi che è nato a Fiume nel 1924, di cui quest’anno ricorre quindi il centenario. Emigrato poi a ventidue anni negli Stati Uniti, avrà di certo fatto esperienza natatoria in Adriatico, magari andandosi a tuffare dalla testa del Molo Longo.
Flow quindi, uno stato in cui “la concentrazione è così intensa che non rimane più attenzione da dedicare a nient’altro”, cioè “una esperienza di immersione così totalizzante che lo stesso io sembra svanire, insieme a qualsiasi cognizione del trascorrere del tempo”. Questo può diventare il nuoto, consciamente o inconsciamente, anche sganciato dalla dimensione sportiva. Una pratica che Bonnie Tsui, nata nel 1977 a New York che vive, nuota e surfa nella Baia di San Francisco, racconta in un lungo e appassionate saggio che ha il taglio del memoir.
Si parte da un tragico episodio di cronaca islandese, quando a seguito di un naufragio morirono quattro pescatori e solo uno si salvò, sopravvivendo in acque gelide per ben sei ore. A salvarlo un’anomalia biologica, cioè uno strato di grasso di 14 mm, due o tre volte più spesso del normale. Una caratteristica anatomica che lo fece definire da qualcuno un selkie, creatura mitologica, metà uomo e metà foca. Un episodio che ci porta a riflettere sulla nostra condizione di animali terrestri, di “nuotatori secondari”, ma evolutisi a partire dai pesci e comunque con alcuni caratteri anatomici e fisiologici simili a cetacei, pinnipedi e sirenidi.
Altrettanto suggestivo è il percorso culturale proposto da Tsui che s’avvia con le pittografie neolitiche della Caverna dei Nuotatori, risalenti a 10.000 anni fa, in un remoto altipiano del Sahara. Un ritrovamento che risale al 1933 e che, aggiungo io, assume oggi anche un potentissimo valore allegorico, in relazione al rapido e sconvolgente cambiamento climatico. Nel libro s’affrontano anche i significati terapeutici, sociologici e sportivi del nuoto, dando spesso la parola a scienziati e scrittori appassionati, da Lord Byron a Oliver Sacks, solo per citare due tra i più noti.
Un libro che inevitabilmente a noi nettunii, fa rivivere non solo i piaceri quotidiani del nuoto, ma anche le occasioni straordinarie, come fu per me quella di Punta Ostro. Noi che ogni volta che ci tuffiamo mettiamo in scena una ritualità apotropaica, per sublimare “l’immagine dell’inafferrabile fantasma della vita”, riprendendo ancora le parole dello sciamanico Ismaele.