Lago Solești nella contea di Vaslui (© aaddyy/Shutterstock)

Lago Solești nella contea di Vaslui (© aaddyy/Shutterstock)

Quasi cento miliardi di euro: sono i fondi europei di cui ha beneficiato la Romania a partire dal suo ingresso nell'UE. Lo sviluppo economico è stato robusto, ma alcune regioni sono rimaste ai margini e alcune opportunità sono state sprecate. Intervista con l'imprenditrice Ana-Maria Icătoiu

12/07/2024 -  Laura Popa PressOne

A partire dal suo ingresso nell'Unione europea nel 2007, la Romania ha beneficiato di moltissime risorse europee, tra cui i fondi della politica agricola comune, i fondi di coesione, e risorse straordinarie come quelle stanziate per il Piano nazionale di resilienza e ripresa. Quale impatto hanno avuto questi trasferimenti finanziari e la miriade di investimenti e sostegni che hanno reso possibili? Quanto ne ha beneficiato lo sviluppo economico e sociale della Romania? 

PressOne, testata romena nostra partner, ha intervistato Ana-Maria Icătoiu, esperta in materia di accesso ai fondi europei e vicepresidente dell'Organizzazione delle donne imprenditrici in seno all'Unione generale degli industriali della Romania (OFA UGIR).

Oltre 17 anni dopo avere ottenuto l’accesso ai fondi di coesione europei, quali risultati sono stati conseguiti?

Secondo un rapporto pubblicato dal ministero delle Finanze a marzo 2024, dalla sua adesione la Romania ha beneficiato di 95,5 miliardi di euro in fondi UE. In questo periodo, il nostro contributo al bilancio dell’UE è stato di 30,3 miliardi di euro: sostanzialmente, per ogni euro versato dalla Romania ne sono stati restituiti 3.

Se parliamo di salario medio o, genericamente, di tenore di vita medio, il divario tra la Romania e il resto dei paesi dell’UE è adesso molto più ridotto di quanto non fosse nel 2006, prima della nostra adesione all’UE. Il problema è che il divario tra alcune contee del paese è addirittura aumentato rispetto a prima dell’adesione.

Può fare qualche esempio?

Se guardiamo alla regione del Nord-Est, osserviamo un enorme divario tra le contee di Iasi e Vaslui. Iasi beneficia di un importante centro universitario e di significativi investimenti nel settore informatico, che hanno attratto una forza lavoro giovane e qualificata. Al contrario, la contea di Vaslui rimane prevalentemente rurale, con un’economia basata sull’agricoltura e un basso livello di industrializzazione e di servizi.

Nella regione nord-occidentale abbiamo la contea di Cluj, dove il tenore di vita è al di sopra della media nazionale. Il resto della regione è invece ben al di sotto di questa media, ad eccezione della zona di Oradea, che sta crescendo molto bene.

Queste disparità non sono una specificità della Romania: le relazioni annuali sul funzionamento della politica di coesione dell’UE mostrano che divari notevoli tra regioni di uno stesso paese si verificano in molti stati.

Ci sono però delle ragioni specifiche per cui la Romania ha faticato a ridurre le disuguaglianze regionali in questi anni?

È ovvio che la Romania ha bisogno di una riforma amministrativa. È impossibile gestire in modo coerente le oltre 3.200 unità amministrativo-territoriali del Paese. È assurdo che comuni con meno di mille abitanti dispongano di un apparato amministrativo: queste entità non possono essere autosufficienti.

Inoltre, il decentramento dei programmi regionali è arrivato troppo tardi. In passato avevamo bandi unici per progetti a livello nazionale. Riesce a immaginare cosa significava per una piccola impresa della contea di Vaslui competere sullo stesso bando, con le stesse caratteristiche, con la stessa griglia di valutazione, con un'impresa di distretti industrializzati come quelli di Prahova o Argeș?

Una cosa molto positiva che sta accadendo ora è proprio il decentramento dei programmi regionali. Le differenze con il passato sono molto grandi, in senso positivo, e se ne vedono già gli effetti. Le agenzie di sviluppo regionale si stanno muovendo molto bene. Ad esempio, il processo di valutazione e di assegnazione dei progetti a beneficio delle piccole e medie imprese non è mai stato così rapido. Questa è la chiave, ed è quello che si sarebbe dovuto fare molto tempo fa.

