Ritratto della Romania all'indomani della dieta ferrea Fmi, legata al prestito da 1 miliardo di euro (dopo i 9 già concessi). In attesa della ripresa, si prospettano mesi difficili: aumento dell'Iva, prezzi in rialzo, tagli agli stipendi e all'occupazione. Sperando che le variabili internazionali non rendano questi sacrifici vani. O insostenibili
La Romania è alle prese con un programma di austerità quanto mai severo che include, tra l’altro, tagli draconiani alle pensioni e ai salari pubblici. Essere costretti a stringere la cinghia è il destino comune di numerosi Paesi europei di questi tempi, all’Est come all’Ovest, ma il programma rumeno è per certi aspetti tra i più vigorosi (e dolorosi) d’Europa.
Quel taglio delle pensioni dichiarato incostituzionale
Il 25 giugno scorso però un colpo di scena ha sparigliato le carte in tavola: la Corte Costituzionale rumena ha dichiarato non conformi alla Costituzione alcune importanti norme del pacchetto di austerità. Bloccando così potenzialmente, almeno in parte, l’azione del governo in questa direzione.
In particolare, la Corte ha dichiarato incostituzionale l’articolo che prevede il taglio del 15% delle pensioni ed il ricalcolo di alcune pensioni come quelle dei magistrati e degli avvocati. Al contrario, è stato invece considerato conforme alla costituzione il previsto taglio dei salari pubblici.
Per controbilanciare le mancate entrate (o minori tagli) derivanti dalla decisione della Corte, il governo ha preso con estrema rapidità una decisione drastica: ha infatti deciso, poche ore dopo la decisione della Corte, di alzare l’IVA (l’imposta sul valore aggiunto che grava sui beni di consumo) dal 19% al 24%.
Effetto domino da brivido con l'aumento dell'Iva
La reazione del governo e la manovra sull’IVA sono oggi in grado di neutralizzare gli effetti sul bilancio pubblico della decisione della Corte. Sebbene la decisione della Corte e le misure del governo abbiano nel loro insieme un effetto neutrale sul saldo pubblico, l’aumento dell’IVA avrà molteplici effetti sull’economia, che rischiano di minare il recupero della Romania all’indomani della crisi.
Vediamo in dettaglio. Innanzitutto l’aumento dell’IVA causerà un aumento dei prezzi: è atteso un picco dell’inflazione ad agosto attorno all’8% (a giugno ha segnato il 4.4% rispetto all’anno precedente), determinando uno “scalino” nel livello dei prezzi che si farà sentire direttamente nelle tasche dei consumatori rumeni.
In questo scenario, l’aumento dell’IVA colpirà direttamente i consumi degli oltre 7 milioni di famiglie rumene, ritardando la ripresa della domanda domestica, che in questo momento è il tallone d’Achille dell’economia rumena (mentre export e produzione industriale vanno a gonfie vele).
Consumi in picchiata
Già prima della decisione di aumentare l’IVA, la spesa al dettaglio dei consumatori rumeni continuava a contrarsi (-15% meno di 2 anni fa). Con i consumi in territorio negativo, Bucarest è destinata a restare in recessione nel 2010: la contrazione dell’economia potrebbe toccare il -2/3 per cento, dopo aver segnato -7.1% nel 2009. Quella rumena sembra destinata così a mostrare quest’anno la peggiore performance nella regione, almeno secondo stime Bers (Banca Europea per la Ricostruzione e lo sviluppo) e di altre istituzioni.
Infine, se torna in auge l’inflazione, il ciclo di tagli dei tassi d’interesse da parte della Banca Centrale è da considerarsi esaurito, almeno per i prossimi 6-8 mesi, e questo si farà sentire sul costo del credito (mutui, credito al consumo, credito alle imprese).
L’austerità ed il ruolo del FMI
Nel frattempo il Fondo Monetario Internazionale si è dichiarato favorevolmente sorpreso dal programma di austerità, e ha deciso così di erogare la tranche da 900 milioni di euro, nonostante le norme attuate - l’aumento dell’IVA in particolare - non siano quelle concordate a suo tempo con il governo. Bucarest ha già ricevuto 9.2 miliardi di euro dal Fondo e 2.5 miliardi dalla UE, mentre a settembre arriverà la terza tranche da 1.15 miliardi di euro.
Il Fondo Monetario, e più in generale le istituzioni internazionali presenti (UE, Bers, Bei, Banca Mondiale), stanno giocando un ruolo ben più rilevante che durante il periodo pre-crisi in numerosi Paesi. Nel pieno della turbolenza finanziaria infatti molti Stati si sono dovuti rivolgere a loro, in particolare al Fondo.
L’Fmi ad Est fu costretto ad intervenire rapidamente dapprima in Ucraina e Ungheria (novembre 2008), poi in Lettonia, Bielorussia, Romania, Bosnia Erzegovina e Serbia, per evitare un’escalation della crisi in tutta l’area.
La crisi accentua il ruolo degli organismi internazionali
Tre quarti degli aiuti Fmi erogati a livello mondiale sono finiti in Europa Centro Orientale. I Paesi dei Balcani che hanno ricevuto aiuti (Romania, Bosnia, Serbia) pesano per lo 0.4% dell’economia mondiale, ma hanno ricevuto un quarto degli aiuti erogati in tutto il mondo dal Fondo Monetario.
