Cosa significa essere donna e rom in Romania? Essere discriminate all'interno di una comunità anch'essa discriminata
(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans il 28 marzo 2018)
A Bucarest il viale Calea Griviţei collega il quartiere della stazione nord al centro città. È una delle strade più povere della capitale ed è conosciuta per essere un centro di prostituzione. Lungo la via le facciate degli edifici si stanno progressivamente sgretolando, l'intonaco impolvera le insegne di attività artigianali da tempo scomparse. Ma questo viale non è affatto morto. Quando il tempo lo permette molte famiglie rom escono sui marciapiedi, gli adulti a parlare tra loro mentre i figli giocano attorno.
È qui che il Museo nazionale della letteratura rumena (MNLR) ha ricevuto uno dei suoi due nuovi spazi dopo la restituzione dell'edificio che era stato espropriato durante il regime comunista. L'edificio contrasta con l'atmosfera circostante. L'edificio ha ospitato il Museo nazionale della filatelia e il quartier generale della Gestapo negli anni '40. Attualmente il nuovo museo è equipaggiato anche di un teatro ed è lì che la troupe teatrale Giuvlipen si sta preparando a mettere in scena “Chi ha ucciso Szomna Grancsa?”.
Il pezzo teatrale si ispira alla storia di una giovane rom di 17 anni che si è impiccata nel 2007 nel villaggio di Frumoasa, nella regione di Harghita, in Transilvania. All'epoca la stampa aveva riportato che la giovane si era uccisa perché i familiari, retrogradi, le avevano impedito di frequentare la scuola e volevano che seguisse la tradizione della loro comunità di sposarsi molto giovane.
La compagnia teatrale Giuvlipen è ritornata su questa vicenda presentandola sotto una luce differente, più sfumata, meno semplicistica, dando la parola a tutti coloro i quali erano vicini a Szomna. I loro punti di vista creano una tela complessa di motivazioni che, insieme, ricostruiscono la morte inattesa dell'adolescente.
Tutti i personaggi, qualsiasi sia il loro sesso, vengono interpretati dalle tre attrici Liana Ceterchi, Mihaela Dragan e Zita Moldovan, accompagnate dalla musicista queer Elena Albu. La storia di Szomna Grancsa è un viaggio emotivo nel quale tutti i personaggi si sentono, in un modo o nell'altro, colpevoli della morte dell'adolescente ma non vogliono ammetterlo apertamente, nascondendo il dramma in fondo alla loro coscienza e rigettando la colpa sugli altri.
Giuvlipen è un neologismo inventato dalla compagnia teatrale. La parola significa “femminismo” in lingua rom ed è costruita dalle radici di “giuvli”, donna e il suffisso “pen”, che designa un gruppo astratto. Alla base dell'iniziativa, avviata nel 2014, tre attrici rom professioniste - Mihaela Dragan, Zita Moldovan ed Elena Duminica – e il regista Mihai Lukacs. “Lavoriamo molto sull'intersezionalità per mettere in dubbio le strutture patriarcali tradizionali. Affrontiamo tematiche LGBT o legate alla malattia mentale in particolare nel mondo delle donne rom ma trattiamo anche le relazioni con i non-rom con le discriminazioni e gli stereotipi che queste implicano”, racconta Mihaela Dragan.
Alcuni critici hanno affermato che il messaggio di Giuvlipen è diluito e che la loro compagnia dovrebbe piuttosto concentrarsi sull'antirazzismo. Mihaela Dragan la pensa diversamente: “Sono una donna rom e non posso separare il femminismo dall'antirazzismo. Se fossi una lesbica rom, ad esempio, come farei? Il messaggio a mio avviso non è diluito, ma diventa più forte”. La compagnia teatrale esplora tutti i modi di essere una donna rom che vive nella Romania di oggi, vale a dire di essere una donna che vive in una delle comunità più discriminate del paese.
