Sono trascorsi mesi dalle denunce di Observer e Guardian sullo stato di semi-schiavitù di centinaia di lavoratrici romene in Sicilia. Da allora qualcosa si è mosso, nulla è però cambiato

11/08/2017 -  Daniela Mogavero

Sono passati cinque mesi dalle rivelazioni dell’Observer e del Guardian in cui emergeva l’avvilente e cruda realtà di migliaia di donne romene sfruttate nei campi siciliani e spesso vittime di abusi da parte dei datori di lavoro. Cinque mesi in cui si sono succeduti clamore, sdegno, incontri, visite d’urgenza, operazioni di polizia e contatti Roma-Bucarest sia a livello politico che associativo. Cinque mesi in cui, però, la situazione sul campo sembra essere rimasta quasi invariata. Resta il timore di denunciare, resta il bisogno di lavorare e di mandare più soldi possibile a casa, resta la mancanza di una vera e propria task force o di un punto di riferimento per coloro che pur a fatica ne volessero uscire.

Accordi

Alcuni passi, però, sono stati fatti. Tra questi collaborazione diretta tra gli Ispettorati del lavoro di Romania e Italia, dialogo tra ministeri, uno sportello informativo per i romeni presso il centro polifunzionale del comune di Vittoria, una campagna informativa e di prevenzione già in campo e che è in procinto di essere ampliata. Lo ha spiegato l’ambasciatore romeno in Italia George Bologan, che è stato in visita a Catania e Ragusa a metà luglio. “La tutela della dignità umana come valore universale è interesse comune dei nostri stati – ha dichiarato dopo la visita - ho incontrato le autorità pubbliche e i rappresentanti della società civile e potrei affermare che qualcosa si è fatto e sono fiducioso in quello che di positivo si fa. Ho incontrato anche cittadini romeni e italiani che lavorano insieme senza problemi, con regolare contratto di lavoro e hanno tutti i benefici previsti dalla legge. Sono buoni esempi da seguire. Il lavoro nero, lo sfruttamento, sono come una cancrena che deve essere eliminata per salvaguardare l’intero corpo sociale”.

Le migliaia di lavoratrici impiegate nei campi e nelle serre, però, restano sostanzialmente nella stessa situazione. Anche se subito dopo le notizie apparse sui giornali il governo romeno aveva raggiunto un’intesa per collaborare con le autorità italiane per fermare abusi e sfruttamenti tra Ragusa e Vittoria, non è ancora chiaro quale sia in Romania il ministero incaricato di trovare soluzioni e spingere le autorità italiane ad avviare strategie per interrompere il circolo vizioso in atto. Complice una breve crisi di governo in Romania, in cui il premier Sorin Grindeanu è stato sconfessato dal suo stesso partito, resta in sospeso la decisione su chi abbia il budget per avviare i progetti, se il ministero per i Romeni all’estero, se la Giustizia o gli Interni. Grindeanu, infatti, aveva chiesto subito dopo le rivelazioni stampa, che venisse redatto un piano sulla situazione con dati e suggerimenti e che successivamente si sarebbe provveduto a decidere il ministero competente. Ma la scelta resta ancora in sospeso.

Una comunità d'accoglienza

Secondo i dati emersi dalle indagini della stampa britannica delle circa 5.000 donne che lavorano nel settore agricolo nel ragusano, un terzo è duramente sfruttato e spesso vittima di abusi sessuali da parte dei datori di lavoro, con il tacito assenso di mariti che vivono alle spalle della moglie. Don Beniamino Sacco, che da anni denuncia quanto avviene nelle campagne della zona, ha le idee ben precise su cosa non rompe questo circolo e su cosa potrebbe, invece, essere d’aiuto. “Quello che succede nelle campagne è un mondo sommerso. Come al solito quando esplode una notizia c’è stato clamore, ma poi tutto torna nel dimenticatoio. Negli incontri con le autorità il mio suggerimento è stato quello di costruire una comunità, un punto di appoggio, di riferimento che possa fare da parafulmine per coloro che vogliono uscire da questa situazione – ha dichiarato Don Sacco – la Chiesa ortodossa potrebbe avere questo ruolo.

"Fino ad ora è stata la Chiesa cattolica ad accogliere i pochi disperati che hanno voluto denunciare - continua Don Sacco - ma i romeni non sono uniti e non c’è chi li tiene uniti per risolvere questo problema. Le romene, che hanno sostituito i tunisini nei campi, sono costrette a lavorare, a guadagnare, per poter mandare il denaro ai figli lasciati a casa. Spesso hanno accanto un marito violento e che non le difende dalle aggressioni del datore di lavoro. Un andazzo che mortifica la dignità della persona. E in questo caso c'è chi non si pone il problema e chi difficoltosamente denuncia”. Nel concreto “con padre Nicolae (il giovane prete ortodosso che gira per le campagne per sostenere la comunità) stiamo cercando di acquistare un terreno per creare un punto di raccolta per la comunità. Sarebbe un passo importante”.

20 euro al giorno

Secondo le stime della polizia italiana nel settore agricolo siciliano lavorano oltre 7.500 donne, la maggior parte romene, e moltissime sono in condizioni di sfruttamento.

Le ragioni di questa presenza massiccia dipendono da un lato dalla necessità dei datori di lavoro di assumere forza lavoro comunitaria, dall’altro, da parte delle lavoratrici, dalla chimera di una paga 56 euro al giorno per otto ore, come previsto dalla legge. Ma la realtà è ben diversa e le lavoratrici percepiscono, nonostante quanto sia stato accordato sulla carta, al massimo 20 euro al giorno, sotto continue minacce e violenze.