Paesaggio rurale in Trasilvania - Daniel Balakov/Shutterstock

Paesaggio rurale in Trasilvania - Daniel Balakov/Shutterstock

Lo scorso 1 dicembre in Romania si è festeggiato il centenario dalla cosiddetta "Grande Unione" della Transilvania alla Romania. Per molti versi un'occasione mancata per riflettere sul passato e presente del paese

11/12/2018 -  Francesco Magno

(Pubblicato originariamente da East Journal nel novembre 2018)

In una recente dichiarazione, Laszlo Tokes, presidente del Consiglio Nazionale Magiaro della Transilvania ha dichiarato che i magiari della regione non avranno niente da festeggiare il 1 dicembre 2018 , festa nazionale romena che celebra il centenario della “Grande Unione” della Transilvania alla Romania. Tokes, un pastore protestante datosi alla politica, è un personaggio controverso, estremamente noto in Romania. Nel 1989 la Securitate (la polizia segreta comunista) lo aveva sospettato di irredentismo e nazionalismo ungherese, e aveva pertanto deciso di trasferirlo da Timisoara in una remota località rurale lontano dal Banato, dove non avrebbe potuto far danni. In sua difesa si ersero gli abitanti della città, ungheresi e non. La difesa di Tokes fu la miccia che fece scoppiare la rivoluzione romena, che avrebbe portato al rovesciamento di Ceausescu e alla sua esecuzione. Il pastore magiaro ha anche criticato aspramente il presidente della Repubblica Klaus Iohannis, reo di aver elogiato il giorno della Grande Unione; un esponente delle minoranze, quale è appunto Iohannis, non può festeggiare un evento che, secondo Tokes, per i non romeni fu nefasto. Parole incendiare, sicuramente esagerate e provocatorie, che però riaccendono il dibattito su un tema caldo; il rapporto tra la Romania e le sue minoranze etniche.

Di chi è la Transilvania? Diritto storico vs diritto etnico

Sono passati 100 anni da quella che i romeni chiamano “Grande Unione” ma ancora, quando si parla di Transilvania, spesso gli animi si scaldano. Anche in ambienti accademici è difficile trattare il tema in modo distaccato e, per quanto possibile, scientifico. Nel 2014 fece grande scandalo in Romania una dichiarazione dello storico romeno Lucian Boia, secondo il quale la costernazione provata dagli ungheresi ancora oggi a causa della perdita della Transilvania era più che giustificata. La regione, argomenta Boia, ha fatto parte di regni ungheresi per secoli, non entrando mai a far parte di una qualsivoglia statalità romena. In altre parole i romeni, prima del 1918, non hanno mai governato in Transilvania. Pertanto, se esiste un diritto storico sulla regione, quello appartiene senza dubbio ai magiari. Di contro, continua Boia, bisogna immergersi nel clima del primo Novecento; un’epoca in cui il principio nazionale ed etnico divenne il cardine intorno a cui far ruotare tutta la vita politica.

La componente etnica maggioritaria della Transilvania, già nel 1918, era quella romena (circa il 54% al momento dell’Unione). Il diritto etnico ha quindi prevalso su quello storico, come in tante altre aree d’Europa dopo la prima guerra mondiale. Ca va sans dire, il discorso di Boia, con il quale ogni storico di buon senso concorda, ha scatenato un putiferio; Boia è stato accusato da esimi colleghi di essere anti-nazionale, di risvegliare irredentismi sopiti, e di sobillare il temibile vicino che oggi governa a Budapest, che tra una boutade e l’altra potrebbe anche pensare di rivendicare nuovamente la Transilvania.

Sfumature identitarie

L’opposizione romeno-magiara è alimentata più dalle rispettive capitali che non da effettivi episodi di odio e intolleranza in Transilvania. Per i governi di Bucarest e Budapest sobillare le contrapposizioni etniche costituisce un’utile arma politica per smuovere le acque della politica interna. Basti pensare alle dichiarazioni dell’ex primo ministro rumeno Mihai Tudose, che 10 mesi fa minacciò letteralmente di “impalare”  i sindaci di alcuni comuni secleri (popolazione di lingua ungherese situata nella zona centro-settentrionale della Romania) rei di aver issato le loro bandiere azzurre fuori dagli edifici pubblici dei loro centri, dove più del 90% della popolazione parla ungherese.

Per non parlare delle innumerevoli volte in cui Orban si è presentato come unico difensore dei magiari che vivono fuori dai confini dell’Ungheria. I magiari della Transilvania, in realtà, sono tutt’altro che indifesi; il loro partito, l’Unione Democratica Magiara di Romania (UDMR) è perfettamente integrato nella politica romena, e ama mercanteggiare posizioni di potere e favori vari con tutti i partiti del sistema, a prescindere dalla loro collocazione. Un altro elemento da non sottovalutare è il sentimento identitario dei magiari di Romania. Assimilarli in tutto e per tutto agli ungheresi della madrepatria può essere politicamente utile, ma è senza dubbio una crassa fandonia; la loro identità è ben distinta da quella dei loro “fratelli” di Budapest, i quali non perdono occasione per manifestare il loro malcelato senso di superiorità nei confronti di persone ritenute “ungheresi di serie B”. 

Non solo Transilvania

L’alone quasi mistico che avvolge la Transilvania spesso oscura il fatto che alla Grande Unione del 1918 prese parte anche la Bessarabia, l’attuale Moldavia. Una parte della popolazione romena, sicuramente non maggioritaria, sperava che i festeggiamenti del 2018 avrebbero potuto in qualche modo ridestare l’interesse verso la riunificazione della Moldavia alla Romania. Tuttavia, buona parte dei romeni si è ormai rassegnata alla perdita della regione, chiedendosi nello stesso tempo quanto possa essere conveniente per Bucarest un’eventuale annessione, visto lo stato di sottosviluppo che ancora avvilisce Chișinău.

Di contro, neanche i moldavi sembrano surriscaldarsi all’idea di riunirsi ai fratelli di lingua; per loro, la Romania rappresenta l’UE e l’Occidente, e non la madre patria tanto agognata. Centinaia di studenti moldavi si iscrivono ogni anno in università romene non in virtù di legami culturali atavici, ma per ottenere un titolo di studio più facilmente spendibile nel mercato europeo; di solito la loro permanenza in Romania è limitata agli anni universitari, cui segue una nuova partenza verso l’Europa centro-occidentale, o un ritorno in Moldavia. Sono molto pochi gli studenti della ex Bessarabia che scelgono volontariamente di fermarsi in Romania.

Un’occasione mancata

L’1 dicembre è una ricorrenza che i romeni avrebbero potuto sfruttare meglio, per intraprendere un dialogo storico fecondo, scevro da interessi nazionalisti, e per costruire su nuove basi il rapporto con le proprie minoranze etniche. Purtroppo, la ricorrenza è stata festeggiata con un insieme di sterili simboli e slogan, che non hanno apportato nulla né alla Romania, né alla popolazione, se non un effimero orgoglio per un grande passato perduto che però, forse, non è mai esistito davvero.