Skopje è stata colpita prima da alluvioni devastanti, poi dal terremoto. Nel paese infuriano oggi le polemiche sulla (mancata) prevenzione, nonostante i numerosi avvertimenti del passato
Due disastri naturali hanno colpito Skopje nel giro di un mese; il primo ha avuto conseguenze mortali, il secondo fortunatamente no. Nella notte del 6 agosto, 22 persone sono morte e oltre 70 sono rimaste ferite nelle inondazioni torrenziali che hanno colpito la periferia della capitale macedone. Le vittime erano per lo più abitanti dei sobborghi o persone che viaggiavano sulla tangenziale che attraversa la zona. Fra le vittime anche bambini di età inferiore ai 10 anni e persone anziane.
A partire dall'undici settembre, per quattro giorni di fila Skopje è stata colpita da una serie di terremoti: il più forte di 5.3 gradi Richter, la maggior parte di circa 4. Per fortuna, ci sono stati solo lievi danni materiali. I funzionari hanno riferito che circa 30 persone hanno chiesto aiuto medico per attacchi di panico o lievi lesioni procurate durante la concitata evacuazione degli edifici.
Entrambi i casi sono stati altamente politicizzati: l'opposizione accusa il governo di cattiva gestione ambientale, mentre la maggioranza si appella all'ineluttabilità delle forze devastanti della natura. La maggior parte dei media, come sempre negli ultimi anni, si è limitata a riproporre la narrazione imposta dai partiti di riferimento, senza porre le domande cruciali.
Secondo gli esperti del settore, anche se a produrre i disastri sono le forze della natura, il fattore umano riveste grande importanza nel determinare se e quante vittime ci saranno in caso di catastrofi naturali.
Di chi è la colpa?
Il giorno seguente le inondazioni, il sindaco Koce Trajanovski, membro del partito di governo VMRO, ha dichiarato di non sentirsi responsabile, ma solo addolorato per le vittime. Analogamente, tutte le istituzioni competenti si sono appellate al travolgente volume delle precipitazioni, impossibile da prevedere.
Gli alti funzionari macedoni hanno definito "un vero shock” l'intensità delle precipitazioni registrate. Il servizio idro-meteorologico ha riferito di 93 litri per metro quadrato di precipitazioni a Skopje. Il direttore del servizio Oliver Romevski ha definito il temporale una "bomba d'acqua", che ha causato le più gravi inondazioni degli ultimi cinquant'anni.
D'altra parte, un folto gruppo di docenti universitari ed esperti ambientali, pur riconoscendo l'eccezionale volume delle piogge, ha sottolineato le responsabilità di istituzioni e persone per l'alto numero di vittime. Solo negli ultimi dieci anni, decine di ricerche avevano messo in guardia sulle possibili devastanti conseguenze di comportamenti irresponsabili.
Dopo le sei vittime delle inondazioni verificatesi lo scorso anno in alcuni villaggi vicino alla città di Tetovo, la professoressa Cvetanka Popovska del Dipartimento di Idraulica, Idrologia e Regolazione dei flussi d'acqua, in un'intervista per il sito web Inbox7, aveva messo in guardia il pubblico sull'insufficiente prevenzione da parte delle istituzioni.
"In generale, la Macedonia non è preparata ad affrontare gravi inondazioni. Non prendiamo sul serio le inondazioni fino a quando non si verificano", ha dichiarato la Popovska, sottolineando la mancata applicazione delle direttive UE in tema di misure quali marcatura di punti critici, mappatura, calcolo del rischio, inventario e monitoraggio in tempo reale.
L'aumento del rischio di inondazioni e condizioni meteorologiche estreme non è un fenomeno nuovo o sconosciuto nel paese. Già nel 2009 la Banca Mondiale aveva individuato in "Russia, Albania, Turchia e Armenia, e in misura minore Macedonia e Tagikistan" i paesi di Europa e Asia centrale che entro la fine del ventunesimo secolo saranno più esposti ad estremi cambiamenti climatici.
Un altro segnale viene da uno studio condotto dalla ONG internazionale DARA, che tramite il servizio di monitoraggio della vulnerabilità climatica segnala che il rischio di alluvioni e frane in Macedonia passerà da "grave" ad "acuto" entro la fine del 2030.
