Zoran Zaev (foto G. Vale)

Zoran Zaev (foto G. Vale)

La Macedonia non riesce ad uscire da una grave crisi politica. E per il capo dell'opposizione e leader dell'Unione socialdemocratica macedone Zoran Zaev le elezioni previste per il 24 aprile prossimo non rappresentano una soluzione. Un'intervista

19/02/2016 -  Giovanni Vale Skopje

Leader dell’Unione socialdemocratica macedone (SDSM) dal 2013, Zoran Zaev è oggi alla testa dell’opposizione che sfida Nikola Gruevski (VMRO-DPMNE), il primo ministro al potere da più di dieci anni. Nella primavera del 2015, le sue rivelazioni sugli abusi dell’esecutivo hanno spinto decine di migliaia di persone a manifestare a Skopje. Da allora, Zaev ha preso parte ai negoziati voluti dall’Unione europea tra il governo e l’opposizione e sottoscritto i cosiddetti accordi di Pržino. Oggi, mentre si avvicina la data delle elezioni anticipate - previste per il 24 aprile - Zaev sostiene che in Macedonia non ci sono ancora le condizioni per tenere delle elezioni “libere e democratiche”.

Stando all’accordo di Pržino, le elezioni anticipate dovrebbero tenersi il 24 aprile prossimo. Perché lei è contrario?

L’accordo di Pržino prevede diverse tappe cruciali, una delle quali è la data del 24 aprile. Ma ancor più della data è importante che le elezioni siano “libere e democratiche”. Se non completiamo il controllo dei registri elettorali e se non si riforma il sistema dell'informazione e dei media, ci saranno sì delle elezioni, ma con nuovi brogli e senza una via d’uscita da questa crisi politica. L’unica garanzia di stabilità per questo paese è che il vincitore delle prossime elezioni abbia piena legittimità, cosa possibile solo se il voto è libero e democratico. Dell’accordo di Pržino, dunque, alcuni punti sono stati realizzati - siamo rientrati in parlamento, si è designato un procuratore speciale, partecipiamo al governo tecnico - ma i due punti relativi a registri elettorali e media rimangono da adempiere.

Quanto tempo serve per adempiere a tutti i punti previsti da Pržino?

Dipende dalla Commissione elettorale, che è un’istituzione indipendente. Loro diranno in quale data il controllo dei registri di voto potrà essere ultimato e quindi se c’è tempo a sufficienza per andare al voto prima dell’estate. A noi, ai politici, non spetta il compito di fissare la data delle elezioni ma soltanto quello di sostenere il lavoro della commissione, che sicuramente mostrerà come più di 350.000 elettori siano attualmente all’estero e quindi debbano votare nelle ambasciate e come ci siano ancora più di 100.000 elettori fantasma nei registri. Siamo certi di questi dati perché attualmente un nostro rappresentante è responsabile del ministero dell’Interno, ma ovviamente quest’informazione può essere confermata solo dalla Commissione elettorale. Ricordo che 100.000 cittadini “fittizi” rappresentano più del 12% degli elettori di etnia macedone.

Francamente parlando, pensa davvero che il voto sarà posticipato?

Sì. La Commissione elettorale deve avere il tempo di eliminare i dati fasulli e anche i bambini in Macedonia sanno che non c’è tempo per modificare i registri entro il 5 marzo, termine ultimo per poter votare il 24 aprile, dato che il controllo dei registri deve finire 50 giorni prima dello scrutinio. Anche Gruevski e Hahn lo sanno, basta fare i calcoli di quanto tempo serve per ogni attività e si arriva nel migliore dei casi ad un totale di 85–90 giorni, per permettere anche delle verifiche sul campo dei nominativi su cui si hanno dubbi. Attualmente abbiamo meno di 1,6 milioni di abitanti e 1,8 milioni di elettori registrati! Per non parlare del fatto che 380.000 cittadini hanno meno di 18 anni e che quindi andrebbero sottratti al numero di abitanti per definire l'elettorato…

Ma se non ci sono le condizioni, perché, secondo lei, il Primo ministro Gruevski insiste nel mantenere questa data?

Perché vuole nuove elezioni con brogli. Perché in quel modo ha vinto gli ultimi scrutini e vuole ripetere quella situazione. Siamo sicurissimi che se abbiamo delle condizioni di voto anche solo vicine a quelle dette “libere e democratiche”, ci sarà un cambio di governo. Solo potendo contare su dei registri elettorali non ripuliti e sul completo controllo dei media, due fatti che ancora persistono, [Gruevski e i suoi alleati] possono vincere di nuovo.

Boicotterà le elezioni se la data sarà mantenuta al 24 aprile?

Non soltanto noi, ma tutti i partiti di opposizione, o meglio, tutti i partiti che non sono nella coalizione con Gruevski boicotteranno quella data. Allo stesso modo, tutta la società civile attiva è contraria al 24 aprile.

Oltre al boicottaggio, ci saranno nuove manifestazioni?

Se il governo persiste con il 24 aprile, tutte le opzioni sono aperte. Una delle possibilità è portare l’opposizione nelle strade, perché non ci saranno altri mezzi legali per combattere all’interno delle istituzioni. Sarà l’unica opzione che avremo: usare le piazze, manifestare di fronte al governo e bloccare i seggi elettorali.

