Skopje (foto OBC)

Skopje (foto OBC)

Secondo Ivana Jordanovska, giovane attivista del movimento Protestiram e membro del partito socialdemocratico (SDSM), ogni volta che il potere è in posizione di debolezza scoppiano conflitti etnici. Un'intervista

29/05/2015 -  Matteo ZolaGiorgio Fruscione Skopje

“Ogni qualvolta il governo si ritrova in una posizione di debolezza scoppia un conflitto etnico. I giorni delle proteste hanno dimostrato come la società civile macedone fosse ben organizzata da anni, come nel caso di Ajde!, piattaforma che raccoglie esponenti da diverse associazioni. La reazione del governo è sempre stata più lenta rispetto all’iniziativa della società civile. Ma proprio mentre la protesta contro il governo si era fatta più forte, ecco che a Kumanovo si spara. I fatti di Kumanovo sono stati in grado di spostare l’attenzione del pubblico, anche a livello regionale, dalle proteste antigovernative alla ‘eterna questione etnica’ dei Balcani”. Così Ivana Jordanovska, giovane attivista di Protestiram e membro del partito socialdemocratico (SDSM), entra direttamente nella questione degli scontri di Kumanovo, la sua città, la seconda del paese per popolazione e dalla forte connotazione multietnica.

Qui, il 9 maggio scorso, forze di polizia macedone coadiuvate dall’esercito sono intervenute per smantellare una cellula terrorista dormiente. Gli scontri, che si sono concentrati nel quartiere di Divo Naselje, hanno lasciato sul terreno 18 morti,  di cui otto poliziotti. “Il primo gruppo di poliziotti entrati a Kumanovo erano dell’unità Alpha, non addestrati per combattere il terrorismo. Avevano detto loro che avrebbero dovuto arrestare dei narcotrafficanti. Solo dopo sono stati mandati i Tigre, che sono un reparto d’assalto. Quegli otto morti sono responsabilità del governo che ha mandato i propri agenti allo sbaraglio”, afferma ancora Ivana Jordanovska.

Ma chi erano quei terroristi? “Secondo le autorità si trattava di miliziani dell’Uçk ma non ci sono prove. Forse sono mercenari assoldati dal governo. Almeno questo è quanto sostiene Ilija Nikolovski, ex-generale dell’esercito macedone, che all’indomani dell’attacco ha dichiarato che Kumanovo è stata messa a ferro e fuoco da mercenari, non da terroristi”. I fatti di Kumanovo seguono, in ordine di tempo, quelli di Gošnice, località al confine con il Kosovo dove, a metà aprile, un commando di paramilitari ha sequestrato per alcune ore una stazione di polizia andandosene con un carico di armi. “Quelle armi sono poi state usate a Kumanovo”, sostiene Ivana.

“Ma è tutto molto strano. L’azione di Gošnice non è mai stata rivendicata né dall’Uçk, né da altri gruppi. Se si fosse trattato di terroristi avrebbero avuto un movente politico o religioso. E va precisato che quello di Kumanovo non è stato un attacco da parte di terroristi ma una reazione ad un’azione della polizia e dei militari. Divo Naselje non rappresenta una zona politicamente ed economicamente strategica ma è un quartiere residenziale con due scuole elementari, a due passi dal centro cittadino e densamente popolato – prosegue Ivana – tuttavia non possiamo fare troppe speculazioni. Bisogna guardare ai fatti per come li conosciamo e alle loro conseguenze per capire chi è il beneficiario di questa situazione. E finora a essersi giovato di questi attacchi è il governo”.

Un governo che, guidato dal primo ministro Nikola Gruevski, è in carica dal 2006 e che già due anni dopo otteneva la maggioranza assoluta in parlamento: “Quell’anno le cose hanno cominciato a cambiare. Il partito di maggioranza, il VMRO-DPMNE, ha iniziato a occupare tutti i livelli dello stato mettendo propri uomini in posizioni chiave. Dopodiché ha costruito un’enorme rete clientelare che penetra ogni livello della vita pubblica. Un posto nel settore pubblico te lo può dare solo il partito, ma poi quelle persone dipendono dal partito. Il partito dà, il partito toglie. Anche nel privato, se ti servono permessi o documenti pubblici potresti non averli mai se il partito decide di punirti perché sei troppo critico, o perché troppo indifferente verso le attività del governo. La linea di demarcazione tra stato e partito è ormai caduta”.

Così può accadere che si venga costretti a partecipare a una manifestazione, come quella del 18 maggio scorso, organizzata dal governo per dimostrare la propria forza e rispondere alle proteste del giorno prima, quando circa sessantamila persone scesero in piazza a Skopje chiedendo le dimissioni di Gruevski. “Si legge sui social network che molti dipendenti pubblici abbiano ricevuto messaggi sui propri telefoni cellulari con i quali li si invitava a partecipare alla manifestazione filogovernativa. Quella di Gruevski è una mafia che usa il ricatto come arma”.

