Rimane bloccato il corridoio di Lachin e intanto l’esercito dell’Azerbaijan ha occupato una nuova postazione oltre la linea di contatto tra i contendenti. Nell’inazione dei peackeeper russi
Lo scorso 22 febbraio la Corte Internazionale di Giustizia aveva sancito che l’Azerbaijan adottasse “[…] tutte le misure a sua disposizione per garantire il movimento di persone, veicoli e merci lungo il corridoio di Lachin in entrambe le direzioni, senza ostacoli”. Ciononostante il cosiddetto corridoio di Lachin, unico collegamento via terra tra le aree del Nagorno Karabakh controllate da parte armena e l’Armenia rimane bloccato da sedicenti ambientalisti azerbaijani.
La decisione della Corte Internazionale di Giustizia è rimasta quindi inapplicata, e sono ormai quasi 110 giorni che il Nagorno Karabakh ha il proprio cordone ombelicale con l’Armenia reciso. Su Lachin continuano a transitare solo i mezzi dei peacekeepers russi e la Croce Rossa che in questi oltre tre mesi ha trasportato più di 200 malati.
Mentre Lachin rimane bloccato, continuano i processi di normalizzazione post-bellica in un precario equilibrio fra le parti. Si è tenuta a Yerevan la partita di calcio fra Armenia e Turchia . Non è stato come negli anni d’oro della “football diplomacy”, quando alla partita in Armenia si erano recate le autorità turche, e non è stata ammessa la tifoseria. Ma i giocatori turchi hanno comunque potuto giocare a Yerevan. Continuano anche gli scambi fra le due cancellerie - di Armenia e Azerbaijan - sul documento di pace. Si è infatti al quarto giro di negoziazione con incontri diretti fra Baku e Yerevan.
Tutti questi processi, teoricamente incoraggianti nell’ottica di una progressiva smilitarizzazione della questione del Karabakh e di una soluzione pacifica all’annoso problema, cozzano non solo con il persistere del blocco di Lachin, ma anche con la retorica al vetriolo delle parti. Appare evidente che soprattutto Baku non sta preparando l’opinione pubblica a una pace con compromessi e che stanno prevalendo posizioni massimaliste, galvanizzate dal successo militare: si alimentano anche di un retaggio ormai consolidato e difficile da scardinare di sfiducia reciproca. Il peso di questa sfiducia, sorta a causa di più di 30 anni di negoziati che non hanno portato a un lavorio sulle opinioni pubbliche per preparare la pace, si fa sempre più insostenibile, e rischia di minare i già campati in aria processi di normalizzazione.
La strada sterrata
Un nuovo contenzioso si è scatenato nel mese di marzo intorno all’uso di una strada sterrata. Secondo la documentazione video prodotta dagli azeri le forze armate armene e le milizie illegali armene - come viene definito da parte azerbaijana l’esercito del Karabakh - con l’aiuto del contingente dei peacekeeper russi starebbero aggirando gli accordi di cessate il fuoco proseguendo con attività militari non autorizzate appoggiandosi su strade sterrate interne al Karabakh. Un’accusa ribadita più volte, e più volte smentita dalle autorità de facto del Karabakh, che hanno sottolineato come il blocco di Lachin abbia reso difficili anche le comunicazioni interne e quindi i rifornimenti ad alcune comunità devono essere fatti attraverso strade sterrate. Per le condizioni del fondo stradale si sarebbe obbligati a usare mezzi piuttosto solidi, come appunto i camion militari, e la scorta dei peacekeeper.
La botta e risposta è andata avanti fino a sabato 25 marzo, quando alle parole sono seguite i fatti: l’esercito di Baku è avanzato verso la strada sterrata incriminata.