Il Premier ha già dato le dimissioni, come previsto, 100 giorni prima del voto e la maggioranza ha votato lo scioglimento del parlamento per il 24 febbraio, ovvero a 60 giorni dal voto… Non sembra dunque che il governo sia intenzionato a posticipare le elezioni. Dobbiamo aspettarci un inasprirsi della crisi?

La decisione presa dal parlamento, che ha votato [qualche settimana fa] per sciogliersi in data 24 febbraio, è contraria alla nostra Costituzione, che prevede invece che il parlamento voti il suo scioglimento e che questo avvenga nella stessa giornata, ovvero a 60 giorni dal voto. Se poi vogliamo essere precisi, quest’anno è bisestile, per cui scegliendo il 24 febbraio, scioglieranno la camera 61 giorni prima del voto! Ad ogni modo, se manterranno la data, noi faremo tutto ciò che l’opposizione può fare. Il nostro messaggio, fin dal 17 maggio scorso, è: “Cambiare un regime e un dittatore in modo pacifico è possibile”. In uno stato piccolo come il nostro non c’è spazio per un confronto con la polizia, con le istituzioni. Siamo 1,6 milioni di abitanti, se ci permettiamo di avere delle manifestazioni come in Ucraina, in Egitto, in Libia, finiremo per distruggere il nostro paese. Per questo abbiamo scelto la strada della pazienza e dei negoziati.

Il 17 maggio dell’anno scorso, le sue “bombe”, le intercettazioni telefoniche riguardanti diversi abusi del governo Gruevski, hanno portato in piazza decine di migliaia di persone. Che cos’è rimasto di quello spirito ad un anno di distanza?

Sono molto orgoglioso del 17 maggio 2015. E' stato il primo evento, nella nostra società multietnica, in cui tutti i gruppi erano presenti di fronte al governo, protestando pacificamente contro questo regime ibrido. Eravamo uniti, macedoni, albanesi, turchi, serbi, rom e assieme alla società civile, vera organizzatrice dell’evento. Da allora, siamo ancora uniti e l’aspettativa è che alle prossime elezioni ci sia per la prima volta un’alleanza pre-elettorale tra partiti macedoni e albanesi, con liste miste. Questo è un segno di qualità nel dibattito politico. Un altro esempio: il nostro partito politico [SDSM] conta oggi più di 70.000 membri e dopo il 17 maggio 2015 abbiamo registrato più di 10.000 nuovi membri provenienti dal gruppo etnico albanese.

Chi sono i suoi sostenitori oggi?

Direi gli abitanti delle zone urbane della Macedonia. Questo è quello che i sondaggi ci dicono: a Skopje, Kumanovo, Bitola, Ohrid, Tetovo, siamo in testa. Ma in ogni villaggio o in ogni periferia delle città, perdiamo. Perché? I media. Nelle zone urbane c’è maggiore accesso all’informazione, i cittadini sanno tutto, mentre nei villaggi e nelle periferie, la televisione di stato trasmette “dosi” quotidiane di propaganda per il governo. Ho qui i dati degli ultimi dieci giorni di gennaio, riguardo Kanal 5, Sitel Tv e ALFA Tv. Che succede? Informazioni positive per VMRO-DPMNE: 11.916 secondi; informazioni positive per SDSM: 19 secondi e via di seguito… Queste televisioni raggiungono più dell’80% dei telespettatori.

Nel caso lei arrivasse al potere, quali sarebbero i suoi primi provvedimenti? Ad esempio per frenare l’emorragia demografica che ha portato all’estero, negli ultimi vent’anni anni, centinaia di migliaia di cittadini?

Abbiamo sviluppato il nostro programma economico nell’ultimo congresso del partito, a metà dicembre, immaginando più di mille misure diverse. Vogliamo offrire a chi se ne è andato delle buone ragioni per tornare a casa, aprendo nuovi posti di lavoro anche con il sostegno del budget nazionale. Penso ad esempio a degli incentivi per le imprese o per diventare un lavoratore autonomo. Ma riteniamo anche che la tassazione debba essere più giusta: ora c’è una “flat tax” del 10% che si applica a tutti, noi la sostituiremo con un’aliquota del 9% per chi guadagna meno di 1.000 euro al mese e con una del 18% da applicare alla parte eccedente di reddito per chi guadagna più di 1.000 euro al mese.

Riguardo alla politica estera di Skopje, pesa tuttora la controversia con la Grecia, che non riconosce il nome “Macedonia” ma insiste per l’acronimo FYROM. Qual è il suo punto di vista?

Innanzitutto, bisogna essere proattivi, perché abbiamo bisogno di una soluzione. La Grecia può continuare così per cent’anni, perché è già nell’Ue e nella NATO, mentre noi dobbiamo risolvere questo problema se vogliamo far parte di queste organizzazioni. Con più persistenza, in modo trasparente e anche con l’opposizione, si troverà una soluzione che ci permetta di mantenere la nostra identità. Se ci sarà un cambiamento, sarà solo per l’uso internazionale del nome e non metterà in discussione la nostra identità: mio padre, mio nonno erano macedoni e nessuno può togliermi questo e sono certo che la Grecia non vuole privarmi di questo sentimento. Ritengo dunque che l'individuazione di un nuovo nome sia possibile senza danneggiare l’identità del paese.