Un'immagine di alcuni membri del progetto "Ragazzi in gamba"

Un programma di cooperazione promosso a Roma aiuta chi, in Romania, ha dovuto subire un'amputazione. E si è trasformato, dal 2004 ad oggi, in un vero e proprio ponte tra le due comunità

11/04/2016 -  Daniela Mogavero

Un incidente sul lavoro, una grave malattia, una tragica fatalità. Possono essere diversi i motivi che portano all’amputazione di uno o più arti. Ma il destino di chi, da amputato, vive in Romania, è tristemente duro. Per ribaltare questa situazione da anni, ormai 12, il progetto "Ragazzi in gamba" (Tineri pe picioare) realizzato da Auci, Associazione universitaria per la cooperazione internazionale dell'Università cattolica "Sacro cuore" di Roma e la Chiesa ortodossa romena in Italia, lavora tra Italia e Romania.

Una delle persone che ha fatto della Romania la sua seconda casa è il dottor Massimo Liberatori, che guida il programma. Per il suo impegno Liberatori è stato insignito con un'onorificenza dal presidente romeno Klaus Iohannis alla fine del 2015. Un riconoscimento alla persona ma soprattutto ai risultati del progetto.

Dal 2004 ad oggi più di 100 ragazzi romeni in Italia e in Romania sono stati aiutati, operati e dotati di una protesi all’avanguardia. E un nuovo caso sarà trattato a partire dal 9 maggio, quando un giovane romeno, che non ha entrambe le gambe e vive facendo il tappezziere, sarà ricoverato all’ospedale Gemelli per iniziare l’iter di cura. "Il progetto ‘Ragazzi in gamba’ è nato nel 2004 per un incontro casuale con un giovane romeno arrivato in Italia con la speranza di ricevere una protesi", racconta il dottor Liberatori. “I destinatari del nostro programma, infatti, sono giovani romeni tra 20 e 45 anni che hanno subito l'amputazione di uno o più arti. E' una realtà che in Romania oggi chi ha una disabilità motoria viene spesso lasciato a un destino di marginalità esclusione e povertà", sottolinea raccontando la storia di uno dei suoi pazienti, che nonostante sia stato dotato di una protesi e adesso sia tornato in Romania non riesce a trovare lavoro proprio a causa della sua disabilità. "Lo scopo finale del progetto è quello di migliorare la qualità di vita di tutte le persone coinvolte e facilitarne il reintegro attraverso le protesi performanti dal punto di vista estetico e funzionale", spiega Liberatori che da anni vive facendo la spola tra Roma e diverse località della Romania, ormai una seconda casa per lui e la sua famiglia.

Il progetto individua i soggetti in Romania e in Italia e la successiva fase di impianto della protesi avviene a Roma sotto la guida del team e sotto l’attenta cura dei volontari che seguono i pazienti anche fuori dall’ospedale. "Le protesi fornite dal progetto sono state e sono realizzate presso la filiale di Roma del centro protesi Inail con il quale è siglata un'intesa”, alcuni con una doppia amputazione e quindi doppie protesi. Una storia tristemente comune per chi ha subito un incidente sul lavoro, spesso per i bassissimi standard di sicurezza. Fatti che avvengono sia in Italia che in Romania, sottolinea Liberatori che ha preso in carico anche il caso di un giovanissimo ragazzo romeno che viveva a Chieti e che è rimasto senza una gamba dopo aver usato una vecchia motozappa durante una giornata di lavoro occasionale a Rieti. In quel caso, dopo anni di battaglia legale, il giovane di Focsani è riuscito a farsi riconoscere dall’Inail l’incidente sul luogo di lavoro. Ma non tutti sono così fortunati.

E la realtà di chi ha subito un'amputazione in Romania è estremamente difficile soprattutto per coloro che "già vivono in situazioni marginali o abitano in zone rurali in cui domina ancora una cultura del passato. Le stesse famiglie hanno una concezione di handicap legata al lavoro: chi ha un handicap è una persona che non vale perché non produce reddito", dice il dottor Liberatori ricordando diversi pazienti marginalizzati dopo l’amputazione. Si assiste, infatti, a un vero e proprio “abbandono da parte della propria famiglia: per esempio i mariti senza una gamba che non hanno nessun valore” perché non possono produrre reddito e poi “c’è anche il caso di chi viene mandato, per non dire obbligato, dalla propria famiglia a mendicare in paesi stranieri sfruttando la propria disabilità nella convinzione di passare una vita agiata fatta magari di un telefonino di ultima generazione”.

C’è, però, anche chi trova la sua dimensione. E soltanto con gli arti superiori riesce a costruirsi o ricostruirsi una vita: è accaduto a un giovane senza le gambe che ha sposato una ragazza, anche lei senza una gamba, con cui ha avuto una bambina. Adesso grazie al lavoro dei volontari che si affiancano a “Ragazzi in gamba”, avranno anche una casa. “Nel nostro lavoro ci aiutano due gruppi di volontari. Il primo che opera presso la parrocchia della La Rustica, “Frazia”, ha comprato una casetta in Moldavia con 1.500 euro per questo ragazzo senza gambe – spiega - i volontari, inoltre, si occupano di assistere e dare ospitalità a coloro che vengono a curarsi dalla Romania qui in Italia. La seconda associazione è quella di “Daruieste din inima” che per quest’anno donerà 30 euro al mese a cinque ragazzi selezionati nel programma”.

“Il primo obiettivo del nostro lavoro quindi è quello di migliorare le condizioni materiali di vita in Romania delle persone amputate con la ri-acquisizione soggettiva dell'integrità fisica attraverso la protesi” ma a questo primo obiettivo segue anche la riabilitazione umana e sociale a volte la più difficile. Non tutti, infatti, sono “fortunati” come il trattorista di Vaslui, che con la protesi è tornato a fare il suo lavoro, molte volte l’isolamento diventa sempre più profondo.