Al MNLR, la compagnia ha in programma anche Blu-Arancione una reinterpretazione locale della commedia del drammaturgo inglese Joe Penhall. Mihai Lukacs ha ambientato l'azione nel cuore di un ospedale psichiatrico rumeno dove il personaggio principale, Gilda, è una paziente rom circondata da due medici maschi. La sua “etnicità” è il tema di una discussione tra i due dottori per definire la sua diagnosi: è meglio fare internare Gilda, per proteggerla dal mondo esterno che non le dà alcun sostegno oppure lasciarla libera, ma a rischio della sua sicurezza? Il pezzo teatrale si concentra sul razzismo istituzionalizzato in Romania.
In Romania molte espressioni del parlato esprimono discriminazione nei confronti dei rom. È il risultato di centinaia di anni di schiavitù, riconosciuta dalle istituzioni solo recentemente. Alina Gorghiu, senatrice del Partito nazional-liberale (PNL), all'opposizione, è arrivata ad utilizzare l'espressione “Non annegare come uno zingaro sulla spiaggia” per parlare del ritorno al passato che a suo avviso sarebbe in atto nel sistema giudiziario dopo anni di progressi. Un'espressione che risveglia un doloroso passato. All'origine quest'espressione descriveva un metodo di tortura: quando uno schiavo rom tentava di fuggire e veniva catturato il suo proprietario gli legava le gambe e lo gettava in acqua, obbligandolo a lottare per riguadagnare la riva, il tutto sotto gli occhi della sua famiglia. Se lo schiavo riusciva ad uscire dall'acqua vi veniva ributtato dentro sino a quando, spossato, “annegava sulla spiaggia”. Un'espressione che, come tante altre, sono ancora largamente utilizzate dai rumeni, a testimonianza di una sorta di razzismo umoristico.
Secondo l'ultimo censimento in Romania, del 2011, la comunità rom rappresenterebbe il 3,08% della popolazione totale, la seconda minoranza del paese dopo gli ungheresi (6,5%). Ma la realtà sarebbe ben differente: la maggior parte dei rom preferiscono non dichiararsi tali per non essere discriminati.
In questo caso come può essere conciliato l'attivismo rom con il femminismo? “È difficile”, ammette Zita Moldovan. “Noi dobbiamo sopportare da una parte la discriminazione generalizzata da parte della società rumena e dall'altra la discriminazione nei nostri confronti degli uomini della nostra comunità”. Nel 2017 più di 15.500 donne hanno subito violenza domestica in Romania, 46 sono state uccise. Nelle comunità rom tradizionali “si ritiene ancora che le donne debbano rimanere al loro posto e non superare certi limiti”, continua Zita Moldovan.
Al di là del pubblico “sofisticato” di Bucarest, cosa pensa la comunità rom del teatro di Giuvlipen? La compagnia teatrale è andata in scena anche in luoghi rom anche se non ha portato i pezzi più provocanti. “Andiamo in scena nei villaggi, nei giardini di qualche privato, perché sono i sindaci a darci la disponibilità sugli spazi”, racconta Mihaela Dragan. “Siamo sempre stati ben accolti. I rom sono abituati ad una loro rappresentazione pubblica molto stereotipata. E quindi sono stupiti del vedere un altro sguardo sulla comunità. Sono fieri di vedere le storie che li riguardano rappresentate sul palco”.
Attualmente Giuvlipen si sta battendo presso le istituzioni per l'apertura di un Teatro nazionale rom. “Abbiamo fatto una tournée nazionale e siamo stati spesso accolti nei teatri delle minoranze – ungherese, ebrea. Alcuni consiglieri comunali di Bucarest ci hanno invitati per discuterne. La prossima tappa è che scrivano un progetto e lo sottopongano al voto del consiglio comunale. Li abbiamo aiutati, abbiamo lavorato sulla documentazione, sulle argomentazioni a favore. Ora aspettiamo e vediamo. Sperando che la loro manifestazione di interesse non sia solo una furberia".