Presto inizieranno le discussioni a livello europeo per progettare i futuri programmi di coesione dell’UE. Cosa ci si aspetta per i fondi di coesione a disposizione della Romania una volta terminato l’attuale quadro finanziario pluriennale 2021-2027?

Un nuovo approccio di cui si parla starebbe nel concentrare i futuri fondi di coesione esclusivamente verso le aree svantaggiate, che esistono anche nei paesi occidentali. Tuttavia, l’adozione di un simile approccio non apporterebbe necessariamente benefici alla Romania nel suo insieme. Anche al di là delle contee più svantaggiate, in termini di competitività, innovazione, prodotti e servizi, il Paese è ancora molto debole rispetto alla media europea. Ad esempio, pochissime aziende romene hanno filiali o esportano merci al di fuori della Romania.

Altri possibili approcci per il futuro della politica di coesione puntano a premiare la performance e i risultati conseguiti dai vari programmi e territori. In questo scenario, le possibilità che la Romania continui a ottenere gli stessi finanziamenti ricevuti finora sarebbero molto scarse. Purtroppo gli imprenditori nel nostro Paese vedono ancora l’innovazione e la ricerca come delle spese, non come un investimento.

In ogni caso, nuovi paesi entreranno dell’UE entro il 2030. In futuro, le classiche sovvenzioni a fondo perduto andranno in via prioritaria a questi paesi, mentre gli imprenditori romeni dovranno prepararsi a maneggiare strumenti finanziari con una componente creditizia più forte e una componente di sovvenzione più limitata.

Quali sono i settori in cui la Romania ha ancora molta strada da fare per colmare il divario con la media UE?

Principalmente l'accesso ai servizi sanitari e educativi nelle aree rurali e nelle piccole aree urbane. Ci sono deserti di servizi ovunque nel Paese, intere zone dove non c'è il medico di famiglia, né la farmacia, né il pronto soccorso, né le cure odontoiatriche.

Ci sono anche deserti educativi: sono innumerevoli i casi di bambini che devono percorrere chilometri per andare a scuola. Questa persistente mancanza di servizi è anche uno dei motivi principali per cui molti romeni della diaspora non rientrano nel paese.

Anche le lacune infrastrutturali rimangono piuttosto notevoli, non è vero?

Sì, e anche qui ci sono grandi disparità. Se si guarda la mappa delle autostrade e delle superstrade ci sono zone del paese che al momento sono completamente non servite, come la regione del Nord-Est. Invece di installarsi lì, qualsiasi investitore straniero al momento preferirà piuttosto andare in Ungheria, Slovacchia o Polonia.

La mancanza di infrastrutture o la concentrazione dello sviluppo infrastrutturale in alcune regioni ha contribuito ad ampliare ulteriormente i divari tra e all’interno delle regioni.

Quali sono secondo lei le ragioni per cui, nonostante i netti miglioramenti del tenore di vita verificatisi dopo l'ingresso nell'UE, quasi il 28% dei romeni ritiene che l'adesione all'UE abbia comportato degli svantaggi?

Da un lato, c'è molta disinformazione che circola soprattutto sui social network. I soggetti interessati non hanno fatto abbastanza – o lo hanno fatto solo negli anni delle elezioni del Parlamento europeo – per spiegare ai cittadini romeni cosa significa appartenere all’Unione europea, e cosa accadrebbe se domani la Romania non fosse più un paese membro.

Dall’altro, se parliamo delle sacche di sottosviluppo, è normale che il cittadino locale lì abbia notato pochi miglioramenti: se dove vive non è stato realizzato nessun progetto finanziato dall’UE, nessun asilo nido, nessuna scuola, e continuano a non esserci cliniche o medici, non avrà la percezione che l’adesione all’Unione europea abbia portato a qualcosa di buono, anzi.

Disparità persistenti

Tra il 2007 e il 2022 il PIL della Romania è aumentato in media del 3,0% all'anno – il secondo risultato più alto dopo la Polonia (3,8%), ben superiore alla media europea dell'1,2%. Tuttavia, il tenore di vita medio rimane molto diverso all’interno del Paese: il PIL pro capite nella regione di Bucarest-Ilfov era di circa 30.000 euro nel 2021, mentre raggiungeva a malapena i 10.000 euro nella regione del Nord-Est. 

 

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