Previsioni analoghe sono state sollevate da una ricerca condotta dall'Organizzazione mondiale della sanità e dall'Istituto di sanità pubblica macedone. "La Macedonia è soggetta a inondazioni improvvise causate da piogge brevi ma intense e da specifiche condizioni meteorologiche, in particolare in estate. Queste brevi tempeste sono di solito causa di inondazioni torrenziali localizzate con gravi danni materiali, in particolare se ad essere interessati sono insediamenti urbani abusivi", sostiene lo studio.
Tutti gli studi citati risalgono ad almeno cinque anni fa, ma nel frattempo nessuna misura significativa è stata attuata.
Trema ancora la "città della solidarietà internazionale"
Nel 1963, un devastante terremoto di magnitudo 6.9 della scala Richter causò oltre 1000 morti e 3000-4000 feriti a Skopje. La città venne poi ricostruita anche grazie all'aiuto internazionale, tanto da guadagnarsi il nome di “città della solidarietà internazionale”. Dopo il terremoto, l'Istituto di Ingegneria Sismica e Sismologia (IZIIS), una delle principali istituzioni scientifiche di reputazione mondiale in Macedonia, condusse una serie di ricerche per lo sviluppo di strutture antisismiche.
In una ricerca del 1967, il professore di architettura Apostol Poceski evidenziava i quartieri sismicamente instabili di Skopje, diffidando severamente dal costruire edifici alti in quelle aree. In questi giorni i media macedoni, spinti dai sismi delle ultime settimane, fanno spesso riferimento al lavoro di Poceski, evidenziando il mancato rispetto delle sue raccomandazioni negli ultimi due decenni, e in particolare durante la transizione dal socialismo alla democrazia e il periodo di passaggio caotico ad un'economia di mercato. Il passaggio dall'autogestione dei lavoratori al primo capitalismo post-socialista è stato devastante per i progetti di sicurezza a lungo termine.
Le conseguenze di questa fase di corsa al lucro privato e il totale abbandono dei beni pubblici e dell'interesse comune da parte della politica sono ben esemplificate dal tweet di Vladimir Petreski, direttore del progetto di fact-checking Truth-meter, che ha sottolineato che la municipalità di Skopje ha attualmente 1.335 km di strade, ma solo 260 km (19%) di relative reti di drenaggio delle acque atmosferiche.
Responsabilità e prevenzione
Le aree interessate dalle inondazioni di agosto a Skopje e dell'anno scorso a Tetovo hanno due importanti caratteristiche in comune: abbandono istituzionale della rete di drenaggio acque e impatto negativo umano, dal disboscamento illegale al gettare rifiuti, metalli e blocchi di cemento nei corsi d'acqua e nei sistemi di drenaggio.
In un articolo a parte, Truth-meter ha analizzato dei segmenti del sistema di protezione dalle catastrofi naturali e non, giungendo alla conclusione che ci sono oggi chiari spazi per l'individuazione di responsabilità per inazione e la mancata prevenzione.
"Si tratta di prevenire tramite l'individuazione delle aree di crisi e dei rischi, la costruzione e manutenzione dei corsi d'acqua e canali di controllo delle inondazioni, la costruzione e manutenzione di reti fognarie, la creazione di un sistema di allarme rapido e di notifica delle precipitazioni. Ci sono poi grossi dubbi in merito all'azione di chi avrebbe dovuto pianificare per reagire ad una situazione di crisi e assicurare le riserve materiali obbligatorie", sottolinea l'autore dell'articolo.
Secondo quanto illustrato da Ivan Blinkov della Facoltà di Scienze forestali alla tavola rotonda "Costruire un sistema efficiente per la prevenzione delle catastrofi naturali", organizzata dalla ONG Civil, a differenza dei terremoti, le inondazioni possono e devono essere controllate con azioni di larga scala per mitigarne gli effetti.
In uno studio del 2011, l'Organizzazione mondiale della sanità raccomanda lo sviluppo di un sistema integrato di previsione, allarme e risposta alle inondazioni, nonché la costruzione di nuovi sistemi di protezione e drenaggio. "Il successo potrà essere raggiunto solo attraverso il coinvolgimento totale di tutti i settori governativi, privati e non governativi", si sottolinea nello studio.