Zograf

Pop star scoperte con in casa un arsenale, ville fortezza che resistono ai buldozzer, tossici che assaltano le farmacie perché gli spacciatori sono tutti in galera. Un viaggio di 42 giorni nella Serbia in stato di emergenza. Firmato: Zograf.

05/05/2003 -  Anonymous User

Autore di fumetti e giornalista di musica rock, Aleksandar Zograf (pseudonimo di Sasa Rakezic, Pancevo 1963) ha raccontato in presa diretta, nelle sue strisce, il decennio di guerra in ex Yugoslavia. Le sue storie, spesso scritte a quattro mani insieme alla moglie Gordana Basta, sono pubblicate nei circuiti underground di tutto il mondo. Zograf passa in rassegna i 42 giorni dello stato di emergenza seguito all'omicidio del primo ministro Djindjic. E ci racconta la Serbia dei criminali, così come veniva messa in onda dai canali televisivi nazionali nei giorni successivi alla morte del premier. Tra ville fortezza che resistono ai buldozzer, cantanti dalle tette siliconate con arsenali nel sottoscala, tossici che assaltano le farmacie perché gli spacciatori sono tutti in galera. Ma chi sono i criminali che hanno messo in ginocchio la Serbia? Le loro foto segnaletiche, pubblicate su grossi manifesti sotto la scritta "wanted", sono foto di paramilitari che si sono sfilati la mimetica per indossare l'uniforme della polizia, o del magnaccia, a seconda del momento e della necessità. Persone che frequentavano le località del jet set internazionale mentre il resto della popolazione lottava per stare a galla in un paese in guerra e sotto embargo. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di: Aleksandar Zograf

Tradotto da: Andrea Rossini
Mercoledì 12 marzo era la prima giornata di sole dopo il lungo e noioso inverno che ha importunato l'Europa in questo 2003. Circa un'ora e mezza dopo mezzogiorno, i media hanno cominciato a battere la notizia: c'era stato un tentativo di omicidio nei confronti del primo ministro serbo Zoran Djindjic! Dopo poco, fu ufficialmente annunciato che Djindjic non era sopravvissuto ai colpi sparati da un cecchino appostato nell'edificio a due piani di fronte al palazzo del governo. Molti erano al lavoro, e solo dopo aver lasciato le fabbriche e gli uffici, e aver visto le macchine della polizia che correvano nel traffico bloccato, si sono accorti che stava accadendo qualcosa.

E' successo tutto nel pieno centro di Belgrado. Una mia amica stava passando di lì per caso, diretta alla stazione centrale, quando ha sentito due spari e visto la macchina con il primo ministro (ormai privo di conoscenza) che correva verso l'ospedale... Al momento non riusciva a capire cosa stesse accadendo, ma quando è arrivata in stazione per comprare il biglietto per la sua città nella Serbia centrale, si è accorta che tutto il traffico che portava fuori città era bloccato, e ha dovuto chiamare un amico dicendogli di doversi fermare in città per la notte.
I dettagli dell'omicidio Djindjic raccontavano molto. Il premier era un bersaglio facile dato che camminava con le stampelle. Si muoveva ancora lentamente perché si era fatto male ad una gamba durante una partita amichevole di calcio tra rappresentanti del governo e della polizia. Solo poche settimane prima scherzava sul fatto dicendo che: "Qualcuno potrebbe pensare che l'infortunio è stato intenzionale".

Il gruppo di assassini professionisti era posizionato dietro la finestra aperta, ma ben all'interno della stanza, prendendo la mira attraverso il telescopio dell'arma... La canna del fucile e il fumo non erano visibili, e questo gli ha consentito tempo a sufficienza per lasciare il luogo con tutta calma, portando con sé l'arma (invece di abbandonarla sul posto come solitamente accade). Le indagini successive hanno chiarito che erano vestiti come operai che lavoravano nella ristrutturazione dell'edificio da cui sono stati sparati i colpi. C'è voluto diverso tempo perché venisse individuato l'edificio dal quale avevano fatto fuoco, in un'area densamente abitata. A quel punto, gli assassini se ne erano già andati, anche se ben presto furono individuati dei testimoni che avevano visto tre persone uscire dall'edificio...
Il quartiere dove è successo il tutto è caratterizzato da uno scenario post-apocalittico, fatto di edifici duramente danneggiati dai bombardamenti Nato del 1999. Ci sono grandi edifici di rappresentanza che ospitavano gli uffici dell'esercito o del governo, e alcuni di questi presentano ancora degli assurdi buchi rotondi nella parte centrale, aperti dai missili Cruise della Nato... Quando passi di lì, puoi vedere le macerie dietro le facciate dei palazzi, dove piani interi sono collassati all'interno delle costruzioni... Nel cuore della città moderna si possono ammirare queste strane rovine, irrigidite come sculture, ben visibili dagli autobus affollati che le circondano carichi di persone in una giornata lavorativa... Si riescono ancora a vedere anche le tende, strappate e polverose, che ondeggiano nelle giornate di vento, dietro finestre senza più vetri, disintegrati dalle esplosioni... Non era possibile rimuovere le tende in un palazzo le cui parti interne erano distrutte dai missili, per cui è tutto ancora lì come un lugubre ricordo. Ci vorranno anni perché questo paese agitato e impoverito riesca a riparare e ricostruire tutto. E' quasi parte della nostra routine quotidiana, e dopo un po' di tempo non riesci a evitare di considerarlo come una cosa scontata.

