La storia della mediazione nel conflitto intorno al Nagorno Karabakh è complessa, con l'alternarsi di momenti di negoziati multilaterali, trilaterali, bilaterali. Anche l'amministrazione Biden è stata attiva nella mediazione, in linea con un ruolo ereditato dalla scomparsa del Gruppo di Minsk
Il cessate il fuoco del 1994 è frutto di un tavolo trilaterale: Russia, Azerbaijan, armeni. È opportuno dire armeni e non Armenia, perché all’epoca furono coinvolti anche i secessionisti del Nagorno Karabakh come parte diretta e riconosciuta come belligerante. Per la risoluzione pacifica del conflitto si era poi pensato in seno all’OSCE a una conferenza estesa, la conferenza di Minsk. Al tavolo si sarebbero ipoteticamente trovati a sedere Bielorussia, Germania, Italia, Svezia, Finlandia e Turchia, più i tre co-presidenti del Gruppo di Minsk, quindi Stati Uniti, Francia e Russia, e ovviamente Armenia e Azerbaijan.
Il tutto era descritto come il processo di Minsk. Di fatto l’ipotesi di poter organizzare la conferenza di pace è poco alla volta naufragata sotto l’evidente difficoltà di trovare un punto di incontro fra posizioni sempre più divergenti ed inconciliabili fra le parti, per cui il Gruppo di Minsk è divenuto l’unico strumento di mediazione che per trent’anni ha viaggiato fra le capitali, cercando di creare i presupposti per una pace negoziata.
Questo strumento negoziale è entrato in profonda crisi con la guerra del 2020. L’Azerbaijan ha da subito reso noto che riteneva che il Gruppo avesse fallito e fosse divenuto ormai obsoleto ed inutile. Nei tre anni che hanno separato le due fasi della guerra di riconquista del Karabakh, Armenia e Karabakh hanno cercato di restituire un ruolo alla co-presidenza. Ma sia la guerra in Ucraina e quindi la difficoltà di cooperare con la Russia, sia la definitiva ripresa del Karabakh attraverso un’azione militare sono stati la pietra tombale di questo tentativo di diplomazia multilaterale .
Il trilateralismo
Nel triennio 2020-2023 i tre co-presidenti Russia, Francia, Stati Uniti hanno cercato di mantenere attivo il proprio ruolo di mediatori.
La Russia - come nel 1994 - si è resa protagonista della mediazione di un cessate il fuoco e ha proceduto con dichiarazioni e accordi congiunti, mettendo cioè sempre la propria firma accanto a quella di Armenia e Azerbaijan. Il ruolo che quindi Mosca vuole svolgere non è solo quello di mediatore, ma di garante o co-segnatario con incarichi operativi e voce in capitolo sui contenuti dell’accordo.
La Francia ha intensificato i propri rapporti con l’Armenia, a scapito di quelli con l’Azerbaijan che diventano sempre più tesi. Ha cercato di rientrare in un formato multilaterale attraverso le iniziative di Bruxelles, estendendo il formato trilaterale Bruxelles-Yerevan-Baku a un quintetto che includesse Parigi e Berlino. Ma dopo un incontro esplorativo, Baku ha dato inequivocabili segni di non apprezzare l’iniziativa, al punto che non si è proprio più presentata ad alcuna iniziativa di mediazione europea.
Gli Stati Uniti hanno dato il via a un proprio formato trilaterale, chiarendo di considerarsi solo facilitatori degli incontri. Le due parti devono concordare la pace, e Washington offre loro strumenti, spazi e tempi per parlare. In questa veste ha lanciato anche un formato inusuale: per tre giorni, dal 27 al 29 giugno 2023 ha ospitato ad Arlington in Virginia, presso il George Schultz National Foreign Affairs Training Center i ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaijan, perché dessero fondo a intensi negoziati, prevalentemente bilaterali. Nel formato trilaterale, gli Stati Uniti mettono a disposizione delle parti il Dipartimento di Stato. È infatti Antony Blinken a presiedere gli incontri.
A differenza del conflitto in Ucraina, in cui è il presidente Joe Biden a tenere aperta la linea con la presidenza ucraina, per il conflitto in Karabakh è Blinken a relazionarsi con le parti. Questo denota che nonostante l’amministrazione Biden abbia dedicato tempo e attenzione al conflitto armeno-azero, il livello di impegno è inferiore rispetto a quanto dimostrato dagli altri due ex co-presidenti, che nei rispettivi formati negoziali hanno visto in prima linea proprio i presidenti, sia quello francese che quello russo.
Il bilateralismo
La sorte dei format trilaterali è in bilico. Sia Mosca che Washington che Bruxelles non riescono più a portare al proprio tavolo negoziale le parti. Baku è galvanizzata dai propri successi, dal sicuro sostegno turco, e ritiene di poter massimizzare i propri risultati in via bilaterale. Yerevan è aperta ad un negoziato bilaterale per le questioni tecniche e umanitarie, che si tratti dei confini, del supporto reciproco funzionale a eventi vari, o allo scambio di prigionieri.
Ma teme il formato bilaterale per una risoluzione politica della guerra. In un trattato di pace senza l’intervento della comunità internazionale, solo frutto della capacità negoziale delle parti, potrebbe trovarsi a subire un testo che risente molto degli attuali rapporti di forza. Per questo sollecita di tornare al tavolo di Bruxelles o di Washington. Non menziona Mosca. Ma l’Azerbaijan, per ora, lascia poco spazio alla mediazione internazionale. Poco alla volta tutti i tavoli negoziali sono caduti in disgrazia.
Per Baku la causa, o il pretesto, per escludere Washington è stata l’attività di USAID e le misure e le parole adottate dal Congresso. L’Azerbaijan ha manifestato una completa insoddisfazione per i contenuti espressi e le misure adottate, avviando una campagna aggressiva contro USAID, mettendo in discussione il ruolo dell'organizzazione e - personalmente - la professionalità della presidente Samantha Power, che era stata a Yerevan nei giorni seguenti il conflitto di settembre.
La sottocommissione del Comitato per gli Affari Esteri della Camera dei Rappresentanti ha tenuto un'audizione sul “Futuro del Nagorno Karabakh” durante la quale la questione è stata affrontata in termini molto espliciti verso l’Azerbaijan . A metà novembre, il Senato ha approvato l’“Armenian Protection Act del 2023”.
Un incontro trilaterale fra le parti previsto per il 20 novembre è stato annullato. Gli USA rimangono a disposizione , ma per il momento non è chiaro come si evolverà la negoziazione del conflitto, e di conseguenza quanto questa amministrazione potrà essere coinvolta nel ruolo di facilitatore, né come lo potranno essere gli altri, mediatori o garanti che vogliano essere.