Nikola Gruevski, fino a pochi mesi fa uomo forte della Macedonia, si troverà ora a difendersi da gravi capi d'accusa in un'aula di tribunale
Nikola Gruevski ha perso il suo passaporto. Da ieri, l’ex primo ministro macedone, al potere dal 2006 al 2015, non può più lasciare il paese e ha l’obbligo di registrarsi una volta alla settimana presso il tribunale di prima istanza di Skopje, onde evitare che scappi in attesa del processo.
La decisione è stata presa dai giudici della capitale macedone che hanno così respinto la richiesta del Procuratore speciale di incarcerare in via preventiva l’ex premier (assieme ad altri 16 sospettati), scegliendo invece una misura cautelare meno restrittiva. E anche se l’accusa ha già annunciato un ricorso, nella speranza di portare al più presto Gruevski dietro le sbarre, il divieto d’espatrio rappresenta già una svolta notevole per la Macedonia, dove l’uomo che ora rischia 27 anni di prigione teneva ancora, fino a pochi mesi fa, le redini del governo e del paese.
Con lui, passerà alla sbarra un’intera classe politica, comprendente ex ministri, funzionari di partito e persino l’ex dirigente dei servizi segreti, in un processo che si annuncia “storico”, una sorta di Tangentopoli macedone.
Il lavoro della procuratrice speciale
Questo è dunque il primo risultato delle indagini condotte dalla procuratrice speciale Katica Janeva, che ha preso possesso del suo ufficio a fine 2015 e che, dopo due anni di lavoro, ha pubblicato qualche giorno fa una lunga lista di rinvii a giudizio riguardanti un centinaio di persone fisiche e sette persone giuridiche.
I capi d’accusa variano dalla corruzione alla frode elettorale, passando per l’abuso d’ufficio o il concorso in aggressione e lo stesso ex primo ministro è coinvolto in ben cinque casi diversi. “Tnt”, “Titanic”, o ancora “Traektorija”, questi sono alcuni dei nomi dei casi presi in esame dalla procuratrice e riguardanti rispettivamente la demolizione di un immobile appartenente ad un ex alleato politico di Gruevski, i presunti brogli elettorali alle elezioni del 2013 e la sospetta concessione di un progetto da 570 milioni di euro ad una compagnia cinese per la costruzione di due tratti autostradali. Ma c’è anche spazio per la limousine da 575mila euro comprata dal partito dell’ex premier (il caso “Tank”) o l’attacco fisico ordinato nel 2013 contro l’allora sindaco del centro di Skopje (e oppositore politico) Andrej Zernovski.
Era Gruevski
Data la loro grande varietà, il minimo comune denominatore tra i casi sta soltanto nel lasso di tempo in cui si situano i fatti presi in esame. Tutti risalgono alla lunga parentesi di governo di Nikola Gruevski e del suo partito conservatore, il VMRO-DPMNE, di cui fanno parte anche gli altri illustri indagati: il direttore dei servizi segreti Sasho Mijalkov (nonché cugino dell’ex premier), l’ex ministra dell’Interno Gordana Jankuloska, o ancora la ministra della Cultura Elizabeta Kancheska-Milevska.
Gli eventuali abusi dell’era Gruevski (durata 10 anni a partire dal 2006) erano proprio l’ambito su cui era chiamata ad indagare la Procuratrice speciale, che nel 2015 aveva ricevuto un mandato preciso, a seguito di un accordo tra maggioranza e opposizione volto a porre fine alla crisi politica allora in corso nel paese. Erano state proprio le rilevazioni di alcuni scandali legati all’ex premier (in primis, il suo sistema di intercettazioni sulle conversazioni di 20mila cittadini) a dare il via, nella primavera del 2015, alla lunga instabilità macedone, marcata da grandi manifestazioni di strada, diverse elezioni rimandate e, infine, persino un assalto al parlamento.
Negli ultimi due anni, dunque, mentre il controllo del VMRO-DPMNE sulle istituzioni macedoni si è fatto via via meno solido (lasciando spazio, da maggio 2017, al governo del nuovo premier socialdemocratico Zoran Zaev), l’attività della procuratrice Katica Janeva ha portato all’individuazione di dieci scatoloni di prove, trasportati la settimana scorsa al tribunale di Skopje. Un passaggio che segna soprattutto l’inizio di un nuovo capitolo (il processo), ma che permette anche di trarre le prime somme su due anni di agitazioni interne ed esterne alla Macedonia.
Mediazioni
Dal 2015, un lungo lavoro di mediazione ha permesso di riportare il VMRO-DPMNE e il SDSM di Zoran Zaev a sedere allo stesso tavolo. La retorica dei fronti contrapposti - che a momenti ha visto la Russia sostenere apertamente Gruevski contro le indicazioni dell’Unione europea - ha finito per lasciare spazio ad una Macedonia certamente fragile, ma che è uscita dallo stallo del post-elezioni e che si è dotata di un nuovo esecutivo, convincendo anche il capo di Stato Gjorge Ivanov (VMRO-DPMNE) a nominare premier il leader socialdemocratico Zaev.
Molti passaggi restano tuttavia da chiarire, così come i comportamenti di alcuni attori coinvolti, anche europei. La visita del ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz ad un comizio di Nikola Gruevski in piena campagna elettorale rimarrà ad esempio un gesto quantomeno discutibile (forse ancora più sorprendente dell’incontro tra Gruevski ed Orban a fine 2016). Una mossa politica - quella di Kurz candidato alla premiership austriaca - che ha bucato l’azione diplomatica comunitaria altrimenti insolitamente compatta in Macedonia.
“La storia ci giudicherà!”, ha lanciato l’ex premier macedone all’annuncio del rinvio a giudizio pubblicato nei suoi confronti e accusando la procuratrice speciale di preparare un processo “politico” e non “giudiziario”. Parafrasandolo, si potrebbe dire - e senza timore di sbagliarsi - che la storia giudicherà allo stesso modo tutti gli attori della lunga crisi macedone, anche chi ne ha approfittato dall’estero, da ovest come da est.