Quando mi capitava di aspettare l'autobus o di passare da quelle parti, me ne andavo spesso alla vicina scalinata fatta di blocchi di pietra, un po' discosta dalla strada, che porta alla base della collina. Passavo un po' di tempo ad osservare le pietre del selciato (nella perplessità dei passanti). Quelle pietre contenevano i resti di begli esemplari di conchiglie fossili, anche se molti non hanno mai guardato attentamente abbastanza per riuscire a vederle... L'ultima volta che sono passato di lì è stato l'anno scorso, quando un artista di Belgrado ha scelto quelle piattaforme collinose vicino al lastricato come palco per una performance sulla natura del potere e i suoi aspetti violenti e criminali... Lei non si sarebbe mai aspettata che, poco tempo dopo, questo luogo sarebbe diventato un palcoscenico dove sarebbero volati proiettili veri, e dove il sanguinoso teatro della strada sarebbe stato rappresentato di fronte all'intero paese...
L'omicidio Djindjic è finito per diventare uno di quei punti di svolta che accadono nella vita di una nazione. Il premier non era propriamente benvoluto, in politica aveva avuto successi e fallimenti, in più voleva modernizzare e riformare un paese traumatizzato da tutto quello che era accaduto per decenni... E tuttavia, la sua esecuzione è stata percepita immediatamente come qualcosa di inaccettabile. Ricordo distintamente che da principio le persone intorno a me erano atterrite dalla semplice possibilità che un tale assassinio a sangue freddo potesse avvenire, ma presto tutto questo si è trasformato in rabbia. Se avessimo potuto dare un'occhiata a quella che è la mente collettiva, sembra che tutti si stessero chiedendo se non avevano giudicato Djindjic troppo severamente.

L'omicidio è avvenuto nello stesso giorno in cui sembrava che la polizia avrebbe avviato gli arresti nei confronti del gruppo criminale legato al cosiddetto clan di Zemun (dal nome della cittadina che ora è un sobborgo di Belgrado). Questi malavitosi operavano da anni al riparo dei loro legami con la polizia, con il sistema giudiziario e con parte del mondo della politica, per citarne solo alcuni! Era di dominio pubblico il fatto che un appartenente al clan, dopo il conflitto, aveva deciso di testimoniare contro di loro, e non ci voleva Sherlock Holmes per capire che erano questi gli organizzatori dell'omicidio Djindjic... Gli assassini contavano sulla situazione caotica e sui litigi tra i politici che sarebbero scoppiati una volta che il primo ministro fosse scomparso dalla scena, il che avrebbe spianato la strada ad una politica di conservazione (di appoggio alle proprie operazioni) per raggiungere nuovamente il potere. La risposta del governo tuttavia, pressata dalla rabbia crescente, è stata molto decisa e ha trovato la approvazione di quasi tutti i segmenti della società serba. E' stato dichiarato lo stato di emergenza (che sarebbe durato fino al 22 aprile), e polizia e gendarmi hanno ottenuto il permesso di usare misure al di fuori degli interrogatori. I funerali del primo ministro si sono trasformati in una netta espressione di solidarietà, con centinaia di migliaia di persone che riempivano le strade di Belgrado. Non si vedeva una scena di questo genere dai giorni della sollevazione contro Milosevic dell'ottobre del 2000... Un mare di persone, che spargeva fiori davanti alla jeep militare che trasportava la bara con il corpo di Zoran Djindjic.
Presto cominciarono ad apparire nei notiziari e in circolari con scritto "ricercato", affisse negli spazi pubblici, le foto con i volti sgradevoli dei membri del clan di Zemun. Personalmente, una delle cose che mi hanno colpito era che la maggior parte di loro aveva più o meno la mia stessa età, così ho cominciato a chiedermi, ad esempio, se quando eravamo bambini leggevamo gli stessi fumetti... Tantissime domande venivano fatte da ogni piccolo uomo della strada.

