Con l'attacco dell'Azerbaijan al Nagorno Karabakh dello scorso settembre, gli oltre 100mila residenti armeni della regione si sono rifugiati in Armenia. In molti vorrebbero fare ritorno alle proprie abitazioni, ma la coabitazione delle due etnie è per il momento ancora una chimera
Il fatto che si sia arrivati ad una soluzione del conflitto del Karabakh attraverso la guerra e non attraverso un'opera di riconciliazione ha comportato un controesodo, che ripercorre in senso opposto e contrario quello fatto dagli azeri quando era stata l'Armenia a vincere la guerra ad inizio anni Novanta. Dopo il 19 settembre 2023, giorno dell'attacco dell'Azerbaijan, in pochi giorni il Karabakh si è svuotato. La coabitazione delle due etnie nello stesso territorio è per il momento ancora una chimera.
Gli sfollati armeni dal Karabakh sono distribuiti in varie regioni dell'Armenia. La prima ondata ha raggiunto la zona limitrofa al Karabakh per poi allargarsi all'intero territorio nazionale armeno. Nel giro di due giorni, già il 30% della popolazione era fuggito, ma i numeri sono continuati a aumentare vertiginosamente e per tutti i giorni seguenti tanto che al 2 di ottobre l'intera popolazione dell’ex repubblica secessionista era rifugiata in Armenia. Inizialmente si riteneva che i residenti del Nagorno Karabakh fossero 120mila unità, ma è poi stato confermato un numero inferiore, circa 100.600 persone.
Stando a quanto dichiarato dal primo ministro armeno Nikol Pashinyan, gli sfollati si sono fermati quasi tutti in Armenia e sono solo tremila quelli che hanno abbandonato l'Armenia per recarsi all'estero. Lo stesso Pashinyan ha invitato i karabakhi a non emigrare e a fermarsi in Armenia, dove possono registrarsi e andare a scuola. Nel giro di pochi giorni dopo l'esodo il 40% degli studenti già frequentava le scuole armene. Sono stati invece portati all'estero i feriti gravi che non è stato possibile ricoverare negli ospedali nazionali. Di questi alcuni in Francia, in Bulgaria, in Italia, in Belgio e negli Stati Uniti. L'Armenia offre agli sfollati uno status di protettorato temporaneo, ne supporta i costi e si impegna a rendere possibile ricostruirsi una vita.
Il 13 ottobre l'ex primo ministro del Karabakh ha dichiarato che la maggioranza degli sfollati vorrebbe rientrare nelle proprie abitazioni. La comunità internazionale preme perché vengano creati i requisiti per facilitare il rientro. L’inviato speciale del presidente azero Elchin Amirbayov ha recentemente rilasciato una intervista in cui ricorda che per i karabakhi è possibile registrarsi ed acquisire la cittadinanza azera. Ma ha tenuto a sottolineare che dei 100mila rifugiati, buona parte ha già cittadinanza armena e circa il 30% sono dei “coloni”, insediatesi in Karabakh durante il periodo secessionista. Si stima che siano ormai poche centinaia gli armeni che sono rimasti sul territorio ora controllato da Baku, per lo più persone impossibilitate a lasciare l'area per motivi di disabilità o di anzianità. Li assiste la Croce Rossa.
Lo smantellamento del Nagorno Karabakh
Il Nagorno Karabakh politico, come stato de facto, cesserà di esistere a fine anno per decreto del suo ultimo presidente, ma di fatto dalla resa del 20 settembre non esiste più. Rispetto a come era definita con il cessate il fuoco del 1994, la regione secessionista si era già molto ridotta dopo la guerra del 2020. Il processo di erosione territoriale e demografico a vantaggio di Baku era in corso prima dell’esodo che in pochi giorni ha svuotato la regione. Era già iniziato il Grande Ritorno, il processo che dovrebbe riportare almeno entro il 2026 140mila sfollati di guerra azeri nei territori da cui provengono.
Attualmente sono più di tremila le persone che sono rientrate nelle zone che erano state conquistate dagli armeni, principalmente nella ex cintura di sicurezza. La comunità che sta prendendo forma non abita però le case abbandonate dagli armeni. Il Grande Ritorno implica una grande ricostruzione con nuovi aeroporti, infrastrutture, complessi residenziali. A Füzüli vivono ormai più di 660 persone, a Lachin più di mille.
Resta ancora largamente spopolata la città di Stepanakert, il cui nome armeno [la città di Stepan] è dedicato a Stepan Shahumian, bolscevico armeno membro della Comune di Baku. Il suo busto è stato rimosso dagli azeri, che chiamano la città Khankendi, il villaggio del Khan. I pochi cronisti presenti, Al Jazeera e la Croce Rossa mostrano le immagini di una città fantasma.
Ci sono ancora i peacekeepers russi, il cui mandato scade nel 2025. Confermano che hanno continuato a ricevere armi e munizioni: granate, mortai, missili e carri armati, sistemi anticarro. Hanno smobilitato buona parte dei vari punti di monitoraggio, nati per il mandato ufficiale di verificare le violazioni del cessate il fuoco. Il ministero della Difesa azero pubblica periodicamente il bollettino delle armi sequestrate, inclusi missili costruiti del 2021 in Armenia che, stando alle dichiarazioni, sono stati rinvenuti nelle aree conquistate, vari esplosivi improvvisati tipici di quella che era la produzione locale, pezzi di artiglieria.
Sul territorio, la situazione relativa alla sicurezza rimane abbastanza stabile. Nell’ex Karabakh armeno c’è stato solo un episodio di un agguato a una pattuglia mista russa e azera. Lungo il confine armeno-azero a inizio ottobre ci sono invece stati degli scambi di fuoco con perdite umane.
Nonostante non si spari più, la guerra del Karabakh continua a fare vittime. Il 13 ottobre un azero è morto e un altro è rimasto ferito. Sono 333 le vittime dalla fine del conflitto tra feriti e morti civili e militari. Il Karabakh rimane un'area estremamente pericolosa A ottobre ANAMA, l’agenzia azera addetta a sminare, ha mostrato le foto delle mine e degli esplosivi che erano stati disposti in vari punti dai secessionisti armeni.
La mancata amnistia
Durante il Consiglio di Sicurezza sul Nagorno Karabakh convocato d'urgenza dalla Francia, l'Unione Europea aveva richiesto un'amnistia per i membri del governo e della pubblica amministrazione del Karabakh. L’Azerbaijan non ha intenzione di attivare provvedimenti di questo tipo, e come ha rilevato lo stesso ultimo presidente del Karabakh, pare che Baku stia procedendo con un sistema selettivo per valutare le responsabilità dei vari secessionisti.
Il 27 settembre è stato fermato Ruben Vardanyan, ex capo del governo del Karabakh, che da subito era risultato particolarmente inviso a Baku. Anche l’ex segretario del servizio di sicurezza è stato arrestato e i vari ex presidenti della Repubblica. Qualcuno si è consegnato, come per esempio il consigliere presidenziale che si è recato a Sushi, sapendo già di essere ricercato e avendo deciso di rispondere personalmente del proprio credo politico. Alcuni membri sia delle forze armate che del governo sono riusciti a riparare in Armenia. Quelli che erano ancora in carica e sono riusciti a arrivare a Yerevan, hanno preso possesso della rappresentanza diplomatica del Karabakh dove si è di fatto insediato quanto rimane oggi del governo secessionista.