Un libro che, per essere un trattato storico, è strutturato in modo originale: 65 capitoli chiamati "racconti". E' stata pubblicata in italiano “Storia del Montenegro” di Živko Andrijašević. Una recensione
I Petrović-Njegoš, una tra le più grandi dinastie montenegrine, hanno incrociato il loro destino con l’Italia, dando una regina al nostro paese quando Elena, figlia del re Nikola, si unì in matrimonio con Vittorio Emanuele III. Correva l’anno 1896, e d’allora fu regina d’Italia fino al 9 maggio 1946, quando il consorte abdicò a favore del figlio Umberto I. Non solo per questa pagina di storia abbiamo avuto a che fare con il Montenegro: a unirci sono state e sono altre cose, a cominciare dalle coste dell’Adriatico che si fronteggiano vicine e i tanti commerci che dai tempi della Repubblica di Venezia a oggi i due paesi, a diversi livelli, si scambiano, nonché giorni non gloriosi di guerra. Perciò è quanto mai utile conoscere la storia di quel paese. E l’occasione arriva con la traduzione in italiano, per la penna di Sergej Roić, del libro dello storico montenegrino Živko Andrijašević “Storia del Montenegro”, edito dalla casa editrice pugliese Besa.
E’ una storia composta peraltro in maniera originale, cioè in capitoli che vengono chiamati “racconti”, “Primo racconto”, “Secondo racconto” e così via in sessantacinque racconti, ciascuno dei quali racchiude un periodo riguardante un preciso momento della storia montenegrina. Dal primo, intitolato “Tre nomi”, incentrati sui primi nomi ricevuti da quella terra, ovvero lo Stato di Doclea, nel nono secolo d.C al suo cambiamento in Zeta, tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo, in territori non proprio coincidenti, finché a metà del quindicesimo secolo assunse il nome attuale, anche se si limitava a riguardare in linea di massima l’area tra il monte Lovćen e il lago di Scutari. Ma Andrijašević racconta di questa terra già dall’età antica, facendo riferimento alle ricerche archeologiche che stabiliscono quelle terre già popolate 180.000 anni fa. Di quali popolazioni si trattasse non si sa, almeno fino all’età del bronzo (2000-1500 a.C.) quando si da per certo l’insediamento degli Illiri, un popolo indoeuropeo che “come afferma Erodoto (storico greco del V° secolo a.C.), ha vissuto tra il Danubio e il mar Adriatico”, naturalmente divisi in diverse tribù, quelle degli Enchelei, dei Labeati e dei Docleati, questi ultimi nella zona dell’attuale capitale, Podgorica (fino alla prima guerra mondiale la capitale fu Cettigne).
Ma qui siamo già al Novecento, mentre l’excursus del libro è ampio, seppur molto gradevole alla lettura nella suddivisione, come abbiamo detto, dei “racconti” che attraversano secoli, ricchi di domini, da quelli delle prime dinastie a quelli della chiesa ortodossa a quelli, in misura minore, ottomani, e quindi della Repubblica di Venezia, ovviamente in particolare sulla costa, sulle Bocche di Cattaro, dove un paese qui adagiato, il bellissimo Perasto, forniva – e lo ha fatto per secoli – le guardie personali del Doge, guadagnando particolari condizioni economiche e commerciali che ne fecero la città più ricca del Montenegro. "Verso la fine del dominio di Venezia, le ricchezze degli abitanti di Perasto che si trovavano nelle banche straniere superavano quelle di tutti gli altri possedimenti delle città delle Bocche di Cattaro messe insieme". Qui fu poi fondata una tra più vecchie accademie navali d’Europa.
Il Montenegro era così importante da essere il primo dei paesi slavomeridionali ad avere una “Storia del Montenegro” scritta dal metropolita Vasilije con l’intento di far conoscere il paese in Russia, che aveva cominciato a mandare i giovani a Perasto proprio per imparare l’arte della navigazione. Si tratta di un testo di 43 pagine che Andriašević precisa essere inaffidabile "avendo inserito nella sua opera fatti che lo stesso autore sapeva non veri, mentre le sue spiegazioni e la panoramica del passato montenegrino sono spesso arbitrari". Ma l’autore precisa anche che Vasilije non scrisse questo libro con intenti di storico bensì di politico "che cercava di far conoscere all’opinione pubblica e alle cerchie russe influenti il passato del Montenegro". L’intento era quello di qualificarsi quale principale alleato della Russia.
