Pixabay

Nonostante la forte opposizione interna i governi di Macedonia e Grecia stanno tentando di risolvere la disputa sul nome, che si trascina dal 1991. Anche si raggiungesse una mediazione, non basterà solo questo per rafforzare le relazioni bilaterali

08/06/2018 -  Ilcho Cvetanoski Skopje

Da quasi trent'anni, due paesi europei tentano inutilmente di risolvere una questione bilaterale considerata da molti come una delle dispute più irrazionali e assurde della storia contemporanea. Vale a dire, la "disputa sul nome" tra la Repubblica di Macedonia e la Grecia.

Dal 1991, la Grecia si oppone infatti all'uso del termine Macedonia da parte del suo vicino settentrionale. Dopo diversi anni di negoziati a bassa intensità tra Skopje, Atene e presso gli uffici delle Nazioni Unite a New York sotto la supervisione di Matthew Nimetz, inviato personale del Segretario generale delle Nazioni Unite, il dialogo si è intensificato e una soluzione reciprocamente accettabile appare oggi più probabile che mai.

In pochi mesi, i ministri degli Esteri di Macedonia e Grecia hanno avuto più incontri che nei precedenti 27 anni. Atene, Davos, Skopje, Sofia, New York, Bruxelles... sono tra le città in cui politici di alto livello di entrambi i paesi si sono confrontati quest'anno. Il loro obiettivo è trovare una soluzione alla lunga controversia prima della riunione di fine giugno del Consiglio europeo, o almeno per il vertice NATO di quest'anno previsto per l'11-12 luglio a Bruxelles. Se ci riusciranno, la soluzione spalancherà le porte all'ulteriore integrazione euro-atlantica della Macedonia.

Le premesse

La cosiddetta questione del nome è esplosa alla fine del 1991, nel bel mezzo della dissoluzione della federazione jugoslava. La Repubblica socialista di Macedonia, una delle sue sei repubbliche costituenti, ha proclamato la sua indipendenza seguendo l'esempio di Slovenia e Croazia, chiedendo il riconoscimento internazionale sotto il nome di "Repubblica di Macedonia", senza più l'aggettivo "socialista". Con l'intensificarsi della guerra jugoslava, Skopje ha poi spinto per un rapido riconoscimento internazionale, temendo l'accendersi di possibili conflitti interni.

La Grecia ha però bloccato tutte le richieste di adesione alle organizzazioni internazionali, opponendosi a qualsiasi uso del termine "Macedonia" nel nome del suo vicino settentrionale. Atene ha sempre rivendicato il diritto esclusivo sul nome Macedonia, che considera parte del suo patrimonio storico e culturale. Per Atene, poi, con l'uso del termine Macedonia, Skopje "promuove ambizioni irredentiste e territoriali" nei confronti dell'omonima regione greca.

Di conseguenza, il paese è stato accolto come membro delle Nazioni Unite due anni dopo, l'8 aprile 1993, con la denominazione provvisoria di "ex Repubblica jugoslava di Macedonia" (FYROM), da utilizzare fino al raggiungimento di un accordo reciproco, mentre l'adesione ad altre organizzazioni internazionali (Consiglio d'Europa, OCSE, NATO e UE) è stata bloccata.

Un anno dopo, le relazioni tra i due paesi hanno toccato di nuovo il fondo. Atene ha infatti imposto un embargo commerciale chiudendo il proprio confine settentrionale tra il febbraio 1994 e il settembre 1995, e chiedendo a Skopje di modificare la propria bandiera e alcuni articoli costituzionali e avviare colloqui sul nome sponsorizzati dall'ONU. La crisi è stata disinnescata con la firma dell'accordo provvisorio (1995) sotto l'egida di Cyrus Vance, inviato speciale del Segretario generale dell'ONU.

Skopje ha cambiato la bandiera e modificato le presunte clausole irredentiste dalla sua costituzione, mentre Atene si impegnava a non opporsi all'adesione di Skopje ad alcuna organizzazione internazionale, a condizione di utilizzare il nome "FYROM". La soluzione ha aperto così le porte all'adesione di Skopje a varie organizzazioni internazionali, fra cui l'OCSE, il Consiglio d'Europa e il programma NATO per la pace.

Nei tredici anni successivi, le relazioni sono migliorate gradualmente. Sempre più cittadini della Repubblica di Macedonia hanno iniziato a frequentare le località del Mar Egeo per le loro vacanze, mentre la Grecia si è trasformata in uno dei maggiori investitori in Macedonia. Durante questo periodo si sono tenuti regolarmente negoziati sul nome, ma senza alcuna soluzione concreta.

La situazione è rimasta stabile fino al summit NATO del 2008 a Bucarest, dove la Grecia ha posto il veto all'adesione di Skopje all'Alleanza atlantica. Successivamente, la Repubblica di Macedonia ha intentato una causa contro la Grecia alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) dell''Aia, per aver violato l'accordo del 1995.

Nel 2011, con quindici voti contro uno, l'ICJ ha decretato "che la Repubblica Ellenica, contestando l'ammissione della ex Repubblica jugoslava di Macedonia alla NATO, ha violato l'obbligo di cui all'articolo 11, paragrafo 1, dell'accordo ad interim del 13 settembre 1995". Il verdetto non ha però comportato alcun cambiamento significativo: essendo la Grecia un membro con potere di veto, trovare un accordo con Atene resta condizione necessaria per la Macedonia sia per aderire alla NATO che per avviare i colloqui di adesione all'UE.