Stando alla dichiarazione del ministero della Difesa azero: “Negli ultimi giorni si è intensificato il trasporto di manodopera, munizioni, mine e altre attrezzature militari dall'Armenia per distaccamenti armati armeni illegali nel territorio dell'Azerbaijan, dove sono temporaneamente dispiegate le forze di pace russe. Questo trasporto viene effettuato, in particolare, sfruttando le ore notturne e le condizioni meteorologiche nebbiose. Distaccamenti armati armeni illegali svolgono lavori per la realizzazione di nuove strade lungo diversi percorsi che attraversano alcune aree montuose e non asfaltate, nonché per l'ampliamento di vecchi sentieri. A tale scopo vengono utilizzate attrezzature militari, ingegneristiche e speciali, nonché persone sottoposte a servizio militare […] Tenendo conto della situazione attuale, sono state prese le necessarie misure di controllo dalle unità dell'esercito dell'Azerbaijan per sopprimere l'uso di strade sterrate a nord della strada di Lachin”.
Stando a fonti armene , nella notte del 25 marzo unità militari azere sarebbero avanzate prendendo possesso di un punto di osservazione strategico sulla strada sterrata incriminata. Il bollettino quotidiano dei peacekeepers russi conferma l’avanzamento azero e precisa che “un'unità delle forze armate azere, in violazione del paragrafo 1 della Dichiarazione del Presidente della Repubblica dell'Azerbaijan, del Primo Ministro della Repubblica di Armenia e del Presidente della Federazione Russa del 9 novembre 2020, il 25 marzo 2023 ha attraversato la linea di contatto nella regione di Shusha, ha occupato una postazione situata a un'altitudine di 2054,0 m (2,9 km a nord-est del monte Sarybaba [Sarıbaba Dağı]) e ha avviato lavori di ingegneria per stabilire un presidio.”
Questo avanzamento è in linea con le priorità di Baku, come si evince anche dal blocco di Lachin: impedire che affluiscano in Karabakh nuove armi e che si consolidi un nuovo status quo anche attraverso la fortificazione delle posizioni come emerse dalla guerra del 2020. Non per nulla Baku sostiene che sia necessario un check point all’ingresso di Lachin, per verificare la natura di ciò che viene trasportato. L’avanzamento del 25 marzo è finalizzato a verificare che non si stiano utilizzando e creando vie militari alternative a quella attualmente bloccata, con il supporto dei peacekeeper russi.
I peacekeeper
Di nuovo i peacekeeper russi, come nel caso del blocco di Lachin, si sono trovati con le cose fatte e incapaci di contrastare la politica di Baku in territorio karabakhi. Stando alle autorità de facto locali, anche i peacekeeper si sarebbero ricollocati a ridosso dell’altura dove si sono insediati gli azeri, provando a persuaderli a ritirarsi, ma di fatto non hanno ottenuto alcun arretramento. Stesso bilancio della crisi di Lachin, che pure da accordi sarebbe sotto il controllo dei peacekeeper ma che di fatto è nelle mani degli eco-ambientalisti o presunti tali di Baku. Ed è quello che è accaduto sinora in tutti gli avanzamenti di Baku, come quello di Farrukh nel marzo 2022.
Due soldati russi sono anche stati feriti recentemente, mentre cercavano un soldato armeno che si era perso nella nebbia mentre consegnava dei rifornimenti e si era per errore addentrato in territorio azerbaijano. Sull’incidente le parti si sono accusate reciprocamente, gli armeni dicono che hanno sparato, gli azeri e vice-versa. E questa è la routine di tutti gli incidenti di fuoco, fenomeno peraltro in continua crescita nel mese di marzo, e che di nuovo, dopo una fase di relativa calma, si sta propagando lungo tutto il confine armeno-azero e lungo la linea di contatto azero-karabakhi, con nuove vittime da entrambe le parti.
Gli unici che possono accertare e prevenire gli scontri, almeno in Karabakh, in teoria sono i peacekeeper, ma appunto la loro efficacia viene costantemente messa a dura prova da Baku che si muove con grande assertività e percezione di impunità anche verso la presenza russa.