E tuttavia, questo era solo l'inizio! I membri di questo gruppo criminale erano sconosciuti alla maggior parte della popolazione ma i loro soprannomi, pseudonimi e volti raccontavano tutto.
L'azione della polizia è stata ampia, svelando più di quanto non ci aspettassimo. La serie di arresti ha mostrato che i leader del clan di Zemun avevano legami non solo con le istituzioni dello Stato, con pubblici procuratori, avvocati e giudici, ma che avevano loro collaboratori anche nello show business e nei media, che avevano anche un loro giornale! Il nome del giornale - pagato con i soldi ricavati da rapimenti e traffico di droga - era Identitet (Identità). Ricordo di averlo visto in edicola, ma ora che tutti i numeri sono stati ritirati mi dispiace davvero di non averlo mai sfogliato... Chi non sarebbe interessato a sapere quali sono gli articoli che alla mafia piace leggere?

Come se non bastasse, presto si sparse la notizia che, tra le persone sospettate di collaborare con il clan di Zemun, c'era la famose cantante di turbo-folk Ceca. Tutti erano incollati davanti al teleschermo a guardare le forze di polizia armate pesantemente che portavano fuori dall'appartamento della cantante armamenti non registrati di ogni genere, un intero arsenale! Confiscavano tra le altre cose balestre, maschere tipo "ninja", scatole piene di munizioni!Solo un anno fa Ceca, una cantante con grosse tette al silicone, aveva fatto un concerto in uno stadio davanti a 100.000 persone! Mi sono reso conto dell'impatto avuto dall'arresto di Ceca solo il giorno dopo quando sono uscito per comprare i giornali, ed erano tutti esauriti. Era una cosa che non succedeva da parecchio tempo, in un paese nel quale la crisi ha colpito anche la possibilità di comprarsi il giornale.

Molti concordano sul fatto che questo evento ha avuto non solo una dimensione "criminale", ma anche "culturale". Ceca era un simbolo del turbo-folk, una musica pop senza cervello (con liriche dozzinali su basi falso-tradizionali), spesso percepita come una espressione di glamour e voglia di sfuggire alla realtà quotidiana in un paese che affondava nella crisi... E poi, Ceca è la vedova di Arkan, il più famoso paramilitare serbo, assassinato solo due anni fa.
Questo ci porta ad un secondo aspetto legato alla questione del gruppo che ha assassinato Djindjic: molti di loro erano legati con le forze paramilitari che "operavano" nelle guerre in ex Yugoslavia. Dal momento che non c'era un esercito professionista in ex Yugoslavia nei paesi che si sono formati dopo lo smembramento dello Stato, molti dei governi di nuova formazione avevano assoldato mercenari, stranieri o locali, o criminali di ogni genere, anche persone fatte uscire dalle galere e reclutate all'interno di questi gruppi "di élite"... Non è difficile immaginare che queste persone stiano dietro gran parte dei crimini di guerra avvenuti durante gli anni '90. Usavano il "patriottismo" e la retorica nazionale come ombrello sotto il quale saccheggiare o salire di grado nella scala della propria organizzazione criminale. A questo riguardo l'esempio migliore, emerso dopo l'omicidio Djindjic, è quello dei cosiddetti "Berretti Rossi", formati dai gruppi paramilitari strutturati da Milosevic durante le guerre degli anni '90. Milorad Ulemek, che ha cambiato il suo secondo nome in Lukovic, ma che è conosciuto con il soprannome di Legija è stato (fino a solo di recente) uno dei comandanti di questa unità, che operava come speciale forza di polizia, ma all'interno della quale polizia e criminali si incontravano in vari modi! Dopo aver lasciato i Berretti Rossi, Legija è diventato uno dei principali mentori del clan di Zemun, riconosciuto come uno di coloro che hanno guidato l'azione che ha portato all'omicidio del primo ministro. Durante lo stato di emergenza, i Berretti Rossi sono stati finalmente sciolti. Uno di loro, arrestato come sospetto nel quadro delle indagini sull'omicidio, sembra essersi svegliato una notte nella sua cella e aver chiamato la polizia per confessare di essere stato lui ad aver sparato a Djindjic con il fucile da cecchino. L'arma è stata trovata poco dopo, sepolta superficialmente in un terreno nei sobborghi di Belgrado.