Ai programmi del Fondo si è associata in molti casi la cosiddetta “iniziativa di Vienna”, per la quale le maggiori banche internazionali presenti nei vari Stati si sono coordinate per evitare un collasso del credito che avrebbe danneggiato anche gli stessi istituti finanziari.
Di conseguenza la crisi ha accentuato il ruolo delle istituzioni internazionali e la loro influenza nel determinare le politiche economiche delle singole nazioni. Certo ci sono capitali con un’influenza così trascurabile nelle istituzioni internazionali che devono essere considerate too small to rule (troppo piccole per avere una politica economica indipendente), in una nuova versione della “sovranità limitata”.
Tra sostenibilità e proteste sociali
Gli interventi del Fondo Monetario –il cui fulcro è l’aggiustamento fiscale e i conseguenti tagli alla spesa, per riportare il bilancio pubblico su livelli di sostenibilità - sono oggetto di dibattito da parecchi anni (la critica più autorevole è quella del premio Nobel Joseph Stiglitz) e non raramente catalizzano il malcontento popolare di chi vive sulla propria pelle le politiche di austerità.
Si dibatte in particolare sulla condizionalità (il FMI pone al Paese in questione delle condizioni a fronte dell’aiuto finanziario), sulla natura pro-ciclica degli interventi (durante le crisi viene sovente consigliato di tagliare la spesa pubblica, con potenziali effetti recessivi), e sul rischio di trascurare l’impatto a livello sociale delle condizioni imposte. Nel caso della Romania, le proteste di piazza non sono mancate.
I tagli pagati dal pubblico impiego
Il piano di austerità rumeno è destinato a pesare per 2 punti percentuali dell’economia: il deficit tenderà a muoversi sotto il 7% del Pil nel 2010 e verso il 4% nel 2011, se tutto procederà secondo quanto previsto dal governo (la stella polare rimane il fatidico 3%, il criterio di Maastricht necessario per accedere nell’esclusivo club di Eurozona).
Lo stock di debito pubblico salirà oltre il 35% del Pil (era sotto al 20% nel 2008), un livello comunque che è ben oltre la metà di quello medio dell’Eurozona.
Anche se Romania, Bosnia e Serbia
pesano per lo 0.4% dell'economia mondiale,
hanno ricevuto 1/4 degli aiuti erogati
in tutto il mondo dal Fondo Monetario
Al di là della manovra sull’IVA, il piano del governo rumeno prevede un mix di ulteriori misure: una tassa sugli interessi ottenuti dai depositi bancari, una tassa sui guadagni derivanti dal gioco d’azzardo, la riduzione di alcune spese deducibili, maggiori tasse per le seconde case e le auto di lusso. Il contributo di questi balzelli sul bilancio pubblico non è però così rilevante (circa lo 0.3% del Pil) come lo è invece il taglio dei dipendenti pubblici, dei salari e delle pensioni.
Saranno 350 mila gli statali licenziati nei prossimi 5 anni
Il governo ha infatti annunciato che vi sono ben 350 mila statali che perderanno il posto di lavoro nei prossimi 5 anni, ed è un numero enorme. Già nel 2010 il pubblico impiego subirà una sforbiciata di parecchie decine di migliaia di lavoratori, a partire dal milione di addetti attuale, pari al 30% di tutti i lavoratori dipendenti in Romania.
La crisi ha avuto un impatto feroce sull’occupazione: nel 2009 è stato perso oltre il 10% degli occupati del settore privato, mentre nel settore pubblico la quota di addetti è rimasta stabile. Ma ora con l’arrivo dell’austerità anche quest’ultimo è destinato a perdere i pezzi.
Infine, oltre agli effetti della riduzione occupazionale, la manovra del governo prevede per i salari pubblici un taglio del 25% (da notare che sui mensili si faranno sentire anche gli aumenti dell’IVA e di altre accise).
Salari e pensioni agli ultimi livelli in Europa
Quelli pubblici erano mediamente stipendi più elevati rispetto a quelli privati (addirittura del 40% fino a 2 anni fa), ma già ora la retribuzione media privata e pubblica è diventata pressoché equivalente, con quest’ultima destinata a scendere ulteriormente. I salari medi rumeni sono mediamente i più bassi dell’Unione Europea dopo quelli bulgari: i rumeni guadagnano meno di 1/3 di un cittadino croato o di un cittadino céco.
La Romania è tra l’altro uno degli Stati con le disuguaglianze di reddito più elevate d’Europa, ha calcolato Eurostat. Ed oltre il 40% del paniere di consumo delle famiglie rumene è destinato ad acquistare generi alimentari, con ben poco spazio per consumi effimeri.
I pensionati non se la passano molto meglio: ricevono una pensione che è circa la metà del loro salario di un tempo, uno dei livelli più bassi d’Europa.
Sacrifici insostenibili?
In sintesi, la strada della “prosperity via austerity”, dei sacrifici “ora e subito” per riconquistare la fiducia dei mercati finanziari e avere un futuro migliore, sembra quanto mai accidentata.
Sarà più agevole se la domanda europea continuerà a veleggiare a pieno ritmo: in questo caso l’economia rumena avrà comunque due velocità, con l’industria e l’export in ripresa e i consumi destinati comunque a rimanere sotto pressione per almeno un paio d’anni.
Ma se il nucleo forte dell’economia europea dovesse invece deragliare nuovamente in recessione, l’austerità rumena –dal punto di vista politico ed economico- diventerà difficilmente percorribile.