“L'ultima spiaggia” di Thanos Anastopoulos e Davide Del Degan

“L'ultima spiaggia” di Thanos Anastopoulos e Davide Del Degan

A pochi giorni dalla conclusione del Festival di Cannes sempre più probabili alcuni premi ai registi romeni. E poi un sorprendente documentario su Trieste

20/05/2016 -  Nicola Falcinella Cannes

La Romania che si candida all'ennesimo premio, la Turchia rivela un nuovo talento, ma la sorpresa dei primi giorni di Cannes , che termina domenica, è stato un documentario su Trieste. Si tratta de “L'ultima spiaggia” di Thanos Anastopoulos e Davide Del Degan, presentato tra le proiezioni speciali. Circa un anno trascorso ai popolari Bagni Pedocin, a pochi minuti dal centro cittadino. La particolarità è che gli uomini e le donne occupano spazi separati, divisi da un muro. “Credevamo fosse l'ultimo muro, invece negli ultimi tempi sono tornati a esserci muri, anche poco lontano da Trieste. Il nostro è un film contro i muri, anche se in questo caso accade anche che la separazione regali libertà impensate ai frequentatori della spiaggia” spiegano i due registi.

"L'ultima spiaggia"

Non un documentario su una bizzarria o su un retaggio austro-ungarico, appartenenza che ritorna spesso soprattutto nelle parole delle donne, ma contenitore di storie universali che fanno ridere e commuovere. Anastopoulos e Del Degan si concentrano sul luogo, non cercano di far uscire i personaggi a tutti i costi come capita con troppi documentari, ma cercano l'incontro, la vita, di andare dentro la particolarità dei bagni. Il risultato sono due ore abbondanti che iniziano dalla fine inverno, con il ritorno al mare dei suoi frequentatori abituali.

 

“L'ultima spiaggia” ha i ritmi della spiaggia, rilassati, convulsi, vuoti, affollati, anche se non dedica molto spazio al pieno della stagione: la durata è necessaria a prendere confidenza con la situazione e con i frequentatori, in prevalenza anziani. C'è il ritrovarsi dopo mesi, il contendersi le sedie, l'aiutarsi, il vedere gli altri e se stessi invecchiare, la voglia di scherzare e di giocare, la solitudine, l'amicizia, il spararle grosse o il confessare ciò che normalmente si tende a nascondere, la paura di non ritrovarsi o non esserci l'anno dopo, la morte che si avvicina, la sfida tra uomini e donne. Esce un razzismo quotidiano, spicciolo, verso le persone di colore e soprattutto gli slavi, chiamati comunemente “s'ciavi”.

Gli avventori del Pedocin appartengono alla generazioni che hanno vissuto le traversie della guerra e dell'immediato periodo post-bellico o dell'esodo da Istria e Dalmazia. Per loro è un passato mai superato, si raccontano e ripetono a vicenda le vicende vissute da bambini o semplicemente sentite riferire. C'è chi torna lì dopo 40 anni e chi in 43 anni non è mai mancato un giorno e c'è chi una mattina non torna perché è morta. Un film su un microcosmo, che non si può identificare con la città ma neanche minimizzare, su una realtà che spesso si tende a nascondere o passa inosservata, su passaggi mai elaborati, quasi un esame di coscienza collettivo in costume da bagno e ad alta voce. Un documentario molto bello, a quattro mani, con un triestino e un greco adottato dalla città che insieme sono riusciti ad avere sia uno sguardo esterno sia una conoscenza profonda, ciò che si dovrebbe sempre riuscire ad avere sulle singole realtà.

Cinema romeno

Convince in concorso “Sieranevada - Sierra Nevada” di Cristi Puiu, uno dei più bei film delle prime giornate del festival. Il regista de “La morte del signor Lazarescu” e “Aurora”, che conferma la propensione per i film di tre ore e anche la capacità di gestire pellicole di questa portata, può ambire a un premio importante, magari proprio per la messa in scena. Una pellicola quasi claustrofobica, che accumula parole e personaggi e insiste nelle situazioni. È un incontro di famiglia quasi in tempo reale, quasi tutto dentro un appartamento, con le sole uscite per litigi per parcheggi in strade dove il nervosismo è elevato e si sfiora il pestaggio. Due sorelle, con figli, nipoti e qualche amico, si trovano per ricordare il marito di una di loro mancato un mese prima. Il pope è in ritardo così c'è tempo per sviluppare le tensioni tra i diversi personaggi, affetti ma anche segreti mai rivelati, tra un cugino fissato con i complotti (siamo pochi giorni dopo l'attentato a Charlie Hebdo), una zia nostalgica dell'epoca comunista, un'amica arrivata ubriaca, un marito fedifrago e i tre figli del morto. Una sorta di tragicommedia familiare, girata con lunghi piani sequenza e che conferma stilemi e temi del nuovo cinema romeno: la gabbia della famiglia, le madri asfissianti, un passato dal quale non ci si può staccare, la violenza pronta a venir fuori, una verità che non è mai quel che sembra, ciò che viene raccontato e ciò che è. Puiu chiede, con i suoi piani sequenza, molto ai suoi attori ma ottiene anche molto da un cast che ruota intorno a Mimi Branescu e Bogdan Dumitrache nel ruolo dei figli. “Sieranevada” è un bel lavoro che conferma il valore del regista a ottimi livelli. Spiccano nella colonna sonora due canzoni italiane, “Dolce nera” di Fabrizio De André e “Maledetta primavera” di Loretta Goggi.

Anche il suo connazionale Bogdan Mirica, che ha presentato nel Certain regard la sua opera prima “Caini – Dogs”, ha superato l'appello. Un film, coproduzione Romania, Francia e Bulgaria, ambizioso, cupo, violento, senza fronzoli e senza vie d'uscita. Mirica non fa sconti, mette a confronto un mondo quasi primordiale, di istinti e difesa delle proprietà e dei privilegi, con uno cittadino meno abituato a queste dinamiche. Il trentenne Roman torna a casa nella zona di Tulcea, da Bucarest dove vive con la fidanzata, per vendere i terreni ereditati dal nonno, che pare essere stato un boss locale. Trova una campagna di loschi figuri che non esitano a sparare e disdegnano e disprezzano la città. Un mondo che “era già impazzito prima”, come dice un personaggio, che ha i piedi così sprofondati nel fango della palude da non sapere neanche più che se ne può uscire. Un'atmosfera minacciosa cui contribuisce anche la presenza, mai visibile ma continua, dei cinghiali. Il regista non offre spiegazioni neanche ai fatti misteriosi che avvengono, mentre a tutto assiste e partecipa anche il vecchio cane Polizia. Anche in questo caso c'è un bel cast quasi del tutto maschile composto da Dragos Bucur, Gheorghe Visu e Vlad Ivanov.

Cinema russo

Nella sezione anche “Uchenik” del russo Kirill Serebrennikov, vincitore della Festa di Roma nel 2006 con “Playing The Victim” e già in concorso a Locarno e Venezia. Lo studente del titolo è un ragazzo che vive con la madre e parla solo per frasi tratte dai Vangeli e dall'Antico Testamento, si indigna per le compagne di classe in costume in piscina e boicotta l'insegnante più aperta che fa anche lezioni di educazione sessuale. L'ennesimo film russo di follia e religione, con qualche foto di Putin qua e là, che cerca di attualizzare al mondo contemporaneo un tema ricorrente della cultura russa, ma lo fa senza mordente, con una sceneggiatura scontata e privo di forza di denuncia. Si salvano alcune idee di regia e alcuni momenti in classe.