L'operazione "Sciabola" - così è stata chiamata - ha condotto all'arresto di migliaia di criminali legati al traffico di droga, alla prostituzione, al contrabbando di petrolio... Presto le prigioni si sono riempite di gente, e la polizia ha dovuto organizzare il trasferimento di molti sospetti di minore importanza. Un'altra emergenza inaspettata si è manifestata dopo che è divenuto evidente che molti tossicodipendenti erano in crisi, dato che le droghe o non si trovavano più o erano diventate troppo care. Alcune farmacie hanno reclutato dei poliziotti per proteggersi da tossici in delirio che cercavano di derubarli alla ricerca di sedativi...
Alla fine, tutta questa situazione ha messo a nudo alcune delle assurdità della vita in questo paese: ci siamo accorti che i criminali hanno le macchine più costose, vivono in ville esotiche, viaggiano in giro per il mondo, mentre tutti gli altri passano il tempo lottando per stare a galla in un paese sottoposto a embargo per anni... Le foto confiscate dalla polizia ci mostravano questi criminali felici che se la spassavano a Parigi, o che posavano in costume da bagno a Saint Tropez, mentre la maggior parte delle persone in questo paese non poteva neanche permettersi di viaggiare, o non era gradita dai paesi occidentali che adottavano rigorose restrizioni al sistema dei visti per i Serbi... Il colmo è che questi sono gli stessi che hanno ammazzato chissà quante persone mentre erano nelle forze paramilitari, affermando che lo stavano facendo per il NOSTRO bene (o in nome della Nazione)... Del resto, si trovavano a collaborare benissimo con i gruppi simili schierati con "il nemico" in altre repubbliche ex Yugoslave, e avevano legami dappertutto in Europa occidentale e in America...

Tra le peculiarità di tutta questa vicenda c'è il fatto che alcuni di loro lavoravano per proteggere il regime di Milosevic durante le manifestazioni contro di lui, dopo di che (probabilmente perché erano rimasti senza contanti) sono ritornati ad attività più esplicitamente criminali (traffico di droga, rapimenti). Adesso invece erano ricercati dalla polizia, proprio come in passato LORO ricercavano qualcun altro quando erano "la polizia"! I reportage televisivi ci presentavano poliziotti anti-mafia che organizzavano rastrellamenti e catturavano criminali in mutande, e ben presto molti di questi gruppi si sono resi ancora più clandestini.
Uno dei "simboli" del clan di Zemun era la villa di Via Schiller (il nome della strada viene da Friedrich Schiller, grande drammaturgo tedesco, il cui lavoro teatrale più famoso - ironicamente - si intitola proprio "I masnadieri"). Questa casa era una combinazione di molti elementi diversi: aveva un'area giochi per bambini nella parte frontale, con altalene e panchette, ma dietro questa facciata innocente si nascondeva una fortezza del crimine. A volte veniva usata per la ricreazione (piscine), a volte come prigione privata... La polizia è arrivata con i buldozzer e ha cercato di abbatterla completamente, ma dopo una serie di tentativi si sono accorti che era costruita con materiali particolari, cavi di acciaio extra spessi. Hanno provato con l'esplosivo, ma anche quello non funzionava, come abbiamo visto durante la messa in onda in diretta televisiva... L'edificio è finalmente collassato dopo nove giorni di duro lavoro, e pochi giorni dopo Dusan Spasojevic, il proprietario della villa e uno dei leader del clan di Zemun, è stato ucciso (insieme al suo più stretto collaboratore) mentre cercava di attivare una bomba a mano mentre la polizia assediava una casa in un tranquillo quartiere suburbano dove si erano rifugiati...

Durante lo stato di emergenza sono stati arrestati molti dei componenti più in vista di vari clan criminali di rilievo, ma alcuni sono ancora latitanti, compreso "l'indiziato n° 1", Legija. Questo significa che molti eventi "drammatici" devono ancora accadere, in un paese stanco di situazioni drammatiche. Il soprannome di Legija gli deriva dalla carriera nella Legione Straniera francese, ma il suo retroterra è abbastanza atipico: ha frequentato il Conservatorio, e qualche futura indagine ci spiegherà come qualcuno che era abituato a maneggiare strumenti musicali è finito col maneggiare armi da fuoco (e usarle). E' stato coinvolto in moltissime "azioni" che dovevano essere "operazioni segrete", ma non è mai riuscito a resistere alla vanteria, motivo per cui finiva per essere sempre molto visibile in alcuni caffè, un bullo grande e grosso tutto tatuato. Come andrà a finire? Staremo a vedere.
Alla fine dopo le guerre, le sanzioni, i bombardamenti della Nato, le rivoluzioni anti Milosevic, abbiamo sperimentato anche lo stato di emergenza, con poliziotti mascherati e armati da capo a piedi a presidiare tutti gli edifici più importanti di Belgrado. E tuttavia, la vita è continuata. C'è stata anche la Settimana della Moda, per chi voleva, e concerti rock. Io ho promosso la nuova collezione dei miei fumetti in serbo (titolata "La Luna e il Cuore in Fiamme"). C'è anche stato un festival della cultura alternativa, con Max Andersson che presentava i suoi fumetti, gli Arbe Garbe - amici di Udine - che hanno fatto un concerto "agropunk" per strada, con gli stessi vecchi passeggeri disorientati che osservavano tutto dagli autobus di Belgrado...