Tuttavia non è sempre stato così: “Tra il 2006 e il 2008 Gruevski era considerato un autorevole economista e fu promotore di buone riforme economiche, per esempio facilitando l’apertura di imprese. Le cose cambiarono con la privatizzazione dei beni pubblici – spiega ancora Ivana – quando uomini fedeli al partito vennero favoriti dal governo nell’acquisizione di attività strategiche. Un caso esemplare in tal senso è quello di Orce Kamcev, cugino di Gruevski, che ha ottenuto il controllo della più importante azienda produttrice di carne del paese, la Extra Mein, attraverso un esborso minimo”.

Le cose andarono così: “Un giorno dalla televisione di stato cominciarono a paventare la presenza del batterio dell’hysteria nella carne prodotta dalla Extra Mein. Le vendite crollarono e il valore azionario colò a picco. Tutto senza che venisse fatto un controllo e senza un pronunciamento ufficiale delle autorità sanitarie nazionali o internazionali. Alla fine arrivò Orce Kamcev che rilevò l’azienda iniziando a costruire un impero che oggi comprende persino tre giornali nazionali”. Kamcev controlla oggi numerose attività che spaziano dalla Stopanska Banka di Bitola alla Lozar-Pelisterka, che produce olio e prodotti alimentari, e comprende una ditta di costruzioni, la Beton Stip, e l’ospedale Acibadem Sistina, il più grande di Skopje, fino alla ZIK Pelagonija attraverso cui controlla 20mila ettari di terreno agricolo in Pelagonija. “Senza dimenticare la MPM Macedonia, holding editoriale tramite cui controlla i giornali Dnevnik, Utrinski Vesnik e Vest, che fanno da megafono a Gruevski e al suo partito”.

L’Osce, all’indomani delle elezioni del 2014, aveva denunciato la scarsa indipendenza dei media e i forti limiti alla libertà di stampa in Macedonia. “Il governo commissiona direttamente gli articoli da scrivere ai giornalisti e chi non ci sta perde il lavoro -  spiega Ivana – lo stato è il principale inserzionista pubblicitario quindi un giornale indipendente perderebbe questi fondi e sarebbe costretto a chiudere. Un giornalista indipendente semplicemente non troverebbe lavoro. Casi come quello di Tomislav Kezarovski dimostrano poi come il governo punisca le voci critiche o troppo autonome con la complicità di una magistratura nominata dall’esecutivo. Il caso della morte di Mladenov resta sospetto e la sentenza, che parla di incidente stradale, è piena di lacune. Soprattutto non si sono fatte indagini accurate e c’era una gran voglia di chiudere rapidamente il caso. Il sistema giudiziario in Macedonia non è indipendente dallo stato, anzi, è il partito di Gruevski a nominare i giudici della Corte Costituzionale e scegliere i magistrati”.

Eppure le ultime elezioni del 2014, malgrado ‘la presenza di irregolarità’, sono state ritenute dagli osservatori Osce ‘ben amministrate’ e ‘ogni candidato ha potuto fare campagna elettorale senza essere ostacolato’. “La parola chiave è ‘ben amministrate’ - replica Ivana - che non significa ‘democratiche’. Significa che le schede elettorali sono state consegnate in tempo, che le urne non sono andate perse o distrutte e che non si sono registrate violenze ai seggi elettorali. Ma in un contesto come quello macedone non è abbastanza. Per questo Zoran Zaev, leader del SDSM, ha deciso di non riconoscere il risultato elettorale”.

La questione, a questo punto, è se Zaev non stia cavalcando la protesta per ottenere quel potere che le urne gli hanno negato: “La protesta ha due anime, una civile e l’altra politica. La prima è rappresentata dalla piattaforma Protestiram. La seconda è espressione del partito socialdemocratico all’opposizione. Al momento queste due componenti hanno tratto reciproco beneficio dall’unirsi: Protestiram non avrebbe mai avuto risorse economiche e capacità organizzativa sufficienti a portare in piazza tante persone; il SDSM, da solo, non sarebbe riuscito a mobilitare tanta gente. Alla manifestazione del 17 maggio non c’erano bandiere di partito perché l’intenzione era quella di unire tutti coloro che vogliono le dimissioni di Gruevski. Bisognerà poi vedere se, alla prova delle urne, Zaev sarà in grado di intercettare le simpatie della piazza”.

Le dimissioni del governo sono, per Ivana, “inevitabili”. “Gruevski è convinto che essendo al potere da nove anni possa rimanerci per sempre. L’attuale strategia del governo mira a guadagnare tempo e le dimissioni del ministro degli Interni, Gordana Jankulovska, e di quello dei Trasporti, Mile Janakievski non sono che un contentino per calmare la piazza. Anche Sašo Mijalkov, cugino del premier e direttore dei servizi segreti, è stato rimosso ma resta un uomo potente. Queste dimissioni non basteranno a superare la crisi di legittimità che sta attraversando l’esecutivo che, come Kumanovo dimostra, sembra pronto a tutto pur di mantenere la presa sul paese. Per la prima volta nella storia della Macedonia la protesta ha superato gli steccati etnici. Ed è questa la cosa che fa più paura a Gruevski”.