E’ da qualche mese disponibile in italiano, edito da Marco Tropea Editore, “Il richiamo dell’onore” di Yulia Latynina, che sarà in Italia ospite del Festival di Internazionale a Ferrara. Nostra recensione
Ne “Il richiamo dell’onore” Yulia Latynina riversa la sua esperienza e conoscenza del Caucaso, esponendo, in forma romanzata, quelli che sono i problemi della regione, e tentando di dare un quadro delle regole intricate che regolano questo mondo, dal potenziale immenso, ma mai realizzato.
Vladislav Pankov, rampollo di una famiglia politica moscovita in vista, viene rapito in Cecenia mentre scorta gli aiuti finanziari per la ricostruzione. Gli orrori di soli tre giorni di prigionia – un prigioniero russo mangiato da una cagna in calore e l’amputazione del mignolo – segnano la sua esistenza. Liberato dal misterioso Nijazbek, Pankov ritroverà i protagonisti del suo sequestro qualche anno dopo, quando ritornerà in Caucaso come plenipotenziario del presidente dell’immaginaria Repubblica dell’Avaria del Nord-Dargo, per mettere ordine e debellare i mali che l’affliggono: corruzione, criminalità e terrorismo. Il ceceno Arzo, autore del rapimento, all’epoca un indipendentista ceceno, oggi indossa le spalline dell’esercito russo. I compagni di prigionia caucasici risultano essere i figli del Presidente in carica. Nijazbek, il liberatore, si rivela essere il fratello di Igor’ Malikov, cui Pankov deve la sua disintossicazione dalla droga, nella cui dipendenza era caduto in seguito allo shock conseguente al suo sequestro.
Pankov incarna l’insufficienza delle buone intenzioni in Caucaso, che da sole non bastano a mettere ordine. Il buon plenipotenziario rimane invischiato nella struttura clanica che governa il Paese – “Che rapporti ha il capo del governo con il presidente della Repubblica? Ha sposato sua nipote” - e nonostante l’impegno profuso a rifiutare mazzette sotto forma di regali, il suo nome viene usato dai sottoposti russi per riscuotere “contributi vari” dalla popolazione per questioni che vanno dalla liberazione dei prigionieri alla restituzione dei cadaveri. Una corruzione endemica, l’abuso delle leggi antiterrorismo, e la miopia delle autorità federali vanificano gli sforzi di Pankov, che era riuscito a conquistarsi la fiducia della popolazione dopo il ritrovamento di una fossa comune e la restituzione dei corpi ai familiari. La sua debolezza però non gli consente di andare fino in fondo rinunciando alla poltrona. Sarà l’ottusità del Cremlino a dare il colpo di grazia alle nascenti istanze democratiche della Repubblica, rifiutandosi di destituire il corrotto Presidente in carica e perdendo l’occasione di ottenere la stima degli abitanti: “Nijazbek Malikov si alzò con calma. Non ho bisogno del tuo posto - disse - e il mio popolo non ha bisogno delle tue mazzette. Oggi ho visto come i russi onorano la parola data. Per dieci anni abbiamo avuto dai russi solo soldi e bugie. Il presidente che voi avete nominato ha spolpato la Repubblica fino all’osso. Il terrore che avete scatenato uccide i nostri figli. La stupidità di Mosca è pari solo alla sua avidità. Ventimila persone sotto questo palazzo esigono le dimissioni di Aslanov. Tu hai sputato loro in faccia. Noi non siamo russi, non tolleriamo gli sputi in faccia".
L’ingenuo Pankov, nel ruolo del “russo buono” appare un personaggio un po’ improbabile in tutto il contesto e non convince troppo. Quello che è magistrale, invece, nella narrazione della Latynina, è la resa della complicata dimensione economica e politica della Repubblica, dove i terroristi sono imparentati col governo locale, mentre mazzette e petrolio vengono parimenti distribuiti fra guerriglieri, ex-guerriglieri, politici locali e supervisori russi. Una descrizione che per la sua lucidità e precisione, è assimilabile a Gomorra, mentre la guerra cecena, con i suoi morti, le sue torture e la compravendita di schiavi russi – un aspetto, questo, ancora troppo trascurato dalle organizzazioni per i diritti umani – rimane sullo sfondo.