Arkady Gendler (Avi Dolgin/flickr)

Ha attraversato l'intero '900 con la sua musica, diffondendo il verbo yiddish in tutta Europa. E cantando per far felici le persone senza pensare mai ad un ritorno economico o d'immagine

31/07/2013 -  Gianluca Grossi

C'è una piccola regione, dove Ucraina e Moldavia s'incontrano, si chiama Bessarabia. Qui nel 1921, a Soroke, nasce uno dei più leggendari cantanti yiddish: Avrom (Arkady) Gendler. E' il decimo figlio di una famiglia poco abbiente ma culturalmente molto ricca, dove la musica regna sovrana. I fratelli maggiori organizzano periodicamente rassegne teatrali, incentrate sulla cosiddetta musica "yiddish".

E' una realtà musicale tipica degli ebrei askenaziti, riconducibili alla Renania del X secolo, che si diffusero in gran parte dell'Europa dell'Est, portando in giro musica e lingua, con rimandi alla lessicologia gotica. Puntualizza il musicologo italiano Enrico Fubini, nel suo saggio La musica nella tradizione ebraica: "Si potrebbe affermare che tutto l’ebraismo, la sua stessa essenza, è una musica, o meglio una forma di musica, o, in altre parole, un tentativo di imporre una forma al tempo".

Yiddish, non klezmer

La canzone yiddish, però, non va confusa con la musica klezmer, altro nome che circola molto spesso quando si parla di musica askenazita, rappresentando, infatti, un genere diverso, basato su un vasto repertorio vocale che include testi religiosi, profani, alcuni relativamente antichi, altri poetici e modernisti.

La musica klezmer e la canzone yiddish si sono semplicemente trovate a condividere il palcoscenico in parte nel teatro yiddish (in Europa, e nelle Americhe), e soprattutto nel "revival" della musica ebraica di origine est-europea che ha preso piede soprattutto negli anni Ottanta negli USA; ci sono peraltro casi particolari, come Erev shel shoshanim, una canzone notissima israeliana, in ebraico, che nulla ha a che vedere con la musica klezmer, con la canzone yiddish, o con il revival della klezmer music.

Da sarto a soldato

Gendler cresce nutrendosi anche della cultura rumena, poiché, al tempo, Soroke era parte dello stato facente capo a Bucarest. Ma in casa si parla esclusivamente yiddish e ogni momento è buono per riportare in auge antiche tradizioni e retaggi musicali: il piccolo Avrom cresce ascoltando tutte le sere dai genitori e dai fratelli filastrocche per bambini, canti, poesie, parodie teatrali, inni religiosi e addirittura brani a sfondo politico. Frequenta intanto la scuola elementare ebraica e i primi due anni delle medie; in seguito per via delle ristrettezze economiche della famiglia è costretto ad abbandonare gli studi per aiutare il padre nell'attività sartoriale.

Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale combatte nell'esercito russo. Nei momenti liberi è invitato dagli altri commilitoni a cantare brani yiddish per sollevare il morale delle truppe. Per lui è un onore, lo fa con grande piacere, mostrando l'eccezionale dimestichezza con il repertorio askenazita e dando prova della sua immensa cultura. Il ritorno a casa, però, è tutt'altro che gioioso. Alla fine del conflitto sopravvivono solo lui, un fratello e una sorella; agli altri del "clan" l'Olocausto non lascia scampo.

Dopo la guerra torna a scuola, frequentando dei corsi serali gratuiti. Continua l''attività di sarto che gli permette di autofinanziarsi gli studi superiori e infine diplomarsi in chimica. Lascia la Bessarabia per trasferirsi in Ucraina, a Zaporozhye, dove viene impiegato in un centro specializzato nello studio dei polimeri, macromolecole che si pensa possano rivoluzionare il mondo tecnologico. Finalmente può godere di una certa comodità finanziaria, mettere su famiglia e iniziare, ufficialmente, la sua "missione" musicale.

Verbo yiddish

Comincia a girare il mondo diffondendo un po’ ovunque il verbo yiddish. Cantando, suonando e insegnando. La sua carriera musicale, benché lontana dal professionismo, continua imperterrita ancora oggi che ha appena compiuto 91 anni. "E' una risorsa infinita, per le nostre vite e culture", scrive Vladislav Davidzon su "Tablet Magazine", "una persona saggia, radiosa, di grande spessore umano".

Davidzon è andato a fargli visita in Ucraina, dove abita dal 1952, in un appartamento sommerso da libri, giornali, dischi e piccoli oggetti d'arte e cita anche il parere di artisti in voga come Socalled, rapper e produttore discografico canadese (all'attivo ottimi dischi come "Ghetto-Blaster"), abituato all'hip hop quanto alla musica klezmer. "Socalled è innamorato di Gendler e piange tutte le volte che ascolta un suo brano". Gendler colpisce anche per la sua umiltà. "Ha sempre cantato per fare felici le persone, senza mai pensare a un ritorno economico o d'immagine", chiude Davidzon.

Salvaguardia dall'oblio

Ma oggi, finalmente, chiunque può godere dell'eccezionale bagaglio culturale maturato nella sua lunga vita da Arkady, grazie a un cd uscito di recente per la Golden Horn Records, intitolato "Yidishe Lider". Non avrebbe visto la luce senza l'aiuto del clarinettista Christian Dawid, che ha lanciato e appoggiato il progetto, registrando canzoni che non erano mai finite su disco e salvaguardando un mondo destinato all'oblio.

Le registrazioni sono avvenute a Vienna nel 2011, presso l'Home-music studios di Georg Luksch. Accompagnano la voce di Arkady, il piano e la fisarmonica di Alan Bern, il violino di Nandor Szederkenyi e, naturalmente, il clarinetto e il sassofono di Christian Dawid. ""Yidishe Lider" è il frutto di uno straordinario progetto per onorare la vita e il lavoro di Arkady Gendler", racconta Helen Beer su "Songlines". "Il cd comprende brani antichissimi imparati dall'autore durante l'infanzia, di cui non si conoscono le origini, e altri composti dal maestro negli ultimi anni, la maggior parte dei quali mai proposti dal vivo". Un cd di "amore, speranza e malinconia", lo definiscono i critici, dove convergono i respiri di migliaia e migliaia di vite che hanno fatto la storia d'Europa degli ultimi secoli. Rimandi alla musica mitteleuropea come l'emozionante "Es shvebt a lid iber Parizh", un valzer delicato e incalzante con una melodia struggente che parafrasa l'intero Novecento.

 

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