C’è naturalmente anche il grande racconto, frazionato, secondo le epoche, in più “racconti”, delle lotte contro l’Impero ottomano, fino ad arrivare all’ottocento con il Congresso di Berlino del 1878, quando il Montenegro guadagna vecchi e nuovi territori in cui convivono popolazioni islamiche, ortodosse e cattoliche, di origine slava o albanese.
Cettigne, come capitale storica, ha meritato un “racconto” a sé, con il ricordo dei tanti edifici, dal teatro al museo alla biblioteca, dalla casa dell’esercito (Vojni stan) al Castello alla casa del governo (Vladin dom) e così via, e con il palazzo reale dove Nikola I Petrović Njegos risiedette per tutti i 60 anni del suo regno, fino alla capitolazione del 1916 con lo scioglimento dell’esercito e l’occupazione austroungarica, e il suo esilio in Francia.
"Durante l’occupazione però - scrive Andrijašević - operò un movimento fuorilegge (il movimento dei komiti, soldati irregolari), che prima della liberazione del Montenegro nel 1918 poteva contare su circa 800 uomini".
Ciò non impedì uno scontro tra i sostenitori di Re Nikola e i filo serbi, scontro che portò il paese alla prima guerra civile. Alla fine il Montenegro si ritrovò parte del Regno dei serbi, croati e sloveni, con tutte le conseguenze del caso. La stessa Chiesa montenegrina diventò parte della Chiesa ortodossa serba. Idem per quanto riguarda la comunità islamica che fu posta sotto la sovranità di quella di Belgrado. Così le istituzioni culturali.
Il periodo di quiete del Montenegro ebbe fine nel 1941, con la Seconda guerra mondiale. Sono gli anni della capitolazione di re Petar II Karađiorđević, l’occupazione italiana e la divisione del paese, tra l’Albania, da una parte e l’Italia dall’altra, con l’annessione a quest’ultima delle Bocche di Cattaro. E’ il capitolo che dà avvio agli anni della guerra, a cominciare da quella civile con "da una parte i partigiani, un movimento di liberazione antifascista, e dall’altra i četnici e i zelenaši che, anche se di orientamenti ideologici e politici diversi, avevano lo stesso patrocinatore, ovvero le forze di occupazione italiane". E’ il prologo alla lotta al termine della quale si avrà, non senza grandi spargimenti di sangue che continuarono anche dopo, l’uscita dell’Italia dalla guerra.
La conclusione la conosciamo. La proclamazione della Repubblica Federativa popolare di Jugoslavia, affidata "al potere assoluto di un partito, ovvero il potere assoluto del Partito comunista jugoslavo (…) Il Partito dirigeva la nazione e l’uomo a capo del partito era l’uomo a capo dello Stato. Tutti gli organi di potere – dai più alti ai più bassi, come pure tutte le loro diramazioni – erano scelti, indirizzati e controllati direttamente o indirettamente dal Partito. A capo dello Stato e del partito al potere stava Josip Broz Tito". Ciò non impedì un significativo sviluppo dell’arretrato Montenegro, del quale Andrijašević dà le significative cifre in termini sia di prodotto lordo che di evoluzione culturale, universitaria e sanitaria.
Intanto, la capitale da Cettigne passò a Podgorica che assunse il nome di Titograd, per poi tornare ad essere Podgorica nel 1992.
Siamo agli anni dell’ultima svolta. La guerra interetnica, che avrebbe segnato la dissoluzione della Jugoslavia, e la separazione in un primo momento tra le repubbliche, con l’indipendenza della Slovenia, della Croazia, poi della Bosnia Erzegovina, e il temporaneo mantenimento della unione tra Serbia e Montenegro. Unione che terminò con la vittoria degli indipendentisti del Montenegro al referendum del 21 maggio 2006 che si svolse sotto il controllo della UE. Il 3 giugno 2006 fu proclamata l’indipendenza del Montenegro. Dal 2017 inoltre il Montenegro è diventato a tutti gli effetti membro della Nato, mentre per moneta corrente è stato assunto l’euro.
Un dizionarietto dei nomi a fine del volume aiuta a memorizzare i protagonisti della storia di questo bellissimo paese a poche miglia dalle nostre coste e che, solo per questo, oltre che per la sua indubitabile bellezza, merita di essere conosciuto. E il libro di Živko Andrijašević rappresenta sicuramente uno strumento che, a riguardo, può darci una buona mano alla bisogna.