Con i cambiamenti politici dello scorso anno a Skopje (la sconfitta della VMRO di Nikola Gruevski e il nuovo governo a guida socialdemocratica), insieme ai cambiamenti geopolitici globali (l'intensificato interesse russo per i paesi balcanici, volto a indebolire la loro capacità e volontà di essere membri della NATO), i negoziati sul nome sono però di nuovo finiti in cima all'agenda, non solo di Skopje e Atene, ma anche di Bruxelles e Washington.

Soluzione, più facile a dirsi che a farsi

L'opinione pubblica macedone ha a lungo creduto la soluzione al rebus potesse essere quella di un nome composto, utilizzato solo dalla Grecia e forse dalle organizzazioni internazionali. Sul piatto però c'è molto di più: i codici internazionali, la denominazione della lingua, l'uso commerciale del nome Macedonia ecc...

Nel corso degli anni i punti di partenza di entrambe le parti si sono gradualmente evoluti verso posizioni più "moderate". La posizione iniziale di Atene era il rifiuto di qualsiasi menzione del nome Macedonia nella denominazione del suo vicino. Dall'altra parte, Skopje era disposta a trovare un nome che sarebbe stato usato solo dal suo vicino meridionale e forse dalle organizzazioni internazionali, mentre nella comunicazione bilaterale e interna doveva essere usato solo il nome costituzionale Repubblica di Macedonia.

Oggi, l'ottimismo da entrambe le parti è più alto che mai. Misure di rafforzamento della fiducia reciproca sono state promosse da entrambe le parti: Skopje ha ribattezzato il proprio aeroporto principale da "Alessandro Magno" ad" Aeroporto internazionale di Skopje" e la principale autostrada nord-sud, anch'essa dedicata al condottiero macedone, in "Autostrada dell'Amicizia". Da parte sua, Atene ha revocato il veto per l'adesione di Skopje all'Iniziativa Adriatico-Ionica.

Nel frattempo, i primi ministri e i ministri degli Esteri di entrambi i paesi hanno rilasciato diverse dichiarazioni concilianti, incoraggiando l'ottimismo su una possibile soluzione prima dei vertici UE e NATO di quest'anno. Anche la comunità internazionale sta incoraggiando entrambe le parti a trovare una soluzione. Recentemente il cancelliere tedesco, il vicepresidente degli Stati Uniti e l'Alto rappresentante dell'UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza sono tra coloro che si sono espressi a favore della risoluzione della controversia.

Ad oggi, la principale richiesta della Grecia in questa disputa asimmetrica è di avere una qualifica geografica o temporale tra "Repubblica" e "Macedonia", in modo da garantire una netta differenziazione tra il nome della Repubblica e la provincia nel nord della Grecia. Inoltre, questo nuovo nome dovrebbe essere usato erga omnes, per tutti gli scopi.

A giudicare dai recenti resoconti dei media, una delle maggiori divergenze tra le parti è l'uso del nuovo nome. La Grecia insiste su un nome che sarà usato da tutti e dappertutto, internamente ed esternamente, principio piuttosto indigesto dal lato macedone. Oltre ad essere considerato umiliante farsi imporre un nome in casa propria, tale soluzione richiederebbe anche modifiche costituzionali, impossibili con gli attuali equilibri politici nel parlamento macedone.

In questa luce l'ultima proposta di Skopje, prontamente respinta da Atene, è stata "Repubblica di Ilinden Macedonia" per uso erga omnes. La nazionalità proposta è quella di "cittadino della Repubblica di Ilinden Macedonia", la lingua "makedonski", i codici internazionali, MKD e MK.

Il qualificatore Ilinden si riferisce all'insurrezione del 1903 contro l'Impero ottomano ed è stato considerato dal governo macedone come il meno problematico per l'uso interno. Respinto questo, torna sul tavolo l'insieme di idee di Nimetz basato su qualificazioni come "Nord", "Superiore", "Nuova", " del Vardar" ecc.

Anche se si riuscirà a trovare un accordo, è della massima importanza che tutte le parti coinvolte siano consapevoli che trovare un nome non è la parte più difficile del processo. Implementare la soluzione, presentarla ai cittadini di entrambi i paesi e soprattutto avere il via libera da parte delle opposizioni interne è un processo molto più difficile. Tutto questo risalta chiaramente alla luce dell'ultima soluzione promossa, quella di "Repubblica di Ilinden Macedonia": secondo i media in lingua macedone, il primo ministro greco Alexis Tsipras avrebbe infatti accettato la proposta, facendo però un passo indietro dopo la reazione agguerrita dell'opposizione e le proteste nelle piazze greche.

Non bisogna poi illudersi che con la firma di un accordo le cose cambieranno drasticamente. Nessun beneficio sostanziale a lungo termine può essere raggiunto se i popoli dei Balcani non accettano la realtà: che i confini sono inviolabili, i diritti delle minoranze da proteggere e il riconoscere l'esistenza delle altre lingue e culture necessario.

In mancanza di queste condizioni, il tanto atteso accordo aprirà probabilmente le porte alla NATO, forse all'integrazione europea, ma non creerà basi solide per relazioni di buon vicinato sostenibili e a lungo termine.

 

Questo articolo è frutto di una collaborazione editoriale tra l’Istituto Affari Internazionali e Osservatorio Balcani e Caucaso – Transeuropa.